18/10/08

L'UOVO DI SILVIO


Se ai suoi tempi ci fossero stati i sondaggi di opinione, lo spartano Licurgo, legislatore ottimo, avrebbe prescritto di evitarli come la peste perché il buon governante deve sapere che i sudditi preferiscono i comodi propri al bene dello Stato, i vantaggi individuali a quelli della collettività. Ma cosa fa il signore che governa l'Italia? La governa, finge di governarla con i sondaggi di opinione. Seguite l’informazione al suo servizio e l’altra che finge di non esserlo, ma lo è. Sistematicamente i cittadini qualsiasi, il cosiddetto popolo sovrano, approvano ciò che il capo del governo suggerisce, e più si tratta di proposte demagogiche, illusorie e magari forcaiole, più le sottoscrivono con tendenza all’unanimità. Volete fare dei soldati dei poliziotti? Sì al 90 per cento. Volete armare le guardie municipali? Come no, e se proprio non è il caso di fornirle di mitra come se fossero gangster, almeno di pistoloni calibro 38. I governi che promettono sicurezza finiscono quasi sempre in dittatura: dura o morbida? Diamogli il voto. C’è una ragione per cui Bettino Craxi è stato il grande protettore dell’attuale capo del governo e per cui è da lui ricambiato con rimpianto e stima? Perché la pensavano allo stesso modo: prima il potere, poi il buon governo. Fra i socialisti craxiani c’era anche un mio giovane amico, intelligente e onesto. Era il tempo delle tangenti imposte dai politici in ogni professione, in ogni affare. Gli chiesi: “Ma Craxi non si accorge che i quadri del suo partito appena possono rubano?”. “Glielo ho chiesto”, rispose, “e lui mi ha detto: ‘Adesso voglio arrivare al governo e al governo si arriva con la maggioranza dei voti, e alla maggioranza si arriva anche con i soldi. Quando sarò stabilmente al governo penserò anche a sistemare i ladri’”. È un ragionamento che presenta a un tempo dei vantaggi pratici e dei rischi mortali, come quello di finire impiccato dagli stessi ladroni. Il modo di governare caro a Silvio ha un nome antico: populismo. Consiste in un gioco tentatore ma spesso mortale: prometteva a tutti l’uovo subito, riservando a sé e ai propri fidi la gallina domani. Riesce nei paesi e nei tempi in cui le promesse possono essere mantenute alle spalle degli altri con gli imperi, con le economie coloniali, con il dominio finanziario. Per imporlo i governi populisti ricorrono di solito all’attivismo, all’uomo della provvidenza, che moltiplica i pani e i pesci, è onnipresente, fa in un amen ciò che gli altri non riescono a fare in anni, come far sparire la spazzatura, almeno in centro se non si può in periferia. Governare la modernità e la globalità è difficile, spesso impossibile e i problemi del prossimo futuro - come l’acqua e l’energia per tutti in una crescita generale senza fine e senza limiti - sono spaventosi, ma il solo modo di affrontarli con ragionevole speranza di superarli è quello opposto al populismo e al governo dei sondaggi di opinione, quello diverso dall’apparire prima dell’essere, quello che non assegna o si rassegna alla guida dell’economia affidata alla pubblicità. Il vizio dilagante dell'apparire prima dell’essere si è confermato in occasione delle Olimpiadi di Pechino. Fino all'assurdo, al grottesco degli improvvisati difensori dei diritti umani che su giornali e televisioni praticavano l'ultima trovata dei nostri neo conservatori: essere di sinistra anche essendo di destra.

