05/09/08

BACINO DEL CERMIS: LE PRECISAZIONI DELLA FONDAZIONE STAVA 1985


Riceviamo e pubblichiamo le precisazioni della Fondazione Stava 1985 rispetto a quanto da noi commentato (blog post "LA CARTINA DI TORNASOLE" del 11/08/2008, "PREVENZIONE" del 14/08/2008, "MASI, CERMIS E DINTORNI" del 18/08/2008) a proposito del nuovo bacino di accumulo per l’innevamento del Cermis.

Internet è un formidabile strumento di informazione ma anche, purtroppo, di disinformazione. Ne è un esempio quanto si legge nel blog di Euro Delladio a proposito dei rapporti fra la Fondazione Stava 1985 Onlus e il Comitato per il NO al bacino di raccolta delle acque per l’innevamento artificiale sul Cermis. Vi si afferma fra l’altro, riferendosi alle cause della catastrofe di Stava, che “all’epoca i bacini di Prestavel erano stati ritenuti sicuri”. Vero è, come risulta dalla sentenza penale di condanna per il disastro di Stava, che in oltre 20 anni le discariche non furono mai sottoposte a serie verifiche di stabilità da parte delle società concessionarie o a controlli da parte degli Uffici pubblici competenti. Quanto ai rapporti fra la Fondazione Stava 1985 Onlus e il Comitato per il NO al bacino sul Cermis chi scrive non sa dell’incontro avvenuto nei primi mesi del 2007 fra i rappresentanti del Comitato e quelli della Fondazione. In quell’incontro i rappresentanti della Fondazione avevano più volte ribadito che la catastrofe di Stava è avvenuta non già perché erano stati costruiti i bacini di decantazione della miniera di Prestavel, ma perché i bacini in questione sono stati costruiti male. Nel corso dello stesso incontro era stato precisato che la Fondazione Stava 1985 Onlus non appoggia alcuna scelta di opposizione preconcetta alla costruzione di qualsiasi opera, compresi i bacini per l’innevamento artificiale ovunque essi vengano progettati, ed offre invece collaborazione per eventuali verifiche tecniche volte ad assicurare che, se necessarie, tali opere vengano costruite bene. Allorché il 19 luglio 2007 apparve sui quotidiani locali una nota del Comitato nella quale si affermava che la Fondazione “appoggia l’iniziativa del Comitato del NO all’ampliamento del bacino del Cermis volta a scongiurare che si ripeta una nuova Stava”, la stessa Fondazione aveva scritto una lettera al Comitato, e per conoscenza al Sindaco di Cavalese, nella quale si precisava quanto affermato nel corso del citato incontro e si faceva notare “la coincidenza strumentale con l’anniversario della catastrofe di Stava con la quale il Comitato ha diffuso la citata nota”.
Tutto il resto è disinformazione e polemica strumentale.

Graziano Lucchi
Presidente
Fondazione Stava 1985 Onlus

04/09/08

GLOBALIZZAZIONE E AMBIENTE - 3^ parte



Innovazione/nuovo

Il nuovo ha assunto un valore positivo assoluto. Nella promozione delle merci corrisponde ad un giudizio favorevole indipendentemente dalla reale qualità del prodotto. La considerazione positiva del nuovo si applica indistintamente a tutte le azioni e i prodotti della società contemporanea con tale intensità che l’innovazione è divenuto un tema di interesse prioritario. L’innovazione utile è quella che migliora la qualità ambientale e sociale delle azioni, dei processi, dei prodotti valutando non gli effetti della singola azione ma della totalità delle stesse. È opportuno affrontare il tema dell’innovazione con tutta la criticità possibile al fine di verificare i reali vantaggi che il nuovo comporta senza entusiasmarsi della novità fine a se stessa, ben consapevoli che proprio dietro questo entusiasmo indotto si nascondono i problemi che la novità stessa comporta.

