23/08/07

CHE LA FESTA SIA CON VOI!


Giugno la falce in pugno, luglio l’avena e il grano, agosto…Bartolomeo ti riconosco. Finalmente ci risiamo …e la festa continua. Riecco il grande tazebao, sotto gli orti del Comune, che annuncia puntuale la festa delle feste: San Bartolomeo. Ah, quanto l’avevamo attesa! Non vedevamo l’ora. San Liseo al confronto… Ma attenzione, lo puntualizziamo per i meno avveduti: questa sagra è una purissima invenzione propagandistica tirata fuori, poco meno di venti anni or sono, dal cilindro dei maghi della promozione turistica locale, da sempre annidati nel privatissimo consiglio d’amministrazione della ITAP s.p.a. e in quello meno privato (ma non di molto) del Comune. Non a caso la “strapaesana de la birra, de la polenta e de le lüganeghe” si celebra proprio ai 1750 di Pampeago. E quel santo, Bartolomeo, dopo una sbrigativa ricerca, lo si scomodò dal suo perfetto anonimato soltanto perché dotato di una semplice ma indispensabile caratteristica: il suo onomastico coincideva esattamente con l’apogeo della stagione estiva in quota e con un periodo statisticamente clemente del tempo. Ma c’è di più, San Bartolomeo è in verità solo un prestanome. Il vero festeggiato della tre giorni pampeaghiana è quel san Piero da Tesero non ancora santo nei Cieli ma già santissimo in Terra. Particolarmente proprio in quella terra di confine tra la pala di Santa e il Cornon in cui “ab immemorabili” è oggetto di culto e di venerazione da parte dei pellegrini che ivi copiosamente transitano. Quel san Piero da T di cui il più celebre miracolo che si ricordi e che si ripete ogni anno, quasi ogni giorno, da novembre ad aprile è quello della trasformazione dell’acqua in neve (anche quando di nuvole non ce n’è e splende il sole) e successivamente, soprattutto!!, della neve in soldi. Ma questa è un’altra storia di cui riparleremo in altra occasione.
Torniamo dunque alla festa. La sagra di San Bartolomeo è la celebrazione più importante della comunità o per meglio dire della famiglia teserana, del tutto si tiene e tutto s’accosta, del sacro al profano, del pubblico al privato, “de i bali a le bale” (termine quest’ultimo che qui a Tieser, vuol dire al contempo bugie e sbornie, entrambe le accezioni ben confacendosi quindi all’occasione). Insomma la solenne apologia della perfetta teseranità. È questa l’occasione attesa dai maggiorenti locali per ricomporre il gregge, ricucire gli strappi con la dissidenza, architettare nuove furberie, richiamare parti della società recalcitranti, promettere favori, pagare biceri (il giusto, non si esageri!) al Toni, al Bepo e al Franzele, eccetera. Pampeago per tre giorni, intorno al 24 di agosto (dal venerdì sera più prossimo a quella data sino alla domenica sera successiva) diventa il catino culturale del paese. Fiumi di birra passano dai barili pressurizzati di alluminio alle pance dei giovani virgulti locali e successivamente fiumi di altrettanta bevanda spumosa si spandono (dopo breve ma opportuna stagionatura negli intestini degli stessi virgulti) sui prati dell’Alpe. Migliaia di autoveicoli fanno la spola tra il paese e la stazione turistica, s’inerpicano dai 1000 di T ai 1750 di P disegnando lungo il tragitto un festoso e olezzante serpente d’auto che trasporta, sul calar delle tenebre, la migliore gioventù del luogo alla ricerca del tempo perduto e di inebrianti scacciapensieri. Ed è giusto e sacrosanto che così sia. Perché quel san Piero da T, pardon, quel San Bartolomeo, che qui a tutto provvede, proprio questo pretende. E non è un caso, se, con acconcia deferenza, volonterosi e indulgenti carabinieri appostati alle “Tabelle” fermano solo di tanto in tanto chi rientra al paesello dopo la lieta nottata. Capita invero a volte, pur con quel gran santo che sorveglia, che gli alcol test comprovino impietosamente quanto si sia alzato il gomito e che quindi la cultura da poco immagazzinata all’Alpe si svapori in poco più di un respiro dentro a un palloncino. Vabbè… pazienza, ne valeva comunque la pena! Il sabato bis. Di nuovo gioiosi caroselli d’auto. Il tendone trabocca di giovani teserani; gli ingredienti ancora quelli: aria buona, musica di qualità, disquisizioni sul sacro, silenziose meditazioni e per i più meritevoli, dopo l’ascesi, figa!! E arriva finalmente la domenica: il clou. Sul proscenio naturale della sagra, con il mirabile sfondo del Latemàr, entrano in commedia anche gli anziani. La festa si fa più seria. Santa messa, (mai che la si faccia franca, cazzo!), coro, banda, comunioni, benedizioni, l’immancabile polenta, di nuovo biceri, “bali e bale”: tutto l’armamentario evocativo ben dispiegato, non manca nulla; e poi ancora fiumi di birra dentro, fiumi di piscio fuori. L’apoteosi è vicina, il meriggio sta velocemente passando. Dal cielo che sovrasta l’ameno e virtuoso ritrovo, per intercessione del Nostro Santissimo, il Sacro Spirito del paese, soddisfatto della prova data ancora una volta da quella sua valorosissima gente, ridiscende, sull’intera collettività finalmente rinsavita. Per un anno ancora il paese sarà di nuovo un solo ovile sotto un solo pastore.
Il sole sta tramontando. Il tendone è una camera a gas d’aliti d’aglio e di alcol, la percezione del tutto si fa più confusa. Di tanto in tanto pare si avvicini un temporale; ma no, no… non eran tuoni, erano rutti! Mesta s’avvicina l’ora dell’addio. Si rigira la chiavetta, i motori dei giovani virgulti ritornano a esalare inebrianti aromi di gasolio combusto che si miscelano con l’odore delle ultime lűganeghe rostìe. La folla, stanca ma felice risale sugli obbedienti e lucidi fuoristrada che in breve, rombanti, ridisegnando un lungo monocromatico serpente di lamiere argentate, ripercorrono la strada verso valle. Sull’Alpe, lentamente, ritorna la quiete. Le vacche ancora al pascolo ringraziano il Santo Patrono.
Tratto da "IL PAESE DEI SAPIENTI" di Ario Dannati