Giorgio Bocca

15/10/08

A UN AMICO VENDITORE DI LOMBRICHI


Caro Mohammed, scusami per il ritardo con cui mi rifaccio vivo. Purtroppo ero preso da lavori in campagna che mi hanno impegnato in questi ultimi due mesi sino a sera tardi. Purtroppo la stagione non è stata un granché. L’estate piovosa ha parzialmente compromesso i raccolti: con le patate è andata malino, con le granaglie male e con le api peggio ancora. Comunque pazienza. Sarà per la prossima volta. Ora, finalmente, trovo un po’ di tempo per scriverti. Lo faccio volentieri perché so che ci tieni a essere informato di quel che accade qui in paese e perché mi sento in obbligo di ricambiare le informazioni che di tanto in tanto mi trasmetti sui fatti che accadono nel tuo lontano e bellissimo Mahgreb. Ma, soprattutto, lo faccio perché sei un amico che possiede ancora una virtù rarissima: la saggezza, e sarebbe per me imperdonabile perdere questo contatto così prezioso. Tu, come hai avuto modo di verificare personalmente, sai invece che qui da noi, essa è ormai una virtù quasi introvabile. Penso sia stata l’economia turistica, così artificiosamente “imposta” e innaturalmente sostenuta, a determinarne la scomparsa. La saggezza cresce nelle persone che si fermano, si guardano indietro e raffrontano l’oggi con l’ieri. Ma a questa gente non è permesso di fermarsi e quindi di raffrontare. Quelli che “ce la raccontano” dicono che a questo andazzo non ci sia alternativa e che il continuo rilancio sia imprescindibile. Io penso si stiano sbagliando clamorosamente. Anzi ne sono certo. Come sono certo che la tua opinione su quello che vado a dirti mi sarà comunque di conforto. Parto dall’epilogo.
Stavo boccheggiando aria fresca sulla finestra di casa. Erano passate da poco le 22,30 di un qualsiasi 4 settembre 2008. Cominciai a percepire, nel silenzio della sera, un vociare confuso di uomini e donne. Quando le voci in avvicinamento divennero più nitide capii di chi fossero e di cosa stessero parlando. Erano quelle dei reduci dalla serata che l’Amministrazione comunale aveva riservato ai petitori contro la revisione della viabilità, per ribadire a quei firmatari il perché del provvedimento. Qualcuno di essi forse mi notò e l’argomentare, piuttosto sbraitato, si smorzò un po’. Riuscii comunque a cogliere un paio di frasi significative (te le riporto nel vernacolo locale che a te piace tanto): “ma ’nsóma, se te cògnes passar con ’n’ ape de legna non i pretenderà miga che se faghe tüto ’l giro, orpo de dio!”… “Sì, l’è ben vera che ’n Alto Adige té i centri storici i aoti i li tèn föra, ma là, vesìn a le boteghe i ghe ariva arente co i so bié postegi!!!” e po’ varda qua, ma non sarà miga ’n centro storico questo!!.. madona!” “’Nsoma i ’na tonto proprio ’n giro! Ma i vederà ben a le prossime elezion!”. Beati i paoperi…!, pensai. E richiusi la finestra. Seppi poi (me lo riferì il giorno dopo un amico presente a quella riunione) che la civile serata ben presto era sfociata in gazzarra. Con i “petitori” che ululavano ossessi e gridavano improperi all’indirizzo degli amministratori. Cosa vuoi Mohammed, qui siamo nell’educatissimo Nord della civilissima Italia, mica in Africa! E ti dico di più. Qualche tempo prima di questi fatti, uno di quei signori, che incrociai un pomeriggio sull’uscio di casa, sulla base di un non meglio specificato teorema, mi aveva detto, con grave solennità, che era una fortuna per il paese che io non avessi “potere”, perché qualora ne avessi avuto sarei diventato sicuramente! peggio di… Hitler. Gli risposi con altrettanta solennità che aveva ragione e che poteva veramente ritenersi fortunato perché effettivamente, auspicando di ottenere prima o poi quel “potere”, stavo approntando una batteria di “forni” te l’olto.
A distanza di tempo credo adesso che se quei forni te l’olto li avessi attivati davvero, non avrei cavato che un sapone di scarsissima qualità da questa cittadinanza.
Ora torno a spiegarti. Tutto era iniziato quattro o cinque mesi prima quanto apparve su un quotidiano locale un articolo-intervista commissionato da un noto commerciante di Tesero che, guarda caso, fa la tua stessa professione. Detto commerciante – venditore oltre che di lombrichi (come vendi tu) anche di altra mercanzia – sulla base di argomentazioni facilmente confutabili aveva cercato di buttar fango su un indispensabile provvedimento comunale viabilistico da poco tempo messo in pratica. Il lombrichivendolo in parola, forte di una confusione mentale notevole aveva sostanzialmente sparato a zero su questo importante tentativo di rinsavimento pubblico e di ripresa di senso civico, proposto