27/09/07

NO SPORTIVO, NO MEMORIAL!


Il vocabolario alla voce sport così definisce: “Attività che impegna, sul piano dell’agonismo oppure dell’esercizio individuale o collettivo, le capacità fisico-psichiche dell’individuo con intenti ricreativi o a fini di lucro, od anche l’insieme degli esercizi fisici che si praticano, in gruppo o individualmente, per mantenere in efficienza il corpo.”
Benché io non competa e non sia agonista, pratico attività fisica quotidianamente, percorro circa 3400 chilometri ogni anno in bicicletta, per spostarmi per lo più al di fuori del paese, e oltre 600 a piedi, per camminarci dentro, ma la mia (ragguardevole?) mobilità e il mio esercizio fisico non coincidono affatto con l’idea di attività sportiva (e di sportivo) qui comunemente intesa. Dietro a essa c’è un’ineffabile caratteristica che mi è costata tempo per inquadrare esattamente. C’è dell’altro in quell’idea, che con l’attività fisica ha poco o niente a che fare. La figura dello sportivo nasconde un mito. Quello dell’uomo forte, prestante, lo specchio che rimanda un’idea di bellezza e di potenza fisica e sessuale. Paradossalmente più l’umanità si allontana dalla naturale semplicità del vivere, compressa e dipendente dalla tecnologia e dall’artificioso quotidiano, più la retorica enfatica legata a questo mito si esaspera e si espande, tanto che, per avvicinarsi il più possibile a quell’immagine riflessa non si teme di patteggiare nemmeno con il diavolo. Una società corrotta in ogni sua evidenza ha bisogno di valori “sani”, o che, quantomeno, la sua massa acritica e rintronata percepisca ancora come tali; in verità, se una delle componenti più radicate di essa non fosse l’ipocrisia, anche il valore dello sport sarebbe stato sepolto da tempo. In questo caso però, data la superiore necessità economica di un ancoraggio a un luogo comune aggregante (e quindi potere usare il pretesto sportivo come grimaldello per aprire le porte ad innumerevoli “occasioni speculative irripetibili”!) l’eccezione alla regola è tollerata. Al cospetto di questo mito tutto è concesso, nessun pudore, nessuna proibizione. Il doping è consuetudine non solo tra i professionisti ma anche, sempre più spesso, tra i “dilettanti”. Pur di primeggiare e di manifestare la propria superiore potenza qualsiasi “carburante” va bene. In un infinito rilancio migliorativo della prestazione che susciti ammirazione e induca al rispetto. Nella decadenza culturale dei tempi allo “sportivo” si dedicano altari, tribune, passerelle mondane, accoglienze da re. E non a caso lo si ricompensa con soldi! Tanti! Troppi! Il denaro appunto. Principio e fine di ogni manifestazione della cosiddetta Civiltà, anche di quella “sportiva”. Qui il mito trasfigura: non più potenza fisica (non solo) ma potenza economica; la volontà di superare diventa metafora della volontà di sopraffare. La necessità insopprimibile di ritornare (seppur per il tempo della sola tenzone) alle origini dell’evoluzione umana regredendo verso lo stato brutale della legge del più forte. Fin qui la parte inconscia e nascosta del fenomeno. Quella visibile e concretissima si traduce invece nella generalizzata voglia di approfittare e di trovare occasioni! La cosiddetta e conseguente “rendita di posizione”. A Tesero essere “sportivo” e avere in tasca la tessera dell’associazione sportiva locale è fondamentale. È la “colla” e il passe-partout indispensabili, per rientrare nei parametri consoni alla locale comunità. Forse adesso le cose sono un po’ cambiate, ma una volta un ragazzo sprovvisto della tessera “Cornacci” appariva “strano”. Io sono sempre apparso “strano”, perché non l’ho mai avuta. A casa mia si pensava ad altro. Quindi non ho mai concorso alla “comunale”, né ho mai partecipato a una “campestre”. Sul Latemàr o sul Cornon o nel Lagorai ci sono andato molte volte, sempre a piedi naturalmente, ma non correndo. Si, sono davvero un tipo strano. Confesso la mia idiosincrasia per le orde delle mamme e dei papà che incitano ossessi i loro ragazzi già dalla più tenera età mentre competono con i coetanei in qualche mini gara. Li trovo di una volgarità e di una bassezza insopportabili. Capisco che per essi quei bambini rappresentino, per trasposizione, la voglia di immortalità di un corpo che giorno dopo giorno (come è giusto che sia) sta declinando e forse, marginalmente, anche di riscatto sociale. Ma pure l’indecenza ha un limite. Forse – come si dice – lo sport è davvero una scuola di vita. Vita da squali! E da approfittatori. Pronti per brigare adeguatamente in questa lurida società. Tutto ciò detto – dato che il sottoscritto appunto “sportivo” qui non è considerato – un rammarico però mi rimane. Perché pur facendomi quel mazzo di chilometri ogni anno, in bici o in groppa al cavallo di San Francesco, quando morirò nessun “memorial” mi ricorderà e al funerale non ci saranno né gagliardetti, né bambini in tuta con le bandierine, né autorità sportive e nemmeno il sindaco con la fascia tricolore che ricorderà le mie eroiche quotidiane imprese. Peccato. Ne soffrirò terribilmente.