Lentezza

Fare di meno, rallentare può aiutare ad aumentare la consapevolezza di quanto si fa. Probabilmente aumenta la possibilità che i processi decisionali siano partecipati, sicuramente riduce il consumo di risorse e la quantità di emissioni.

Monouso

Una delle massime aberrazioni delle contemporaneità. Ingiustificata e incomprensibile. Quale vantaggio si ha individualmente con un prodotto monouso? La possibilità di non lavare le stoviglie, i tovaglioli ? E per i rasoi? Per gli accendini? Semplifica l’azione? Ma quale complessità è ricaricare un accendino? E che fatica è andare al mercato con un proprio sacco di tela? È invece proprio la ricerca della disaffezione all’oggetto e la riduzione della sua identità specifica che è alla base della società dei consumi. Tutti gli oggetti debbono essere equivalenti in modo da potere essere buttati e ricomprati, casomai uguali a se stessi, in maniera da incrementare il mercato L’enorme costo in termini ambientali ed economici dello smaltimento di tali materiali non giustifica i debolissimi vantaggi derivanti dal loro uso. Non usare prodotti monouso.

Norme

Non sempre le norme aiutano a ridurre il peso ambientale dell’uomo. Anzi spesso motivate dalle logiche della produzione definiscono comportamenti che sono esattamente contrari agli obiettivi di qualità ambientale. Sono anni che si opera per la riduzione degli imballaggi eppure ci sono ferree norme per cui nei bar lo zucchero è in bustine, i panini in plastica, i prodotti dei supermercati iperimballati; sempre per rimanere nello stesso tema, per poco non è passata una norma europea che prevedeva la sostituzione del bicchiere per l’acqua con una confezione monouso. Sono le norme che facilitano la diffusione dei prodotti mono-uso non caricandoli dei costi ambientali e sociali degli smaltimenti; sono le norme che agevolano l’industrializzazione definendo procedure per il controllo della qualità e tipologie di prodotto impraticabili da artigiani; trasporti privati, agli isono le norme che definiscono finanziamenti per coltivazioni atipiche, per agevolazioni ai carburanti aerei, per sovvenzioni ai mpianti di risalita, etc. Le norme nella società di mercato non le fanno i cittadini né i loro rappresentanti ma i grandi interessi le cui richieste sono sempre meno attenuate dal buonismo che l’ampliamento del mercato di venti anni addietro (Est Europa, liberalizzazioni, privatizzazioni acqua, energia) aveva prodotto. Guardare con attenzione critica le norme.

OGM

Creati con la giustificazione di rispondere alle emergenze alimentari, rispondono in realtà all’esigenza da parte delle aziende produttrici di aumentare la produttività per ettaro e di penetrare all’interno del mercato dei semi che attualmente è per gran parte gestito direttamente dagli agricoltori. L’aumento della produttività per ettaro, come noto, non migliora le condizioni dell’alimentazione del pianeta in quanto, come già mostrato dai continui aumenti della produttività dal dopoguerra fino al decennio trascorso, il problema dell’alimentazione è connesso alla distribuzione della produzione (molti paesi producono eccedenze che buttano), alla concorrenza (molti paesi regolano con i loro produttori il prezzo delle risorse agroalimentari), alla struttura sociale in relazione all’uso dei terreni e quindi della produttività locale (le grandi urbanizzazioni rendono le popolazioni dipendenti alimentarmente). Gli OGM non sono utili, possono essere fastidiosi per l’ambiente, sono nocivi per le comunità locali e per la biodiversità naturale.