2 commenti:

  1. Caro Euro, da tempo aspetto invano una tua riflessione sull'evento che, per persone che come me lavorano nel campo della formazione e della produzione culturale, é un vero affronto. Mi riferisco a "I suoni delle Dolomiti" o meglio "I suoni ...nelle Dolomiti" in quanto il suono della montagna è, per definizione, sempre stato il silenzio. Si tratta dell'ennesima ipocrisia operata dal mercato del turismo che intende far passare come operazione culturale una mera e bieca operazione di marketing. Intendo dire che dietro al battage pubblicitario che mette in campo la Trentino S.p.A. per promuovere questi eventi, potrebbe tranquillamente starci il mio coro e richiamerebbe ugualmente lo stesso strale di persone che va a sentire Sarah Chang. Sarah Chang? Chi è? Questa è la domanda che l'anno scorso la maggior parte delle perosne che salivano a Paneveggio per sentirla si ponevano e stupivano del fatto che invece che una rockstar si trovassero davanti una delle migliori violiniste che ci sono in circolazione. Questa è la realtà. Che senso ha mandare la Mullova ad eseguire "Verklärte Nacht" tra i peci davanti a persone che si annoiano anche e solamente nel sentire l'integrale dell'ouverture del "Guglielmo Tell"? Meno male che c'è il panino che occupa la bocca e nasconde gli immancabili sbadigli. Conosci "Verklärte Nacht", vero? Ecco, passa la festa estiva e tutto il trasporto verso la "cultura" si sgonfia nei soliti riti. Nella stagione fredda la "cultura" non serve poichè il mercato si alimenta da solo. E noi che ben volentieri andremmo ad ascoltare la Mullova al palacongressi, dove l'acustica impreziosisce più dei peci il suono del suo violino, restiamo a bocca asciutta e dobbiamo accontentarci del suono di qualche banda, di qualche coro, che in questo caso hanno di buono, soprattutto per l'economia dell'APT, che costano molto, ma molto meno della Mullova. Ci siamo capiti credo. Non tiro in ballo poi il discorso ambientale: concentrare mille persone sui prati di Bombasel non credo faccia la felicità delle marmotte o delle formiche che ci vivono sotto....

    Linux

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  2. Gentile Linux, condivido il tuo pensiero in merito alla rassegna estiva “I suoni delle Dolomiti”. La tua analisi è esatta. La tua “invettiva” meriterebbe di ragionarci su per bene. Ma in due righe è impossibile. Semplifico quindi al massimo (con tutte le lacune della semplificazione). Quando si concepì l’iniziativa, gli strateghi della promozione turistica provinciale, sulla base dei dati di mercato, sapevano che il punto debole del turismo in provincia, cui dare urgentemente “risposte” nuove, era rappresentato dell’offerta estiva delle località montane. Bisognava rompere l’inerzia di un turismo troppo compassato e troppo poco dinamico. Un turista che si “accontenta” solo di aria buona e di silenzio, che non si muove e non consuma, non è sufficientemente “produttivo”. Pertanto tra le tante trovate che si escogitarono per far correre la gente e dunque i soldi e tentare di diversificare il “target” tradizionale rappresentato da ospiti piuttosto anziani ci fu anche quella di puntare su proposte di qualità. Nella fattispecie proposte che abbinassero la cultura musicale (che teoricamente è la meno mediata e quindi di più facile presa) all’immagine più pura del nostro territorio. Cioè appunto quelle Dolomiti conosciute nominalmente in tutto il mondo. L’idea era buona (fatte salve le intollerabili contraddizioni da te ben sottolineate). Siccome però il turismo (cioè il business, che poi alla fine è il solo…fine) si fa coi numeri, il risultato è quello da te constatato: da un canto molte persone (troppe) radunate in luoghi che avrebbero bisogno del massimo rispetto, stravaccate sul pascolo che ascoltano?, mangiano panini, bevono birra, che magari si annoiano pure e di cui forse soltanto lo 0, % si entusiasma davvero per la proposta musicale, dall’altro parecchi autentici appassionati esclusi loro malgrado e impediti di assistere a concerti proposti da interpreti di livello assoluto in ore e luoghi più appropriati. In altri termini: le perle ai porci! Ma questo ai signori “promoters” non importa. Il fine è l’immagine che ne deriva che poi si fa viaggiare in Internet e il “ritorno” che essa produce: la consistenza dei soldi che il sempre più esuberante e insaziabile esercito degli operatori del settore si ritrova alla sera nel cassetto.

    P.s.
    Credo di non aver mai ascoltato la “Notte trasfigurata” e di ciò me ne dolgo, ma ti confesso che se anche avessi avuto la possibilità non sarei salito sino a Paneveggio per ascoltarla. Non ho le orecchie sufficientemente colte per apprezzare Schőnberg.

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INCANTO NOTTURNO

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