10/05/08

INTERVISTA A SERGE LATOUCHE


"Lo sviluppo sostenibile? Una chimera. Siamo tutti a bordo di quella che lo studioso Bernard Hours ha chiamato 'un'ambulanza mondiale', con le Ong e i vari movimenti umanitari in veste di soccorritori al capezzale dei Paesi poveri. E tutti insieme, infermieri e pazienti, corriamo dritti verso il precipizio, ossia la totale consumazione delle risorse naturali. Ci salveremo solo se sapremo scendere in tempo, abbandonando per sempre la macchina dello sviluppo". - Vincenzo R. Spagnolo: Dunque, professor Latouche, lei sostiene che persino l'idea stessa di sviluppo e' in crisi.- Serge Latouche: Senza dubbio. La crisi della teoria economica dello sviluppo, iniziata negli anni Ottanta, si e' ormai aggravata. Con la caduta del muro di Berlino aziende e mercati avevano annunciato ufficialmente che il pianeta si era unificato. Poi l'avvento della globalizzazione ha mandato in frantumi il quadro statale delle regolamentazioni, permettendo alle disuguaglianze di svilupparsi senza limiti e segnando la comparsa del cosiddetto "trickle down effect", ossia la distribuzione della crescita economica al Nord e delle sue briciole al Sud. Dal 1950 la ricchezza del pianeta e' aumentata sei volte, eppure il reddito medio degli abitanti di oltre cento Paesi del mondo e' in piena regressione e cosi' la loro speranza di vita. Si sono allargati a dismisura gli abissi di sperequazione: le tre persone piu' ricche del mondo possiedono una fortuna superiore alla somma del prodotto interno lordo dei 48 Paesi piu' poveri del globo. In simili condizioni, lei comprende che non e' piu' di attualita' lo sviluppo, ma solo piccoli aggiustamenti strutturali. Che passano sotto il nome di "sostenibilita'" e sono invece una spaventosa mistificazione. - Vincenzo R. Spagnolo: Perche', professore? - Serge Latouche: Perche' tutte le varie espressioni "sviluppo sostenibile", "vivibile" o "sopportabile" sono solenni imposture: negli ultimi due secoli, lo sviluppo e' sempre stato contrario all'idea di sostenibilita', poiche' ha cinicamente imposto di sfruttare risorse naturali e umane per trarne il massimo profitto. Oggi il vecchio concetto e' stato rivestito con una patina d'ecologia, che tranquillizza l'Occidente e nasconde la lenta agonia del pianeta. Lo sviluppo cambia pelle, insomma, ma resta se stesso. In Africa, in nome dello sviluppo, i fedeli musulmani della localita' di Kulkinka, nel Burkina Faso, hanno deciso che alleveranno maiali. Niente e' proibito, se porta lo sviluppo. E non serve da freno la morale, ne' la cultura. Il "pensiero unico" del mercato annulla perfino le identita' nazionali: desideriamo gli stessi beni e quindi siamo tutti uguali. Senza contare i danni che il progresso tecnologico causa all'intero pianeta. La concorrenza e il libero mercato hanno effetti disastrosi sull'ambiente: niente limita piu' il saccheggio delle risorse naturali, la cui gratuita' spesso permette di abbassare i costi. - Vincenzo R. Spagnolo: Un quadro davvero sconfortante, professor Latouche. Non teme le accuse di catastrofismo? - Serge Latouche: No, perche' quello che dico e' sotto gli occhi di tutti: la concorrenza esacerbata spinge i Paesi del Nord a manipolare la natura con le nuove tecnologie e quelli del Sud ad esaurire le risorse non rinnovabili. In agricoltura, l'uso intensivo di pesticidi e irrigazione sistematica e il ricorso a organismi geneticamente modificati hanno avuto come conseguenze la desertificazione, la diffusione di parassiti, il rischio di epidemie catastrofiche. Il collasso del pianeta si avvicina, insomma, ma invece di lavorare a un'alternativa che eviti la fine delle risorse naturali, si continua a ragionare su correttivi piu' o meno efficaci, sulla "sostenibilita'" appunto. Ma cosi' si confonde il morbo con la cura. - Vincenzo R. Spagnolo: Quale'e' la cura, allora, a suo parere? - Serge Latouche: C'e' un vecchio proverbio che suona piu' o meno cosi': "se hai un martello conficcato in testa, tutti i tuoi problemi avranno la forma di chiodi". Dobbiamo levarci dalla testa il martello dell'economia, decolonizzare il nostro immaginario dai miti del progresso, della scienza e della tecnica. Far tramontare l'onnipotenza dell'"assolutismo razionale" che crede di poter assoggettare ogni cosa al suo volere, e sostituirlo col ragionevole, che si adegua alle mutate condizioni della natura. Questo e' il primo sforzo a livello concettuale. Concretamente, poi, bisogna proseguire nell'opera di contrasto della "megamacchina" dello sviluppo. - Vincenzo R. Spagnolo: E come? Con lo strumento del boicottaggio? - Serge