21/02/10

SÌ, SONO INCOERENTE


Vedo che ti ostini a credere ch'io ne faccia una questione personale nei tuoi confronti. Te l’ho già detto, non è così. Ho deciso di pubblicare la risposta direttamente sul blog dato che la tua, pur inviatami separatamente, fa riferimento a un mio precedente post. Naturalmente avrei pubblicato anche le tue contestazioni, ma non avendomi autorizzato per il momento soprassiedo. Casomai fammi sapere.
Per cominciare non capisco il tuo risentimento per l’appunto sulla scarsa attenzione alla questione urbanistica, che ho mosso all’attuale Opposizione consiliare, anche in conseguenza, a mio vedere, di un conflitto d’interessi al suo interno. Ebbene, ribadisco questa mia convinzione. In ogni caso dovresti ben sapere che la titolarità di una carica pubblica comporta anche il rischio di essere fatti oggetto di critica. Io che pure non sono amministratore e non determino quindi né direttamente né indirettamente le cose, da due anni (cioè da quando qualcuno mi legge) sono bersaglio di una discreta maldicenza. Pur non avendo detto, anzi scritto, nulla di sbalorditivo, se non cose che in molti sanno e conoscono. Ma pur essendo risapute lo stile ortodosso di questa comunità presuppone e pretende che non le si dicano e, soprattutto, che si finga di non saperle. Chiuso il preambolo, vado al cuore della questione.
1 – C’era una locuzione molto in voga, che girava tra i politici locali del dopo Stava: “valorizzazione territoriale”. Nella sostanza, traducendo, con essa s’intendeva semplicemente dire cementificazione. Se consideriamo l’andamento demografico di Tesero degli ultimi 30 anni e l’incremento del patrimonio immobiliare possiamo senz’altro convenire che l’obiettivo è stato abbondantemente raggiunto e superato. In quel periodo tu non eri ancora partecipe di quel “nobile” intento in divenire, ma gli studi professionali, come già scrivevo, si stavano organizzando proprio per poter soddisfare il raggiungimento di quell’ambito traguardo. I risultati di quella “valorizzazione”, ancorché purtroppo non conclusa, sono ben visibili e tangibili. Il consumo territoriale pretende nuovo consumo. È una catena che si allunga, anello dopo anello, ad ogni nuova costruzione che si aggiunge. Peraltro, particolarmente nel nostro paese, che non ha, come ho detto più volte, la possibilità di diluire i flussi di traffico da e per i nuovi inurbamenti, questo sregolato progredire produce una sempre maggior sofferenza del centro. Nuove case, nuovo traffico. Nuovo traffico, diminuzione della qualità della vivibilità urbana. E poi, in conseguenza della mancanza di spazio disponibile per allocare veicoli che fanno avanti e indietro, necessità di realizzare infrastrutture di sosta e parcheggio. Quindi sottrazione di spazio naturale e qualità ambientale per realizzarle. Quindi ulteriore peggioramento della vivibilità complessiva. Quindi, per chi sta nell’abitato vecchio, risorse finanziarie permettendo, voglia o necessità di ritrovare in periferia la qualità perduta, alimentando altro inurbamento. Quindi ancora, proseguendo in questo perverso avvitamento, progressiva cessione alla speculazione del patrimonio immobiliare del centro antico, che passa spesso nelle disponibilità di foresti, per essere usato da essi soltanto qualche periodo all’anno. Quindi difficoltà per il piccolo commercio “di vicinato” di sopravvivere. Dato che, per l’ex clientela, che ora abita in periferia (a Proprian piuttosto che a Restiesa, ai Piani da Fia piuttosto che te Sottopedonda o te Arlasa, te Rial piuttosto che ta Cerin, eccetera) e che per spostarsi usa normalmente l’auto, è ormai del tutto indifferente tirar de lòngo e nar a proveder föra Piera o ta Süan. E avanti avanti con questa insostenibile catena. Certo l’economia apparentemente va. L’esercito delle ditte artigiane aumenta ogni anno di più. Soldi girano, nero (tanto) gira, fuoristrada girano. Ma peggiora il profilo complessivo del paese e più peggiora, più le risposte alle seguenti domande si fanno attendere: dove si vuole arrivare? Ma per vivere (bene) è logico proseguire in questo modo? C’è etica nella sottrazione continua di territorio, di paesaggio, di vivibilità per beneficiare sempre più spesso non già chi necessita di una casa per vivere ma chi della casa ne fa un uso speculativo o un mero investimento economico?
2 – Ti compiaci della localizzazione della nuova casa di riposo e di aver contribuito a dare una soluzione al problema di chi non trova posto per locare il suo “carro-armato”. Che devo dirti, bravo? Se entrassi nel merito di quella scelta logistica, di quel nuovo business edilizio e di tutte le altre questioni che l’espansione comporta si potrebbe anche discutere. Purtroppo ti sottrai al ragionamento e all’analisi, nonostante le mie insistite richieste di confronto. D’altronde sarebbe difficilissimo sostenere una “logica” che non c’è. Beh, certo tu hai famiglia. Hai dunque un livello di benessere da garantirle. Perciò tu no. Tu non puoi. Io sì invece che posso anche rinunciare a barbecue, panorama e s.u.v. Per chi vive nel buco del culo del paese, per di più single, questo ed altro. Transeat, mi sacrificherò! Ma la tranquillità posso pretenderla? O anch’essa è solo un tuo diritto e di quelli che si sono fatti o si faranno prossimamente il “castello” tra i prati in fiore? Le risposte logiche e ragionevoli ovviamente non ci sono. E perciò non parli. Non riesco davvero più a capire come facciate (voi come categoria professionale cui appartieni) a non vedere. A procedere con questa superficialità e questa assenza di visione complessiva.