dalla nostra municipalità, pretendendo il ritorno al disordine e alla barbarie. Allo scopo aveva organizzato alla bell’e meglio una raccolta di firme senza capo ne coda, priva, nelle motivazioni, dell’analisi dei fatti e delle considerazioni contrarie razionali che normalmente sono elementi essenziali di una qualsiasi petizione. Certo, siccome, differentemente da te, il nostro venditore di lombrichi non è saggio e non insegna etica, sforzandosi un po’, lo si sarebbe potuto anche capire. Lui in verità (questo fu sostanzialmente il motivo della sua presa di posizione) si lamentava e diceva che, prima della modifica stradale, a chi transitava davanti al suo negozio riusciva a vendere due lombrichi, mentre da quando la viabilità era stata riformata ne vendeva soltanto uno. Sai, Mahammed, ho trascorso notti e notti insonni cercando un appiglio razionale a questa sua profonda convinzione, ma inutilmente. E allora chiedo a te, che fai il suo stesso lavoro, se puoi illuminarmi. Perché mai chi si trovasse nella necessità di acquistare due lombrichi, per la sola ragione che il senso stradale davanti a quel negozio è stato modificato, dovrebbe comprare un verme in meno? Boh. Ti sarei grato se riuscissi a spiegarmelo: perché di notte vorrei poter ricominciare… a sognare. Ma il tuo concorrente, tanto per corroborare le sue tesi, che, altrimenti, sarebbero apparse troppo faziose, diceva anche che da quel 10 dicembre 2007 (data di entrata in vigore della revisione) la pericolosità di quel tratto stradale, che prima era il paradiso in terra, era esponenzialmente aumentata. Anche qui, nonostante mi sia lungamente sforzato, non sono riuscito a capire. E chiedo a te che vendi lombrichi come lui (e che quindi hai forse la sua stessa forma mentis) perché mai quella strada ora sarebbe pericolosissima visto che il codice stradale non prescrive affatto che in caso di senso unico il limite di velocità venga cambiato ad libitum dall’utenza. Boh. Spiegami anche questo, se ci riesci. In ogni modo la questione che, come diceva qualcuno, se non fosse seria sarebbe ridicola, è indubbiamente tale che si presterebbe ad un’analisi psichiatrica; e dimostra quanto sia opportuno (prima che sia troppo tardi) intervenire in soccorso di cervelli così patentemente fragili e confusi. Ecco perché qui si fa urgente e improcrastinabile un’azione didattico-sanitaria dall’alto. Tu che ne dici? Io credo che l’Amministrazione comunale, in contatto sinergico con il Centro di salute mentale e supporta da una task-force composta da psicologi, psichiatri ed esorcisti, dovrebbe afferrare il problema per le corna, imporsi e far sentire, nello specifico, la sua superiore conoscenza delle cose. Se non altro per campanilismo essa non può permettersi di perdere concittadini, rischiando lo spopolamento del paese, soltanto perché privi degli elementi di base della convivenza civile. Si prenda atto che abitiamo tra una comunità sostanzialmente analfabeta (in senso civico ovviamente) e si agisca di conseguenza: come si farebbe con dei bambini della prima elementare. È importante, perdio. O no? Tu, quanto venisti a Tesero, lo avevi notato chiaramente: siamo al cospetto di una popolazione che inconsapevolmente da vent’anni vive spendendo e spandendo perché, a seguito della colposa tragica vicenda di cui ben sai, in grazia di una benevola profusione di denaro pubblico, elargita a tacitazione del tutto dal corresponsabile ente pubblico provinciale, questo paese, per contrappasso, si è trasformato nel paese dei balocchi. Glielo si dica, prima che sia troppo tardi. Forse, visti i comportamenti conseguenti, si è sbagliato nel concedere troppo a tutti, senza spiegare anche i rovesci delle (tante) medaglie, senza pretendere nulla in cambio, senza rendere consapevoli dei privilegi immeritati chi di essi ha beneficiato. È cresciuta dunque – in troppa parte di questa popolazione – una sorta di delirio di onnipotenza: pensare di poter fare ciò che si vuole, di esigere senza corrispondere. Il lombrichivendolo contatta un giornalista, spara, in una pseudo intervista, una raffica di assurdità, si fa confezionare l’articolo in cronaca locale, e ovviamente, dopo sì tanto ardimento, pretende che i due anni di studio, di analisi, di verifiche della questione vengano, ipso facto, gettati nel cesso. E per la sola differenza di un lombrico. Ma siamo impazziti?
Hai inteso Mohammed? Ti saluto e resto in attesa di una tua risposta. Ti ripeto, ho voglia di dormire e di ricominciare a sognare. Spero di poterti presto far visita. Perché ho anche una gran voglia di rincontrare gente seria. Ciao, a presto.