L’Orco

25/09/07

ATTENTI AL LUPO! ATTENTI AL LUPO!


Avvolti nell’iperinformazione quotidiana (giornali, radio, televisioni, internet) troviamo sempre più difficile discriminare tra vero e falso. Le innumerevoli fonti confondono. E il profluvio di parole e di immagini stordisce. Troppo spesso si reagisce col qualunquismo o col menefreghismo, accomunando l’autorevolezza alla ciarlataneria. Sforziamoci a distinguere!
Qui di seguito ecco un esempio di come una fonte autorevole abbia dovuto “difendersi” a mezzo stampa (L’Adige del 22/09/07) da un “attacco” politico senza capo ne coda.


Sono stato tentato di rispondere a Giorgio Grigolli («La paralisi dei troppi no», l'Adige 19 settembre) ma ho contato che in un articolo di circa 400 parole ha «affrontato» una decina di argomenti più altri sotto-argomenti, circa trenta parole per argomento: in trenta parole si possono lanciare solo slogan vuoti. Rispondere punto per punto avrebbe significato fare anch'io un minestrone indigeribile, di nessuna utilità al lettore e cittadino. Parlerò quindi di un solo argomento, il più importante dell'elenco: i cambiamenti climatici. Come spesso accade in Italia siamo riusciti a trasformare una occasione utile di dibattito e di informazione in un polverone. Mi riferisco alla conferenza sui Cambiamenti Climatici che si è tenuta a Roma. Il ministro Pecoraro Scanio parlando a braccio ai giornalisti ha tirato fuori numeri sbagliati riguardanti il riscaldamento della penisola italiana. I giornalisti (che peraltro non hanno un obbligo totale di verificare le dichiarazioni altrui) si sono buttati su questi numeri sensazionali. Franco Prodi, climatologo di fama internazionale, invece di soffermarsi sui moltissimi aspetti positivi della conferenza, si è appiccicato su quei numeri per sminuirla (invece di prendersela con chi aveva dato numeri sbagliati). Con questi modi si fa solo polverone e l'opinione pubblica, già frastornata dalla pesantissima decennale campagna di disinformazione delle multinazionali dell'energia, viene confusa e dirottata su aspetti non significativi e non-importanti per la nostra vita futura. Non c'è dubbio che le domande che si pongono i nostri lettori sono molto semplici: cosa è realmente successo nei cento anni passati? Cosa potrebbe succedere nei prossimi venti o cento? Si può fare qualcosa per ridurre i danni futuri? Domande semplici richiedono risposte semplici e precise - nei limiti in cui la nostra capacità di previsione lo consente. Tutto qui. E allora vediamo di dare risposte semplici. La scienza del clima è in progresso, come tutte le scienze. Come tutte le scienze non può dare certezze, ma può dare indicazioni utili nella vita pratica. Tra noi esperti possiamo litigare per un giorno intero se io dico che il riscaldamento globale sarà di tre gradi e l'altro dice di tre-virgola-uno. Ma dal punto di vista del vostro futuro tre e tre-virgola-uno sono la stessa cosa. Vi fa differenza se una macchina vi investe a 30 o a 31 chilometri l'ora? Detto questo, lasciate agli esperti di litigare sui numerini: per voi contano certe cose su cui sono tutti d'accordo (tutti nel mondo scientifico, non gli sceicchi che producono petrolio e che comprano l’informazione). Ecco le risposte semplici alle vostre domande.

1. La terra si sta scaldando.

2. La responsabilità del riscaldamento è nella massima parte dei gas-serra emessi dall'Umanità.

3. Il pianeta si scalderà ancora e l'ammontare del futuro riscaldamento dipenderà dalle decisioni che l'Umanità prenderà in materia di consumo dei combustibili fossili (petrolio, gas, carbone fossile).

4. L'Umanità potrebbe «adattarsi» al riscaldamento futuro se questo si mantenesse al di sotto dei 2 gradi (circa) di aumento rispetto ad oggi.