Plastica

Non vi sono materiali demonizzabili ma vi sono materiali la cui utilizzazione è molto critica dal punto di vista ambientale e sociale e la plastica è uno di questi. La plastica è derivata dal petrolio che è sicuramente la risorsa il cui controllo ha condotto al numero maggiore di conflitti armati negli ultimi decenni; è risorsa in via di esaurimento, fortemente inquinante. È dunque una risorsa ambientalmente e socialmente molto negativa. La plastica è diffusissima per le sue caratteristiche che rendono semplice la produzione e la vendita, per i costi di produzione ridotti che permettono la realizzazione di profitti giganteschi, per i sistemi produttivi, semplici ed accessibili. Di plastica si abusa: in edilizia, nell’arredamento, nell’oggettistica, nelle strumentazioni. Ovunque vi è plastica in un numero elevatissimo di composizioni diverse, con additivi di tutti i tipi, tanto e tanti che a posteriore non è possibile riconosce il cocktail di sostanze in essa presenti. Questo comporta un problema imponente nelle fasi di utilizzazione (rilascio di sostanze inquinanti, rischi di emissioni nocive al fuoco o in altre condizioni di uso) e di smaltimento. La plastica inoltre permette gran parte di quella produzione usa e getta che aumenta esponenzialmente la quantità di rifiuti difficilmente riciclabili. Ridurre la presenza della plastica, come di tutti i materiali inquinanti, ai solo usi specifici e indispensabili porta alla liberazione da una sudditanza, alla ripresa di soluzioni tecniche locali, alla eliminazione di una grande quota di rifiuti.

Popolazione

Il numero degli individui sulla terra è in continuo aumento. L’aumento della popolazione altera i rapporti con le risorse. Già oggi in molte zone del pianeta gli abitanti sono molto superiori alle potenzialità dei luoghi e complessivamente si intravedono i limiti della produttività alimentare dei territori coltivabili. La densità aumenta, lo spazio individuale diminuisce, gli spazi naturali divengono sfridi marginali sia in termini di quantità che di qualità, i comportamenti sono sempre più regolamentati, la produzione industrializzata. Una demagogia diffusa invita alla riproduzione, senza motivo viste le quantità esistenti, ed altera i rapporti tra scelte individuali, piacere, benessere e consapevolezza collettiva. Si possono individuare alcuni ambiti di promozione dell’incremento numerico della specie: il modello economico che ampia il mercato, le religioni che incrementano gli adepti, gli stati che si fanno grandi con il numero degli abitanti. Interessi, dogmi, paure ma nulla di tutto ciò è collegato con il bene individuale e comune.

Qualità/quantità

Da anni si tende a ridurre la strategia della sostenibilità all’aumento dell’efficienza delle azioni che vengono attuate. Il ragionamento attuato è che se una automobile contemporanea inquina significativamente meno di una automobile di quaranta anni fa le condizioni del pianeta migliorano. Ma una automobile di quaranta anni fa faceva molti meno chilometri l’anno di una contemporanea, aveva una vita molto più lunga (e quindi usava al massimo l’energia immagazzinata per la costruzione), e faceva parte di un parco automobili che era una esigua frazione di quello attuale. L’aumento della qualità delle merci è condizione necessaria ma non sufficiente alla risoluzione dei nostri problemi. Ad essa va affiancata una significativa riduzione delle quantità.

Ricerca

La massima parte della ricerca è condotta da soggetti privati che hanno un interesse specifico nella definizione di nuove merci. Dalla medicina, alle attrezzature militari (che sono tra i settori che impegnano i maggiori fondi di ricerca) passando alla cosmesi, ai trasporti, alla chimica fino all’edilizia i soggetti che posseggono maggiori disponibilità economiche investono in ricerca, non rispondendo ad acclarate necessità ma agli specifici interessi del finanziatore. Gli esiti della ricerca non sono risposte alle esigenze della popolazione – anche in ragione del fatto che la ricerca si sviluppa secondo gli stessi criteri economici che regolano l’attuale modello e ne definiscono tutti i limiti – ma risultati che rispondono al massimo del mercato ottenibile dal soggetto promotore. Questa ricerca è solo in minima parte socialmente e ambientalmente utile. Se la ricerca è tesa a risolvere problemi allora non può non considerare che la soluzione di molti di essi si trova non nell’inventare merci ma nel modificare sistemi sociali. La ricerca auspicata è connessa alla società e ne pratica gli interessi, sviluppandosi non sullo specifico tematismo ma sull’interazione tra questo e le modalità con cui la società stessa opera.

