01/05/08

B & B, SPARATE D'ESORDIO


Non troverete il verbo «zignare» sui vocabolari. Si tratta di una parola di derivazione immaginifico-brianzola che già in passato Berlusconi usò nei confronti della stampa. E spiegò pure: «è il lavoro che fanno le zanzare sul sedere degli elefanti con poco risultato, ma ugualmente fastidioso». Questa volta a «non zignare» dev'essere l'Europa, che spargendo dubbi sul prestito-ponte per Alitalia risulta seccante e fastidiosa. E dunque, per chi s'era scordato e per chi ha la memoria corta, rieccoci al fiero senso dello Stato del padrùn. L'Europa è una zanzara fastidiosa e quanto all'Alitalia, se rompete le palle la faccio comprare alle Ferrovie. Tiè. Con buona pace dei bei discorsi sul debito, sul buco, sulle lacrime e sangue, sul liberismo. Detto da uno che vendette i suoi debiti ed evitò la bancarotta con la «discesa in campo» non può stupire. E comunque, musica per le nostre orecchie: nazionalizzare. Ed ecco il Silvio parastatale che tenta di accollare un nuovo disastro ai conti pubblici, dato che i suoi amici industriali - i famosi fantasmi della cordata strombazzata prima delle elezioni - gli fanno marameo. Senza contare che se anche esistesse - la fantomatica cordata - la pagheremmo comunque noi, in termini di favori economici ai generosi acquirenti di Alitalia, sottoforma - chissà - di aumenti di pedaggi autostradali, favori, contropartite, ecc. ecc. È una cosa che Silvio trova irresistibile: dire l'Etat c'est moi, soprattutto se si tratta di fare il gradasso coi soldi degli altri. La giornata di ieri sarebbe stata già abbastanza piena così, con quest'impennata del liberista dei puffi, quand'ecco che piombano sulle agenzie Bossi e i suoi «trecentomila martiri», che sarebbero disposti a scendere dalle montagne se qualcuno si opponesse alle riforme. A parte il fatto che i martiri sono martiri dopo il martirio, e non prima, va detto che il numero gli piace: aveva trecentomila fucili, ora ha trecentomila (aspiranti) martiri. Nessuno lo prende troppo sul serio: ogni volta che gli sfugge una scemenza (il che avviene spesso, quasi ogni volta che parla), tutti si affannano a dire che il suo è un linguaggio figurato, che si esprime in modo colorito. Insomma: i suoi per difenderlo gli danno amabilmente del pirla, e tutti annuiscono. E quanto al «Berlusconi deve ubbidire» che gli è sfuggito ieri, rettifica a presa rapida e smentita col turbo: colpa dei giornalisti. Resta il fatto che da ieri è ufficialmente ricominciata la rumba: due talenti a confronto che sembrano fare soltanto colore locale, ma che in realtà dicono esattamente la stessa cosa, che del Paese non gliene frega niente, che tutto quel che si mette sulla loro strada è semplicemente importuno e rompipalle. Che sia l'Europa, che sia un freno ai desideri iperfederalisti, che sia l'economia, o il mercato, che sia la storia (vedi il Dell'Utri ansioso di riscrivere i libri di scuola), che sia la vita della gente, si tratta sempre e solo di ostacoli sul loro cammino. Roma ladrona ammollerà Alitalia sul groppone delle Ferrovie? Che volete che gliene freghi a Bossi di Alitalia, che pur di avere un hub dei poveri a Varese l'ha praticamente uccisa? Altre ne sentiremo. Saranno divertenti, roboanti, esplosive, rumorose. Davvero uno spreco di effetti speciali, se si pensa che per coprire i balbettii di un'opposizione inesistente basterebbe anche parlare sottovoce. E comunque coraggio, gente, prepariamoci: ce n'est qu'un debut.