5. Per contenere il riscaldamento sotto questo limite, è necessario prendere da subito, e certamente entro i prossimi dieci anni, una serie di azioni (innovazioni tecnologiche e organizzative) volte a ridurre le nostre emissioni di gas-serra (e in definitiva a ridurre le nostre combustioni di combustibili fossili). Queste azioni sono conosciute come «mitigazione» del riscaldamento globale;

6. le conseguenze economiche del riscaldamento potrebbero essere distruttive per l'economia mondiale se si avessero aumenti di 3 o 4 gradi. Ci saranno ancora per molti anni personaggi ben identificati che vi diranno che i cambiamenti climatici non esistono: quando ve lo diranno ricordatevi del vento che ha fatto danni in varie zone del Trentino il 18 settembre. Vi diranno che due o tre gradi di aumento della temperatura globale faranno solo bene: ricordatevi dell'ultima volta che avete avuto la febbre a 40 - appena tre gradi sopra la norma. Vi diranno che il riscaldamento presente e futuro non è colpa dell'uomo: provate a mettervi sotto un piumone d'estate. È esattamente quello che stiamo facendo: stiamo mettendo un piumone di gas-serra su tutto il pianeta - pensate che non si scalderà? Vi diranno: fermi tutti, non facciamo niente, quando vedremo danni molto più gravi di quelli che abbiamo già visto, allora ci «adatteremo» alle nuove condizioni climatiche. Ma mi dite chi è l'imbecille che sapendo che la febbre sta salendo e che è dovuta a batteri che si stanno moltiplicando allegramente nel suo sangue decide di non prendere l'antibiotico: lo prenderemo solo dopo che la febbre sarà arrivata a 40? Le conclusioni le avete già tirate da soli: bisogna ridurre per quanto possibile e al più presto le nostre emissioni di anidride carbonica (cioè i nostri consumi di combustibili fossili) e degli altri gas-serra. Si può fare mettendo in atto al più presto nuove tecnologie (in tutti i settori - non pensate solo all'automobile) e nuovi modi organizzativi. Se lo facciamo in tempo, potremo conservare le comodità a cui siamo abituati. Come individui stiamo già facendo qualcosa, ma ora è necessario che la classe politica prenda iniziative sempre più forti e più decise.


ANTONIO ZECCA docente di Fisica del clima all'Università di Trento

24/09/07

PAESE CHE VAI...


Ogni paese ha i crimini che si merita. Anche i delitti rispecchiano il grado di civiltà delle nazioni in cui vengono compiuti. Più la civiltà è evoluta nei consumi, più i crimini appaiono gratuiti, dettati dalle ossessioni o dalla noia. Ragazzi che uccidono i genitori per pochi soldi, lanciatori di sassi dai cavalcavia delle autostrade, omicidi di amanti: il catalogo è ripetitivo come le trasmissioni televisive, come i ponti sui viadotti, come le villette a schiera che sono spesso teatro delle stragi.
In altre civiltà i delitti si tingono di sangue arcaico: nelle strade dell’Algeria lungo i cui lati vengono allineate le teste mozzate, nelle piazze del Ruanda dove penzolano gli impiccati, nei paesi dell’entroterra indiano dove ancora si bruciano o si uccidono le neonate. In certi posti è la religione la causa scatenante dell’omicidio, in altri è la crisi dei valori (anche i valori “religiosi”).
È strano: c’è chi uccide perché è troppo osservante e chi lo fa perché ha smesso di esserlo, perdendo quella spinta etica al rispetto della vita che nella religione c’è, e anche molto forte.
Il paradosso inspiegabile è proprio questo sangue che gocciola da tutto ciò che ha a che fare con i credo religiosi: dalle immagini del Cristo cinto dalla corona di spine con il cuore in mano, al sangue che sgorga dai corpi martirizzati dei santi, fino quello vero di chi viene ucciso perché cattolico, o ebreo, o musulmano. Religione e sangue sembrano inscindibili nei secoli. E se quella manca è facile accusare chi uccide di aver perduto il senso del sacro. Se è troppa, fino a trasformarsi in fanatismo, si resta interdetti di fronte a chi spara in nome del suo dio.
Ciò che è sempre più difficile accettare è il deprezzamento progressivo della vita umana, come se anche questa fosse un saldo, trattata alla stregua delle altre merci, nella frenesia consumistica che ci abitua a non tener conto di niente.


tratto da “Non sono obiettivo” di Oliviero Toscani

INCANTO NOTTURNO

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Sara

LE OCHE E I CHIERICHETTI

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Bepi Zanon

TESERO 1929

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Foto Anonimo

PASSATO

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Foto Orco

ANCORA ROSA

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Foto Archivio

VIA STAVA ANNI '30

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foto Anonimo

TESERO DI BIANCO VESTITO

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Foto Giuliano Sartorelli

LA BAMBOLA SABINA

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LA VAL DEL SALIME

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SEBASTIAN E IL BRENZO DI BEGNESIN

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