Risorse

Nonostante il termine, “risorse” indica una visione dell’ambiente volta alla sua trasformazione o utilizzazione, in quanto l’osserva dal punto di vista utilitaristico per la specie umana: è possibile un uso delle risorse che non comprometta e degradi l’ambiente. Il modello contemporaneo le usa fino a quando producono convenienza economica e quindi molto oltre il limite di uso finalizzato al mantenimento delle potenzialità delle risorse stesse. Ciò è favorito dalla mancanza di controllo da parte delle comunità locali del proprio territorio e delle sue risorse e dalla gestione imprenditoriale delle stesse. La gestione delle risorse nel mondo contemporaneo è molto delicata. Esse sono in continua riduzione, in uno stato di alterazione, insufficienti a garantire i consumi dei benestanti e la sopravvivenza di una popolazione mondiale in continua crescita. Mettere in diretta relazione le risorse con le comunità locali, avviandone una gestione comune, definendo i consumi in relazione alle disponibilità appare non solo un mezzo per mantenere le diversità culturali ed ambientali ma anche di permetterne un uso congruo alle disponibilità.

Risparmio economico

I soldi accumulati hanno un impatto ambientale minore di quello derivante dall’accumulo di merci. Mentre l’economia antecedente alla società dei consumi era basata sul risparmio, quella contemporanea lo è sull’impegno di tutte le disponibilità degli individui nell’acquisto di merci, anche facendo impegnare il futuro ed anche quando le merci non servono. Le merci da un lato sono lo strumento per prelevare ricchezze, dall’altro per accumularne: ambedue gli usi sono spaventosamente dispendiosi per l’ambiente. (Continua)

02/09/08

A PROPOSITO DI ENERGIA NUCLEARE


Ultimamente, in Italia, politici, scienziati e intellettuali
hanno riscoperto le virtù del nucleare contro
inquinamento, effetto-serra, dipendenza energetica
dall’estero, costi dell’energia, modernità e sviluppo.
Ma in realtà…