Alessandro Robecchi

27/04/08

LA "CASA IN CAMPAGNA" CONTRO LA NATURA


Filadelfia, ottobre 2000. Nel corso di una conferenza sull'habitat umano, il geografo Brian J.L. Berry pronuncia, nella sua relazione dedicata agli Stati uniti, il singolare termine di «e-urbanizzazione». Secondo lui, infatti, la rivoluzione informatica va nella direzione dell'American creed, il mito americano. Che compariva già nelle Lettres d'un cultivateur américain, di Hector Saint-Jean de Crèvecoeur (1782), che attribuiscono specificatamente all'America le seguenti caratteristiche: il gusto della novità; il desiderio di trovarsi vicino alla natura; il crogiuolo da cui emerge la «nuova razza» americana; e il senso del destino. Secondo Berry, la dispersione dell'ambiente virtualmente indotta da tale paradigma è stata frenata durante l'era dell'industria pesante, che costringeva alla concentrazione; ma l'automobile ha iniziato a dissolvere i centri urbani nel fenomeno della metropolizzazione. Espandendo l'habitat, essa sviluppa forme di interazione individuali ma sempre più stereotipate e così incoraggia le relazioni a distanza che comportano il consumo di spazio legato all'uso massiccio dell'automobile. Invece, il cyberspazio prodotto dall'«e-urbanizzazione» accelera tale tendenza. Internet permette ormai di abitare in piena natura, ordinando tutto da casa senza aver più bisogno di andare a lavorare o fare la spesa in città. Proseguendo così la logica stessa del paradigma enunciato da Crèvecoeur, si realizza l'essenza dell'americanismo, attraverso l'abolizione della città. In Europa, tale modello è parzialmente bilanciato dall'ideale della città. Quando gli fu chiesto cosa corrispondesse a tale ideale e cosa stesse conducendo gli Stati uniti a questa versione finale dell'urbanistica diffusa - l'«e-urbanizzazione» - Berry, dopo qualche istante di riflessione, rispose: «Natura». All'epoca, insegnavo in un'università giapponese in cui ci si preoccupava delle applicazioni dell'informatica all'ambiente. Nel corso di una discussione, i miei studenti avevano espresso forti motivazioni ideali vicine a quelle di Berry. Con una piccola differenza: per loro, il desiderio di abitare in piena natura si spiegava con la permanenza della mentalità giapponese, che trascende i mutamenti tecnologici. Dunque, sia il mito americano che il suo equivalente nipponico trovano l'espressione della propria autenticità nella ricerca della natura. È sorprendente che in nessuno dei due paesi si osservi che l'urbanizzazione diffusa, invece di portare beneficio per la natura, abbia come conseguenza principale l'aumento della pressione umana sull'ambiente, e dunque la distruzione dell'oggetto stesso di tale ricerca. Si può mostrare ciò per mezzo della parabola del fattorino del tofu. Considerate una città tradizionale, compatta, prima della diffusione dell'automobile. Cento abitanti vi si muovono a piedi, per comprare il tofu all'angolo della strada. Ora, considerate l'urbanistica diffusa. Questi cento abitanti vivono ciascuno nella propria abitazione individuale isolata alla fine di una stradina inserita nel paesaggio naturale; e ciascuno ordina il tofu su Internet. Servono dunque cento consegne per portare questi cento tofu alla fine di cento stradine. Qual è più ecologica, la città compatta o l'urbanistica diffusa? Da tempo, urbanisti e geografi hanno dimostrato, cifre alla mano, che a parità di popolazione una persona che vive isolata costa più di una che vive in città. Ma nonostante, ciò, si oppone loro una tesi solida, basata sui risultati di sondaggi incredibilmente stabili: i tre quarti delle persone desiderano una casa individuale. Un dialogo tra sordi risolto senza equivoci dal mercato: durante l'ultimo trentennio del XX secolo, l'urbanistica diffusa si è espansa in tutti i paesi ricchi. Poiché il fenomeno è direttamente legato all'utilizzo dell'automobile, negli Stati uniti si è manifestato prima che altrove; ed è stato l'urbanista americano Melvin Webber, nel 