3 – Altro punto, che si collega al primo: l’incapacità di vedere il peggioramento e il degrado del centro. Vivere in periferia, per così dire, come fai tu già da un po’ di anni, non aiuta, me ne rendo conto. Io invece da sei mi sono spostato dall’ex periferia di via Fia al centro paese vero e proprio. Queste cose, che ho già scritto, te le ripeto ancora una volta. Quarant’anni fa, in via Fia, con la stessa attuale densità immobiliare, fatta eccezione per le nuove scuole medie e il residence Volcan, che all’epoca era un magazzino, sembrava di stare nel paradiso terrestre. Gli orti che circondavano le case davano un senso di benessere, il piazzale delle scuole era un’oasi ricreativa, la strada che saliva era fiancheggiata da alberi maestosi. Superata l’antica casa Panetti ti trovavi già in luoghi selvaggi. Certo il costruito allora non prevedeva obbligatoriamente di avere un’area di rispetto che lo proteggesse da “avvicinamenti indesiderati”. C’era però un senso di rispetto e di tutela nei confronti della proprietà altrui che oggi possiamo soltanto rimpiangere. Tu dirai che allora non c’erano le esigenze che ci sono oggi. E va bene, concediamoci pure questa attenuante. Sta di fatto però, che in 40 anni siamo passati, in quella zona, dall’ eden alla barbarie. Il piazzale, metro dopo metro, si è trasformato in una terra di nessuno, in parcheggio abusivo, in una scorciatoia per automobilisti frettolosi. Le sue adiacenze deturpate, le siepi verdi che lo delimitavano ridotte ai minimi termini, e via dicendo. L’alberatura che fiancheggiava via Fia, da casa Braito in avanti, sparita e trasformata in colmél. Due dei tre magnifici tigli, che presidiavano l’ingresso scolastico, abbattuti anch’essi dalle maestranze comunali. E poi asfalto, scale, muri e muretti, un po’ qui e po’ lì. Le “Popolari”, abitate ormai da quattro gatti anziani, sono assediate dalle auto del residence, pur avendo esso a disposizione tutti i posti macchina previsti dalle normative urbanistiche vigenti. Nella sottostante via Delmarco il frutteto del Checo Berti, sotto la malga, da tempo scomparso, trasformato in due posti auto. La cesura del Chémela anch’essa ridotta a posticcio prato di copertura per garage. Gli orti di via Peròs in attesa di trasformarsi anch’essi in autorimesse. Per non parlare dell’ultima perla aggiunta a questa barbara collana dai fratelli Peretti, che si sono svenduti l’inestimabile valore naturale dell’orto di casa per “regalare” alla speculazione foresta (tanto per restare in tema) 4 posti auto sotto le finestre di camera. E potrei continuare. Insomma, mentre l’espansione urbanistica si divora nuovo territorio vergine, prati e campi spariscono dalla vista della periferia e si trasformano in villette per le ingordigie di una parte, la qualità del preesistente si degrada ogni giorno di più.
4 – Mi rendo conto che parlare nel merito delle questioni oggetto della tua professione sia come parlare di corda in casa dell’impiccato. Evidentemente l’approccio quasi esclusivamente economico al tema impedisce alla vostra categoria (sottolineo categoria, che non coincide esattamente con la tua persona) di considerare altre cose al di là del semplice trovare terreno o case da ristrutturare e trasformarli in nuovo denaro. Il territorio, finché ce n’è, per voi (vale la specifica di cui sopra) è una variabile che conta poco, visto che della sua finitezza non volete proprio occuparvene. Sono due anni che di tanto in tanto, attraverso queste pagine, invito gli amministratori comunali (quindi anche tu) a dire qualcosa sull’urbanistica, ma tutto tace. Zitti e mosca. Ci sarebbe il rischio che poi magari qualche concittadino aprisse la bocca per dire qualcosa. E a proposito di amministratori non so nemmeno se quelli della maggioranza (uomini di Giunta esclusi) abbiano o meno la bocca per parlare e se sì se in cinque anni la abbiano mai aperta. Da quelli di opposizione però mi sarei aspettato un qualche intervento nel merito. Naturalmente tutti sono liberi di dire o di non dire. Mi fa però specie che una tribuna libera e a disposizione non venga usata proprio da quella parte politica che meno ha voce in paese. Questo, correggimi se sbaglio, la dice lunga sul valore che anche l'uomo pubblico “di opposizione” dà al confronto e alla circolazione delle idee.
5 – Il tuo lavoro e il tuo impegno pubblico. Dici che l’appartenenza a quella parte politica in comune ti ha comportato un danno economico. Può essere sia stato così. Ma quando ti candidasti mica potevi sapere se la tua parte sarebbe diventata maggioranza o minoranza. E infatti, nell’ultima tornata elettorale, lo scarto fu davvero minimo (20 voti circa). Ciò dicendo confermi dunque il sospetto che in effetti, a parti invertite, una rendita di posizione professionale da quel ruolo pubblico ti sarebbe derivata. Anche questo è peraltro abbondantemente suffragato da riscontri pregressi.
Infine due appunti su ciò che mi rinfacci. Sulla mia incoerenza hai ragione. Riguardo al mio lavoro sono incoerente. Probabilmente, a pensarci bene, di impieghi perfettamente compatibili con quel che penso non ce ne sarebbe nemmeno uno. Peraltro, nel tempo ho più volte cambiato mestiere proprio per cercare maggior coerenza con il mio sentire. Passando però dall’incoerenza totale… all’incoerenza e basta. Ma, siccome questo sistema non l’ho fatto io e, purtroppo, qui mi tocca stare, in qualche modo dovevo barcamenarmi. Ciò detto, ti chiedo cosa cambierebbe se anziché il mio attuale impiego indifferente e generico, che soltanto casualmente svolgo in quell’ambito merceologico conflittuale, fossi impiegato in qualche altro settore? L’incoerenza non verrebbe assolutamente meno. Essere coerenti in un sistema che fa dell’incoerenza la sua forza è un esercizio difficile, forse impossibile. Infatti, se, tanto per dire, fossi impiegato alla cooperativa, mi potresti rinfacciare che vivo grazie agli acquisti dei turisti, se lo fossi alla cassa rurale, che vivo grazie ai depositi degli albergatori e degli impiantisti, eccetera. Alimentando una catena infinita di incompatibilità che terminerebbe soltanto se andassi a lavorare… sulla Luna. Insomma, a parte forse l’agricoltore (ma quello alla San Liseo, con l’aratro e i buoi), avevo in effetti pochissime alternative per non venire accusato d’incoerenza. E probabilmente d’ora in avanti sarà grama che le cose possano cambiare, ammesso che, di questi tempi, ci siano effettivamente posti di lavoro ancora disponibili da poter scegliere. E però incoerente io cerco di esserlo il meno possibile e nel merito della questione testé discussa, se permetti, c’è una certa differenza tra quello che attualmente faccio, che, ripeto, è lavoro banale, generico e indifferente, e la tua professione, che invece trova la sua ragion d’essere nel consumo continuo del bene territorio.
Riguardo i fuoristrada, resto convinto che sono un’assurdità oltre che una mancanza di rispetto: per chi va a piedi, per l’aria che respiriamo (tutti), per gli spazi ridotti del paese vecchio. Sì, lo ribadisco, sono 20 quintali di ferraglia per trasportare 70 chili di merda (nel senso traslato del termine e cioè di cafone). Quando riuscirai a spiegarmi la razionalità che sta dietro all’uso di questo tipo di autoveicolo per girare in spazi così angusti cambierò idea e ti chiederò scusa. Ciao e grazie per l’attenzione.