L’Italia procede a tappe forzate verso il ritorno al nucleare; la diffusa avversione a questa tecnologia, culminata nel referendum del 1987, sembra smorzarsi ogni giorno di più, annegata nelle menzogne: ci dicono che il nucleare è una fonte dal futuro certo, pulita, economica, che non favorisce la proliferazione nucleare e che è sicura. Kristin Shrader-Frechette, dell’Università di Notre Dame, ci aiuta a smascherare queste cinque affermazioni. La prima bugia: il nucleare ha un futuro certo. Sostituire il petrolio con il nucleare è come cadere dalla pentola nella brace. Come il petrolio infatti l’uranio che fa da combustibile nei reattori è in rapido esaurimento, rimangono solo pochi decenni di riserve ai ritmi attuali di consumo, molte meno se le centrali aumenteranno di numero. Non solo: l’uranio usato nei reattori deve avere una certa qualità che è più difficile da trovare direttamente in natura; abbiamo estratto ormai quasi tutto l’uranio di qualità e per fabbricare del combustibile adatto dovremmo sempre più estrarre grandi quantità di uranio povero e concentrarlo artificialmente: questo aumenta enormemente i costi e le emissioni. La seconda bugia: il nucleare è pulito. Il cambiamento climatico è l’emergenza ambientale principale dei nostri tempi. Con il nucleare produciamo energia per i nostri consumi elettrici; la stessa energia può essere prodotta bruciando gas e carbone, oppure sfruttando l’acqua, il sole e il vento. Ci viene detto che l’energia atomica è una fonte pulita in quanto, a differenza di carbone e metano, non produce gas serra. Questa è una bugia, l’unica energia davvero pulita è quella che non è stata prodotta: la fonte di energia più pulita è il risparmio energetico ottenuto attraverso miglioramenti tecnologici (anche banali, come le lampadine a risparmio) che libera energia da utilizzare altrove. Per tutte le altre fonti, una comparazione seria deve tener conto del costo totale del ciclo di produzione. Ad esempio, l’energia solare viene prodotta con i pannelli fotovoltaici, la cui produzione richiede grandi quantità di silicio per la cui estrazione e fabbricazione si utilizzano fonti fossili; alla fine del ciclo di vita del pannello solare dobbiamo calcolare l’energia consumata per lo smaltimento o riciclo del prodotto. Per produrre energia atomica vi sono 9 fasi da affrontare: 1) l’estrazione dell’uranio grezzo, 2) la sua raffi nazione, 3) gassificazione e 4) concentrazione, 5) fabbricazione delle barre, 6) finalmente la produzione di energia, 7) riprocessamento del combustibile esausto, 8) suo stoccaggio presso la centrale 9) successivo trasporto presso il centro di stoccaggio finale. Se ci concentriamo solo sulla fase numero 6, possiamo anche lasciarci convincere del fatto che il nucleare sia una fonte pulita, ma quando guardiamo a tutte le 9 fasi la bugia emerge nella sua interezza. Se nella fase 1 e 2 viene utilizzato l’uranio di bassa qualità, scopriamo che, sì, il nucleare è più pulito rispetto al carbone (in assoluto la fonte più inquinante), ma ha più o meno le stesse emissioni del metano bruciato nelle caldaie a ciclo combinato ed emette 4 volte di più del solare fotovoltaico ed addirittura 8 volte di più rispetto all’eolico. La terza bugia: il nucleare è economico. Ci viene detto che in Italia l’energia costa di più rispetto, ad esempio, alla Francia, perché altrove usano il nucleare. Consideriamo allora l’unica centrale nucleare attualmente in costruzione in tutto il mondo occidentale che è in Finlandia (su tecnologia francese): genererà elettricità ad un prezzo stimato di 11 centesimi di dollaro per kilowatt-ora prodotto. Ma l’energia eolica