19/03/08

LA FINE DI UNA STORIA


L’idea di progresso così come modernamente la intendiamo, era estranea alle culture classiche, greca e latina, e alle antiche civiltà orientali e mediorientali. Esse vivevano soprattutto nel presente, erano sostanzialmente astoriche. Fu il pensiero giudaico-cristiano a introdurre un elemento del tutto nuovo postulando un fine verso cui si dirigerebbe l’intero processo storico: l’attuazione del disegno di Dio attraverso la vicenda umana. Nasceva così la concezione teleologica della Storia. Questa teleologia fu ripresa in chiave non più religiosa ma mondana, epperò ancora più ottimistica, dall’Illuminismo. “La Storia – scrive Carr – fu concepita sotto forma di evoluzione progressiva avente per fine la migliore condizione possibile dell’uomo sulla terra”. Hegel e Marx precisarono il fine e i mezzi per raggiungerla. Il fine era, per entrambi, la realizzazione della libertà, il mezzo era lo Stato moderno per Hegel, la società senza classi per Marx. Per i liberaldemocratici di oggi, che fanno coincidere scopo e mezzi, il fine, e la fine, della Storia è la democrazia.
È sorprendente che una simile visione fideistica e messianica della democrazia si sia affermata in un’epoca come la nostra, in cui anche una “scienza esatta” come la fisica è stata costretta ad ammettere che non ci sono certezza assolute né verità oggettive e che la conoscenza di ogni fenomeno dipende dal punto di vista e dalla posizione dell’osservatore (ma già Nietzsche – e dopo di lui l’empiriocriticismo di Mach e Avenarius – aveva avvertito che non esiste la realtà ma solo le sue interpretazioni).
Il pensiero che la Storia finirà semplicemente perché l’uomo si è dato un certo assetto politico e sociale è innanzitutto ridicolo e infantile proprio alla luce della Storia. Quasi tutti i regimi politici hanno pensato di sé più o meno negli stessi termini. Sembra rendersene conto persino Fukuyama quando scrive: “Anche altre epoche, meno riflessive della nostra, hanno pensato di essere le migliori”. Poi però aggiunge: “Ma noi siamo arrivati a questa stessa conclusione stanchi, per così dire, dell’aver cercato alternative che secondo noi dovevano essere migliori della democrazia liberale”.
Anche la democrazia liberale, nonostante i deliri di immortalità dei suoi ultrà, farà la fine di tutte le costruzioni umane, che sono per loro natura caduche. In particolare quelle politiche che si sono dimostrate assai più fragili e transuenti delle religiose, proprio perché, a differenza di queste devono misurarsi con la dura realtà e non con la metafisica. Scriveva, nel 1684, Lord Halifax, uno dei padri del parlamentarismo: “Niente di più certo del fatto che tutte le istituzioni umane cambieranno e con esse le così dette basi del governo. Il diritto divino del re, i diritti irrevocabili della proprietà o delle persone, le leggi che non possono essere revocate e modificate, non sono che espedienti per vincolare il futuro”. Ma il futuro non è ipotecabile. Perché mai proprio la democrazia, che, in termini storici, è appena una neonata sulla cui solidità nulla si può ancora dire, dovrebbe avere una sorte diversa ed essere il sistema definitivo? Il corso del tempo ha visto sfilare, per restare alle vicende a noi più vicine, le comunità tribali, gli antichi Imperi mesopotamici, la polis greca, la Roma repubblicana e imperiale, il feudalesimo, la monarchia assoluta e quella parlamentare. Alcune di queste forme di organizzazione umana sono durate migliaia di anni e sembravano indistruttibili. Ma l’ultima venuta ha la presunzione di aver detto la parola fine.
L’idea che la democrazia rappresenti il fine e la fine della Storia non è solo infantile e ingenua. È paranoica. La “fine della Storia” sarebbe la storia della fine, la morte dell’uomo, un Eden cimiteriale. Con buona pace dei liberaldemocratici anche la democrazia andrà, prima o poi, nella pattumiera della Storia che finirà solo quando anche l’ultimo uomo sarà scomparso dalla faccia della terra.
Ma anche chi in Occidente non delira alla maniera dei Fukuyama, dei Bush e dei loro infiniti compari e, uscendo dall’ottimismo storicista, non crede che ci siano “leggi della Storia” e che la Storia abbia un fine – che è la posizione, tra gli altri, di Popper – ritiene però che la democrazia sia comunque “il migliore dei sistemi possibili” o quantomeno, il migliore di quelli “finora conosciuti”. Ma questo non è sostenibile, né storicamente né concettualmente. Se si ammette, come Popper, che la Storia non abbia un fine e che non esistano leggi ineluttabili che vanno nella direzione di un costante miglioramento della condizione umana, non c’è nessuna garanzia di un processo lineare e nulla vieta che ciò che ai nostri occhi occidentali, alla inesausta ricerca del meglio, appare come un’evoluzione sia invece il suo contrario. E proprio la tanta decantata democrazia liberale ne è una dimostrazione e un esempio.
Se guardiamo le cose oggettivamente, senza farci abbacinare da nobili e astratti principi, scopriamo che nel rapporto governanti-governati la liberaldemocrazia, rispetto, poniamo, alla monarchia assoluta, ha peggiorato la situazione proprio di quel popolo cui pur ha conferito formalmente la titolarità del potere. Perché può anche capitare che il re per diritto divino o semidivino, proprio perché ha il posto, per così dire, assicurato, prenda le difese del popolo contro le aristocrazie e le oligarchie che lo opprimono, come fecero i Tudor e gli Stuart che per un secolo e mezzo si opposero a quei grandi proprietari terrieri che, fiutando nell'aria l’incipiente capitalismo, volevano recintare i propri terreni rompendo il regime dei campi aperti (open fields) su cui si reggeva il delicato equilibrio del mondo agricolo, salvando così milioni di contadini dalla miseria e dalla fame in cui precipitarono immediatamente, diventando carne da macello pronta per le fabbriche, appena la rivoluzione parlamentare di Cromwell, preannuncio della democrazia, diede il via libera alle enclosures.
Le oligarchie democratiche invece, proprio perché in perenne e feroce competizione fra di loro per il mantenimento del potere, sono costrette a pensare innanzitutto se non esclusivamente a se stesse, alla propria sopravvivenza. E il loro nemico principale, come si è visto, è proprio il popolo.

Tratto da Sudditi – Manifesto contro la Democrazia di Massimo Fini

Nessun commento:

Posta un commento

INCANTO NOTTURNO

INCANTO NOTTURNO
Sara

LE OCHE E I CHIERICHETTI

LE OCHE E I CHIERICHETTI
Bepi Zanon

TESERO 1929

TESERO 1929
Foto Anonimo

PASSATO

PASSATO
Foto Orco

ANCORA ROSA

ANCORA ROSA
Foto Archivio

VIA STAVA ANNI '30

VIA STAVA ANNI '30
foto Anonimo

TESERO DI BIANCO VESTITO

TESERO DI BIANCO VESTITO
Foto Giuliano Sartorelli

LA BAMBOLA SABINA

LA BAMBOLA SABINA
Foto Euro

LA VAL DEL SALIME

LA VAL DEL SALIME
Foto Euro

SEBASTIAN E IL BRENZO DI BEGNESIN

SEBASTIAN E IL BRENZO DI BEGNESIN
Foto di Euro Delladio

MINU

MINU
Foto di Sabina

Archivio blog