Latouche: Ho poche speranze sul successo finale delle pratiche di boicottaggio delle multinazionali. Anche se hanno dato frutti di recente, come nei casi della Shell in Germania e della Del Monte in Kenya, non hanno verdi prospettive: i grandi gruppi economici stanno infatti reagendo rapidamente, formando cartelli in settori vitali come quello farmaceutico, agroalimentare o delle comunicazioni per impedire ai consumatori qualsiasi alternativa. Io stesso, nelle scorse settimane, volevo boicottare il gruppo Total-Fina, proprietario della petroliera Erika che ha causato il disastro delle maree nere sulle spiagge della Bretagna, e mi sono ritrovato impotente in autostrada a dover fare benzina ai loro distributori, perche' erano gli unici nel raggio di migliaia di chilometri. Insomma e' giusto far diventare, come scrive l'economista italiano Antonio Perna, un "bisogno" la scelta etica del consumatore, ma non basta. E' necessario, aggiungo io, affiancare alla guerra di trincea il concetto di "nicchia", un luogo cioe' dove progettare una seria alternativa da estendere poi a grandi settori della societa'. Io studio da anni certe economie cosiddette "informali", che sono in realta' veri e propri laboratori del dopo-sviluppo. - Vincenzo R. Spagnolo: Si riferisce al tipo di societa' basata sulle relazioni interpersonali descritta nel suo libro L'altra Africa?- Serge Latouche: Esattamente. Anche se, di fronte alla evidenza dei successi di certi "imprenditori a piedi scalzi", gli occidentali continuano scioccamente a pensare a quella africana come a un'accozzaglia di "straccioni" che sopravvive in attesa di accedere alla terra promessa della modernita', dell'economia ufficiale e del vero sviluppo. In realta' le migliaia di piccole imprese e il colorato insieme di mestieri (dalle intrecciatrici di strada ai bana-bana, commercianti ambulanti che vendono alle donne senza frigorifero olio "sfuso" o sacchetti di latte in polvere) non possono essere etichettati semplicemente come "naufraghi dello sviluppo". Essi sopravvivono perche' hanno prodotto un tipo di societa' basata non sui rapporti economici ma sul valore delle relazioni sociali e sulla logica del dono. Intendiamoci, parlo di una societa' non assolutamente affrancata dal mercato ma che, comunque, non obbedisce supinamente alla logica mercantile. In questo tipo di societa', che io chiamo vernacolare, ciascuno investe molto nei legami interpersonali, da' in prestito denaro, beni materiali e perfino tempo o lavoro. Lo fa senza pensare a un tornaconto immediato, perche' reputa importante crearsi un gran numero di "cassetti", per usare un'espressione della periferia di Dakar, cioe' di persone debitrici a cui attingere in caso di bisogno. Un po' come le esperienze che noi occidentali stiamo riscoprendo e che vanno sotto il nome di "banca del tempo" o "local exchange trade systems" (sistemi di scambio locale). - Vincenzo R. Spagnolo: Ci sono segnali di speranza quindi? - Serge Latouche: Oltre alla presenza di nuovi modelli di societa', mi conforta che le coscienze di alcuni Paesi si stiano lentamente risvegliando. Lo mostrano ad esempio i recenti fatti di Seattle. Il gigantesco baraccone del "Millennium Round" messo su' dalla World Trade Organization non e' crollato solo per le forti proteste di piazza delle organizzazioni non governative. E' fallito, ed e' cio' che piu' conta, anche per il dissenso dall'interno dei rappresentanti di molti Paesi in via di sviluppo, alzatisi dai tavoli delle trattative perche' indignati dall'incredibile arroganza delle nazioni occidentali. - Vincenzo R. Spagnolo: Secondo molti commentatori, anche gli attacchi lanciati tempo fa dagli hackers ai grandi siti web commerciali come Amazon o Yahoo! potrebbero essere una forma di protesta contro la globalizzazione e i suoi nuovi strumenti, come internet appunto. Qual e' il suo giudizio su questo tipo di protesta? - Serge Latouche: Credo che il pensiero unico del mercato sia da sempre onnivoro e tenda a occupare ogni possibile spazio. Ha fatto cosi' anche con internet, nata per le comunicazioni in ambito militare e fra gli studiosi e ora, per una di quelle finte della storia di cui parlava Hegel, trasformatasi nel piu' potente veicolo delle merci sul pianeta. Pero' i fatti di questi giorni dimostrano come la rete sia ancora un luogo con ampi spazi di liberta'. D'altronde, neanche le proteste di Seattle sarebbero state possibili senza il coordinamento fra associazioni e Ong di tutto il mondo, iniziato anni fa proprio su internet.


Vincenzo R.Spagnolo

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