già oggi costa meno di 4 centesimi di dollaro per kilowatt-ora. Dov’è il trucco? Quando guardiamo ai costi dell’energia elettrica in paesi come la Francia non dobbiamo dimenticare che essa – come Stati Uniti e Russia – è una potenza nucleare che ha investito nel dopoguerra sulla ricerca e sulla costruzione di reattori primariamente per motivi militari. Questi paesi si sono ritrovati così con infrastrutture e tecnologie che potevano essere utilizzate anche per produrre energia. La Francia insomma produce energia atomica a basso prezzo perché questo prezzo non tiene conto degli investimenti enormi sostenuti che sono stati conteggiati come spese militari. Ma anche volendo ignorare questi costi non conteggiati per questioni militari, non possiamo sorvolare sulla questione dei sussidi. L’energia nucleare, negli Stati Uniti ad esempio, ha ricevuto sussidi federali nel corso degli anni per 165 miliardi di dollari che vanno confrontati con i 5 miliardi ricevuti dal solare e dall’eolico insieme. Nel nostro paese, a più di 20 anni dalla chiusura dell’ultima centrale nucleare, spendiamo più denaro per mantenere in sicurezza quegli impianti (i cosiddetti costi di decommissioning) di quanto facciamo per incentivare tutte le fonti rinnovabili. La quarta bugia: l’energia nucleare non ha nulla a che fare con le armi di distruzione di massa. Come disse Hannes Alven, premio nobel svedese, “l’atomo militare e l’atomo civile sono gemelli siamesi”. Questo è vero per i cosiddetti “paesi canaglia” – Iran e Corea del Nord in particolare – che da anni hanno un contenzioso aperto con il mondo sui loro programmi nucleari, ufficialmente perpetrati per usi civili, ma in realtà effettuati per procurarsi la bomba atomica. Ma è anche vero per i paesi occidentali, che hanno drammaticamente scoperto la loro vulnerabilità dopo l’abbattimento delle torri gemelle. Il governo americano ha ammesso che Al Qaeda ha già considerato alcune centrali come possibili obiettivi, e, ad oggi, nessuna centrale nucleare è in grado di resistere allo schianto di un aereo civile. Secondo l’accademia di scienze americana, le conseguenze di un attentato di questo genere potrebbero causare morte e distruzione nel raggio fino a 700 km dalla centrale e danni 10 volte superiori a quelli causati dall’incidente di Chernobyl. Anche il nucleare civile quindi, può diventare per il paese che lo ospita una involontaria arma di distruzione di massa. La quinta bugia: l’energia nucleare è sicura. Volendo anche escludere (ma è solo purtroppo un esercizio teorico) la possibilità di un attentato terroristico, consideriamo la questione della sicurezza delle centrali. Negli ultimi mesi abbiamo saggiato quella delle centrali d’oltralpe, con notizie di incidenti, per fortuna lievi (anche se definire lieve un incidente in cui 100 operai rimangono contaminati è un puro eufemismo), a cadenza quasi settimanale. Ci viene spiegato che i reattori nucleari, soprattutto quelli di nuova costruzione, sono sicuri e a prova di incidente. Anche uno studio favorevole al nucleare del MIT di Boston del 2003 ammette che, se triplicassimo il numero dei reattori correntemente in funzione al mondo, impiegando il meglio della tecnologia oggi disponibile, avremmo la probabilistica certezza di assistere a 4 incidenti gravi – la fusione del nocciolo del reattore come avvenne a Chernobyl – durante l’arco di vita delle centrali con le conseguenze che possiamo immaginare. La prova del nove dell’insicurezza intrinseca del nucleare ce la offrono i suoi stessi promotori. Nessuna azienda privata vuole costruire una centrale senza particolari protezioni contro i danni da responsabilità