Ario

P.s. Non credere comunque che il tuo collega e i suoi antinazisti seguaci qui siano delle mosche bianche. Sono in realtà la punta dell’iceberg. Quello da essi manifestato è un vizio patologico diffuso. Che però emerge virulentemente solo ed esclusivamente quando, si vanno a toccare particolari supposti diritti individuali.

14/10/08

IL POSTEGGIO SOTTERRANEO DI VIA FIA. UNA IMPROBABILE SOLUZIONE.


Se, parlando di viabilità, chiedete a un qualsiasi cittadino di Tesero quale sia, a suo avviso, la più impellente urgenza per dare respiro al paese, potete scommettere che vi risponderà: posteggi! È opinione comune infatti che la soluzione del problema dovuto al traffico sostenuto all’interno del centro storico sia subordinata alla realizzazione di infrastrutture di sosta. Noi, che della questione abbiamo ampiamente e più volte ragionato su questo blog, sappiamo invece che non è affatto una deficienza infrastrutturale la causa del problema e che in verità i posteggi, sia di superficie sia sotterranei, il problema non lo risolvono affatto, anzi… Dire che la mancanza di posteggi sia la causa del traffico, spesso caotico, visibile in paese è una comoda scappatoia per evitare di affrontare il nodo vero della questione, che ripetiamo, è di ordine culturale e non fisico. Purtroppo siamo venuti a conoscenza che una parte dei finanziamenti destinati alle opere per l’approntamento della terza edizione dei mondiali di fondo, verrà impiegata nella realizzazione di posteggi sotterranei. Si parla addirittura di 500 posti auto interrati complessivi (su 2.800 residenti) distribuiti su tre nuove infrastrutture (l’assessore Barbolini ci ha informato successivamente che in realtà le ipotesi sul tavolo dell’amministrazione sono adesso solo due: Piazza Battisti e Piazzale scuole elementari). In ogni modo, anche se alla fine i posti in ballo fossero 50 di meno, la cifra complessiva ipotizzata resterebbe pazzesca! Tanto per rendere l’idea della sproporzione, abbiamo chiesto al Servizio mobilità del comune di Trento di sapere quanti posti auto sotterranei la municipalità del capoluogo provinciale avesse destinato ai suoi 103.000 abitanti. Tenetevi forte: Trento attualmente dispone di 691 posti auto sotterranei (Piazza Fiera 460, Pargheggio Duomo 201, Corso Buonarroti 30). Per capire meglio lo stato delle cose abbiamo quindi interpellato il sindaco e il vicesindaco di Tesero i quali ci hanno detto che delle due ipotesi in verità se ne sta parlando da tempo, ma allo stato non c’è ancora alcun progetto. Niente di ufficiale, insomma, soltanto idee. Comunque sia, col dovuto rispetto, pensiamo che un amministratore, affrontando questioni così importanti, debba mettere il massimo d’impegno nell’ analisi e nel ragionamento. Magari, sapendo “leggere” e capire i tempi, privilegiando scelte davvero lungimiranti e progressiste. Certo i posteggi, specie quelli ad alto tasso tecnologico come i sotterranei, danno opportunità agli studi tecnici di progettare e alle imprese appaltatrici dei lavori di “fare economia”. La grande opera, che ormai è prassi si accompagni all’evento sportivo di rilevanza mediatica internazionale, soddisfa infatti appieno proprio uno dei luoghi comuni più tipici, tanto caro a chi amministra, e che qui da noi di solito passa alla storia attraverso la locuzione “Quei là però valghe i ha fatto…”. Questa volta però ci piacerebbe che la valutazione sull’opportunità di fare e di dove fare non considerasse solo la seguente e altrettanto tipica frase “… pó almanco valgüni i laóra”. Sarebbe davvero troppo poco per giustificare opere, a nostro avviso, molto discutibili e generatrici di problematiche conseguenze. Negli ultimi anni l’Amministrazione comunale di Tesero ha affrontato l’argomento più volte investendo denaro pubblico in infrastrutture che nelle intenzioni avrebbero dovuto risolvere parzialmente la questione della mobilità automobilistica privata. Ma, all’infuori di una palese sottrazione di spazi fruibili dalla cittadinanza, in termini di tranquillità, diminuzione dell’inquinamento e sicurezza per i pedoni nulla è cambiato. Piazza Battisti è indecentemente zeppa d’auto, idem piazza Nuova. Mentre i cosiddetti posteggi d’arroccamento, strategici – secondo le intenzioni – per una riduzione sensibile di intasamento nel centro paese, salvo i brevi periodi di massimo afflusso turistico, sono poco usati. Ciò conferma che i Teserani non accettano affatto la prospettiva di dover compiere anche solo poche decine di metri a piedi. Noi, che il fenomeno lo abbiamo osservato interessatamente a lungo, vogliamo ricordare a chi si assumerà l’onere della decisione che comunque il tempo di sosta nei posteggi è mediamente molto breve. Dunque sarebbe una pia illusione pensare che, fatte le nuove infrastrutture, il paese per incanto tornerebbe ad essere ciò che da tempo non è più… Ci auguriamo pertanto che non si perseveri nell’equivoco (anche perché il danno conseguente, in questo caso, sarebbe irrevocabile) e ci si capaciti che la strada da percorrere è un’altra.