1964, ad averlo sottolineato per primo: secondo la sua tesi, la città del passato, ben circoscritta e distinta dalla campagna, ha ceduto il passo a ciò che egli ha battezzato «dominio urbano». Questa forma di urbanizzazione non va confusa con la moltiplicazione delle città giganti che si osserva allo stesso tempo, dopo i paesi industrializzati, nei paesi poveri. Nell'urbanistica diffusa, gli abitanti sono, anche sociologicamente, cittadini, non contadini; ma l'ambiente che cercano è quello agreste. Perciò, fuggono dalla città, definitivamente o per una residenza secondaria. Al contrario, nei paesi poveri, come un tempo avveniva nelle nazioni attualmente opulente, è dalla campagna che si fugge, e si cerca la città. Tra questi due poli teorici abbondano le situazioni intermedie. Storicamente, la periferia precede l'urbanistica diffusa. In questo stadio, la situazione cambia secondo il paese. Si possono distinguere all'incirca un tipo oceanico, in cui soprattutto i ricchi vivono lontano dal centro, e un tipo continentale, in cui avviene l'inverso. Il mondo anglosassone e il Giappone sono di tipo oceanico; la Francia è di tipo continentale. Al fenomeno si è aggiunta, più recentemente e nelle città maggiori, la tendenza all'imborghesimento dei centri, resi inaccessibili ai ceti medi dalla speculazione immobiliare. In Giappone, ad esempio, nei quartieri centrali, il rinnovamento urbano moltiplica i manshon, palazzi di notevole altezza in cui gli appartamenti si vendono a prezzi altrettanto elevati. Nei paesi ricchi, la tendenza globale va verso l'urbanistica diffusa in tutti i territori, nel senso che una popolazione di tipo urbano tende a sostituirsi nelle campagne ai vecchi strati sociali contadini. E indipendentemente dalla ragione immediata che spinge a decidere di acquistare più o meno lontano dai centri, il motivo più generale di tale movimento si rivela il desiderio di abitare più vicino alla natura. Tuttavia, le concezioni della «natura» di un americano o un giapponese possono essere molto diverse tra loro. Ciò dipende dal contesto sociale e dalla storia. Il fenomeno dell'urbanistica diffusa mostra tuttavia una convergenza verso analoghi stili di vita. Perché dunque le società opulente sono giunte ad idealizzare il modello dell'abitazione individuale il più possibile vicino alla natura? (leggere il riquadro sotto). Dalle sue più antiche espressioni mitologiche fino alle motivazioni contemporanee, questa storia copre più di tre millenni. Ed approda ora ad un paradosso insostenibile: la ricerca della «natura» (intesa come paesaggio) distrugge il suo stesso oggetto: la natura (intesa come ecosistema e biosfera). Insieme all'automobile, la casa individuale è divenuta in effetti il leitmotiv di un genere di vita la cui smisurata impronta ecologica provoca un consumo delle risorse naturali eccessivo e insostenibile a lungo termine. Le modalità urbanistiche della questione appaiono perfettamente chiare. In poche parole, l'impronta ecologica è minore con un ambiente collettivo e trasporti pubblici. Al contrario, l'urbanistica diffusa dilapida il capitale ecologico dell'umanità: prima o poi, si rivelerà un suicidio.

di Augustin Berque

INCANTO NOTTURNO

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Sara

LE OCHE E I CHIERICHETTI

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Bepi Zanon

TESERO 1929

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Foto Anonimo

PASSATO

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Foto Orco

ANCORA ROSA

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Foto Archivio

VIA STAVA ANNI '30

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TESERO DI BIANCO VESTITO

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LA BAMBOLA SABINA

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LA VAL DEL SALIME

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SEBASTIAN E IL BRENZO DI BEGNESIN

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