civile. Per favorire l’atomo quindi il governo federale americano si assume l’onere di eventuali danni da incidenti superiori ai 10 miliardi di dollari (e questi potrebbero essere il 2% dei danni totali causati da un incidente grave). In Italia questo limite è abbassato alla ridicola cifra di 5 milioni di euro. Per capirsi, se accadesse un incidente in una ipotetica centrale atomica dell’ENEL, quest’ultima dovrebbe rispondere solo per danni fino a 5 milioni di euro. Ma se il nucleare è così sicuro, che bisogno c’è di garantire questo scudo protettivo contro le eventuali azioni di risarcimento danni? Rimane poi il problema delle scorie radioattive. È un problema a cui gli scienziati pensano da 60 anni, e a cui ancora nessuno ha trovato risposta. Gli Stati Uniti hanno pensato di seppellirle tutte in un unico posto nel mezzo del deserto nella Yucca Mountain; solo il trasporto delle 70mila tonnellate di scorie richiederebbe 25 anni al ritmo di decine di trasporti al giorno. Anche volendo escludere attentati, e con tutte le accortezze possibili, questi numeri enormi comporterebbero comunque l’eventualità di qualche decina di incidenti durante la fase di trasporto (i calcoli del dipartimento energetico americano). Sarà per questo motivo che tutti gli stati hanno bandito il trasporto delle scorie verso la Yucca Mountain attraverso i loro territori, rendendo di fatto inutilizzabile il sito. Non c’è però modo di essere sicuri che la Yucca Mountain, cosi come Scanzano Jonico – il sito individuato in Basilicata dal governo italiano per lo stoccaggio delle scorie nostrane – rimanga geologicamente stabile per le centinaia di migliaia di anni necessari per impedire incidenti. Di più, come fare a garantire che da qui a qualche migliaio di anni vi siano istituzioni quali l’esercito in grado di garantire la sicurezza dei siti e di impedirvi l’accesso quando le istituzioni più vecchie che noi conosciamo hanno al massimo 2000 anni? Una commissione di scienziati riunita per deliberare in proposito non è riuscita a suggerire niente di meglio che la costituzione di un tabù, il loro argomento era il seguente: se riuscissimo ad istigare un rispetto reverenziale ed una paura atavica e sacrale per un certo luogo potremmo sperare che questo tabù sopravviva ad eventuali guerre, rivoluzioni istituzionali e crolli di civiltà; se anche tra qualche migliaio di anni gli Stati Uniti d’America o la Repubblica Italiana non ci dovessero essere più come noi li conosciamo, forse ai bambini verrà ancora insegnato di tenersi lontano da quei posti perché maledetti. Ecco dove si esaurisce la sicurezza dell’energia nucleare: ci dobbiamo affidare alle maledizioni dei racconti dei vecchi per sperare di tenere lontani le future generazioni dai rifiuti avvelenati della nostra civiltà. Qualcuno usa queste menzogne per convincerci dell’ineluttabilità del ritorno al nucleare dell’Italia. Noi crediamo che questo progetto si arenerà da solo quando si comincerà a discutere di dove sistemare le 5-10 centrali di cui si parla. Nel frattempo è bene costruire la consapevolezza di quali sono gli aspetti scellerati di questa tecnologia e di quali sono le reali alternative possibili. Parliamo spesso in queste pagine delle fonti energetiche alternative. Già oggi, nel 2008, l’eolico è una fonte molto più conveniente del nucleare e nel giro di pochi anni anche il solare diventerà competitivo. Se davvero dobbiamo investire decine di miliardi di euro per liberarci della dipendenza dalle fonti fossili, cerchiamo di spendere bene questi soldi investendo nelle vere fonti del futuro, le rinnovabili, e non nel nucleare dal futuro maledetto.