Analizziamo adesso brevemente le due o tre ipotesi progettuali di cui si parla. La prima si riferisce ad un posteggio sotto piazza Cesare Battisti. È l’idea più antica, se ne discute almeno da 30 anni, forse anche di più. Inizialmente, la si vagheggiava probabilmente soltanto con la speranza di potersi fregiare campanilisticamente di un’opera importante e qualificante. Via via però che il tempo passava, si pensò anche come risolutiva di un degrado urbanistico sempre più evidente. Ma non se ne fece mai nulla. Sostanzialmente per ragioni economiche, dato che i costi di realizzazione risultarono da subito proibitivi per le casse comunali, tanto da frenare gli slanci anche di quelli più entusiasti all’idea. Ora, con l’arrivo di probabili finanziamenti provinciali, potrebbe essere la volta buona. Di certo dei tre posteggi ipotizzati, il sotterraneo di Piazza Battisti sarebbe quello che avrebbe più senso. Vuoi per ragioni logistiche, in quanto adiacente alla statale, vuoi per la qualificazione della piazza stessa, che, finalmente acquisirebbe un decoro che in realtà non ha mai avuto. In piazza Battisti il bilancio urbanistico, tra ciò che verrebbe sacrificato (praticamente nulla) e ciò che si otterrebbe in termini di tranquillità pedonale in superficie (moltissimo), è assolutamente positivo. La seconda ipotesi (come detto sopra ormai scartata) riguardava Piazza Nuova. Anche in questo caso la sua eventuale realizzazione avrebbe eliminato la bruttura dell’area oggi destinata a semplice contenitore d’automobili. E allo stesso tempo il bilancio urbanistico tra il sacrificio ambientale e il beneficio che ne sarebbe eventualmente derivato, pur con la riserva di un accesso non certo ideale, si poteva accettare. L’ultima ipotesi – la più recente – fa riferimento al piazzale delle scuole elementari. La realizzazione di un posteggio sotterraneo in questa zona comporterebbe la definitiva eliminazione del verde pubblico residuo. Con l’abbattimento dei maestosi ippocastani e delle conifere superstiti. Non di meno al livello della sottostante via Fia si eliminerebbero il prato e le piante che la delimitano salendo a sinistra e probabilmente gli ultimi pregiati orti esistenti al suo imbocco dopo la "strenta del Fanin". In definitiva, dal punto di vista puramente visivo, se le prime due ipotesi progettuali per lo meno qualificherebbero le rispettive aree, quest’ultima, senza alcun dubbio, farebbe scempio della zona. Ma se tanto vale ai fini urbanistico-paesaggistici, peggio ancora sarà rispetto alla tranquillità e alla quiete pubblica e soprattutto alla sicurezza pedonale. Ricordiamo che stiamo ragionando su un luogo che sta esattamente sulla linea di confine col centro storico, antistante il palazzo scolastico e a 100 metri dall’asilo. Se quanto si dice verrà confermato significherebbe creare proprio lì, più o meno le stesse condizioni di invivibilità ora presenti in piazza Battisti! Il luogo diverrebbe un attrattore di traffico nel bel mezzo del Centro storico, con un numero di transiti in arrivo o in partenza dal parcheggio che, date le anzidette abitudini della cittadinanza a un ripetuto utilizzo dell’automezzo, sarà perlomeno triplo rispetto agli ipotizzati 160 -180 posti auto dell’interrato e che dunque verosimilmente si sostanzierebbe in 360 - 500 passaggi auto al giorno. Un via vai intenso di automobili (anche di notte), che andrebbe ad aggiungersi al traffico quotidiano ordinario procedente in direzione Fia - Restiesa. Autovetture in entrata e in uscita dai sotterranei (previsti su due livelli), che percorrerebbero la via, dalla stretta tra Casa Fanin e Casa Betta (larghezza metri 3,20!), sino alla svolta di via Delmarco. Autovetture in transito da Perós e da Cavada per recarsi al posto auto acquistato o al posteggio gratuito. Un perenne casino di motori accesi con relativo aumento dell’inquinamento proprio sotto le finestre delle aule scolastiche. Sarebbe semplicemente il caos. Ricordiamo ancora, tanto per completare il quadro, che nelle immediate vicinanze del piazzale, stanno per essere realizzati i 29 posti interrati di Via Noval che probabilmente assorbiranno i “senza garage” dell’area del teatro, ai quali si aggiungeranno a breve 7-10 nuovi posteggi in via Delmarco pertinenti alla nuova sede della Scuola Musicale, nonché un non meglio precisato ulteriore quantitativo di interrati in via Perós ad uso privato. Crediamo non ci sia bisogno di aggiungere altro.