Ario

2 commenti:

  1. Caro Ario,
    la prossima sfida che la nostra comunità si troverà ad affrontare è l'inevitabile morte a cui vanno incontro le attività commerciali del Paese. La tua tesi é che esse soffrano per la delocalizzazione dei Siori dal centro alla periferia e al servizio "indifferente" offerto da altri esercizi commerciali. Io non so se questa sia la causa principale, ma sarebbe interessante indagare. Il paradosso che mi limito ad osservare é che, se è la mancanza di parcheggi ancora una volta a determinare quella scelta, allora hai ragione. Tuttavia, il fenomeno si inserisce in una tendenza generale, per cui il "grande" è pù conveniente del "piccolo" e "meglio il parcheggio comodo" che "nar ta la copera a pé". Il secondo paradosso é che se é la donna "a proveder" allora sarà proprio ella ad essere più legata alla macchina (per evidenti motivi di forza fisica), indifferentemente da dove ella abiti.
    Insomma, vedendo lo slendido progetto del Tombon mi chiedo come i nostri amministratori intenderanno allocare gli spazi commerciali previsti, sotto quali incentivi, e con quali speranze. Visto e considerato che in una simile struttura nella city di Cavalese metà degli spazi sono ancora vuoti...

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  2. P.s. riguardo all'incoerenza mi sento di rassicurarti con questo ragionamento logico preso in prestito da Galimberti: gli operai del bresciano che fabbricano le mine antiuomo sono colpevoli delle morti che causano i prodotti che assemblano?
    Ovviamente, no.
    Take care
    Evgeny

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