Matteo Rizzolli

(I dati citati in questo articolo sono tratti da una
presentazione di Kristin Shrader-Frechette alla conferenza
di Econometica sulla sostenibilità ambientale e
CSR del 3-4 giugno 2008.)
Kristin Shrader-Frechette è una biologa e filolosofa che si
occupa da molti anni di questioni nucleari anche in commissioni
di studio del dipartimento per l’energia del governo statunitense

31/08/08

AL CITTADINO NON FAR SAPERE


Grazie alle intercettazioni giustamente pubblicate da Panorama, sappiamo come si comportava il premier Romano Prodi dinanzi a richieste di raccomandazione. Cioè all'opposto di Berlusconi. Quando il consuocero, primario a Bologna, chiese fondi pubblici per una struttura pubblica di ricerca biomedica, Prodi girò la pratica al ministro competente Mussi, che liberamente decise di no. Idem quando un amico industriale farmaceutico chiese agevolazioni fiscali per una fondazione scientifica: la pratica passò al Tesoro che, avendo già deliberato per il 2007, suggerì di rifarsi vivo nel 2008 (nulla di fatto anche in quel caso). Quando invece un nipote chiedeva consigli privati per una società privata, Prodi privatamente glieli dava. Grazie, poi, alle dichiarazioni di Prodi, abbiamo almeno un politico (purtroppo in pensione) che non ha nulla da nascondere e dunque chiede di pubblicare tutte le sue telefonate intercettate. E rifiuta la solidarietà pelosa di chi, a destra e a sinistra, vorrebbe il silenzio stampa per legge: così si saprà che esistono intercettazioni su Tizio o Caio, ma queste resteranno nel cassetto, così Tizio o Caio rimarranno sospettati a vita anche se non han fatto nulla di male. Anche stavolta, come ciclicamente accade da qualche anno, cioè da quando le intercettazioni hanno svelato ai magistrati (e ai cittadini italiani) gravissimi scandali, s’è messa in moto la compagnia di giro di politici e commentatori specializzati nell’invocare “una legge sulle intercettazioni”: guinzaglio ai giudici e bavaglio ai cronisti. Solo che stavolta lorsignori non si sono accorti di un particolare non da poco: quelli pubblicati da Panorama non sono atti pubblici, cioè già depositati a indagati e avvocati, dunque raccontabili dalla stampa. Sono atti ancora coperti da segreto, custoditi - come scrive un po’ comicamente Panorama - in una cassaforte della Procura di Roma, cui li ha trasmessi per competenza quella di Bolzano che indaga su tutt’altro (Siemens-Italtel). Dunque chi li ha passati a Panorama - Guardia di Finanza, o magistrati o personale di Procura - ha commesso un reato: art. 326, rivelazione e utilizzazione di segreti di ufficio da parte del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio. Il quale è punito col carcere da 6 mesi a 3 anni, insieme al giornalista che concorre nel suo reato (questi però è tenuto al segreto professionale e non rivela la fonte, difficilissima da individuare). Dunque è già vietato dalla legge vigente divulgare notizie segrete e non c’è bisogno di farne un’altra per vietarlo di nuovo. Si dirà: ma le notizie segrete continuano a uscire. Vero: il mondo è pure pieno di rapinatori, stupratori, spacciatori, scippatori, omicidi che continuano a delinquere anche se è già vietato rapinare, stuprare, spacciare, scippare, ammazzare. Ma a nessuno salterebbe in mente di fare ogni volta una nuova legge che proibisca comportamenti già proibiti. Resta da capire, allora, di che vadano cianciando Sergio Romano sul Corriere e il consueto stuolo di politici bipartisan che anche ieri hanno invocato una nuova legge: il ddl Berlusconi-Alfano varato in giugno dal governo (fino a 5 anni di galera per i giudici che dispongano intercettazioni per reati puniti fino a 10 anni; fino a 3 anni di galera per i cronisti che le raccontino), o qualcosa di simile. Quella legge infatti, che per i giornalisti riprende peggiorandola la Mastella votata un anno fa da tutta la Camera (447 sì e 9 astenuti), non vieta di pubblicare atti segreti (è già vietato). Vieta di pubblicare atti pubblici: cioè verbali, avvisi di garanzia, ordini di cattura, decreti di perquisizione anche contenenti intercettazioni, già depositati alle parti, dunque non più segreti, dunque raccontabili. Atti che non c’entrano con le telefonate di Prodi, ancora segrete, come lo era la famosa conversazione Fassino-Consorte sul caso Unipol, anche allora in mano alla Guardia di Finanza e pubblicata dallo stesso cronista Nuzzi sul Giornale allora diretto dallo stesso Belpietro. La nuova legge guinzaglio-bavaglio non servirà a impedire l’uscita di atti segreti (già vietata e punita col carcere), ma di atti pubblici. Come quelli che hanno consentito ai cittadini di essere doverosamente e tempestivamente informati sui casi Telecom, Calciopoli, Bancopoli, Sismi, Cuffaro, Del Turco e persino sui delitti nella clinica Santa Rita. Con la legge che Berlusconi da destra, l’avvocato Calvi da sinistra e Romano sul Corriere invocano a gran voce, non sapremmo ancora nulla di nulla, visto che (Cuffaro a parte) i processi non sono ancora iniziati. E i vari Moggi, Fazio, Fiorani, Consorte, Gnutti, Pollari, Pompa sarebbero ancora tutti ai posti di combattimento, liberi di continuare indisturbati, come prima e più di prima. Per la serie: al cittadino non far sapere quanti scandali nasconde il potere.

Marco Travaglio

INCANTO NOTTURNO

INCANTO NOTTURNO
Sara

LE OCHE E I CHIERICHETTI

LE OCHE E I CHIERICHETTI
Bepi Zanon

TESERO 1929

TESERO 1929
Foto Anonimo

PASSATO

PASSATO
Foto Orco

ANCORA ROSA

ANCORA ROSA
Foto Archivio

VIA STAVA ANNI '30

VIA STAVA ANNI '30
foto Anonimo

TESERO DI BIANCO VESTITO

TESERO DI BIANCO VESTITO
Foto Giuliano Sartorelli

LA BAMBOLA SABINA

LA BAMBOLA SABINA
Foto Euro

LA VAL DEL SALIME

LA VAL DEL SALIME
Foto Euro

SEBASTIAN E IL BRENZO DI BEGNESIN

SEBASTIAN E IL BRENZO DI BEGNESIN
Foto di Euro Delladio

MINU

MINU
Foto di Sabina

Archivio blog