L’Orco

12/10/08

GIOVENTÙ BEVUTA


Cominciano a bere a 11 anni, a 16 sono alcolizzati. Da Napoli a Vicenza, viaggio tra i ragazzi che si stordiscono di birra, vino, liquori. Una generazione che si ubriaca per trovare un'identità e sentirsi libera. Martina ha 15 anni, l'alito che sa di grappa e il naso sporco di sangue. Alle due di pomeriggio è seduta sul ciglio della strada nel centro di Milano, tra autobus che la sfiorano e passanti che la ignorano. Ha gli occhi socchiusi e l'aria assente. Poi si riaccende, vede che non è sola e racconta senza imbarazzi le sue giornate: “Tutte uguali”, dice: “La mattina passo dal supermercato e compero birra, grappa e pseudo soft drink. Poi arrivo a scuola e mi faccio dare i soldi dai compagni che bevono con me. Ci chiamano i bottiglioni, ma chi se ne frega. All'intervallo andiamo nei bagni e ci sfondiamo di alcol, dopo di che torniamo in classe e stiamo da dio. A volte ci assopiamo pure, mentre i professori fanno lezione e fingono di non vedere. O forse non si accorgono proprio, questo non l'ho ancora capito”. Così ogni giorno, ogni settimana. Solo che oggi, 27 settembre, le lezioni sono finite male. Uscita dal liceo scientifico, Martina è andata in confusione ed è caduta con il motorino. Allora tutto è girato storto e “m'è venuta la paranoia”. Ma non c'è problema, dice: “Questo weekend lo passo in casa a studiare. Lunedì m'interroga la prof di latino e voglio uscirne bene”. Leva il sangue dal viso con un fazzoletto rosa, si aggiusta in spalla lo zainetto e saluta: apparentemente normale. Sorridente. Contenitore perfetto per nascondere il suo problema. Quello che Silvio Garattini, direttore dell'Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano, definisce un'epidemia culturale tra i giovani. Il bere per il bere: a qualunque ora, senza limiti. Per la voglia di ubriacarsi, di fulminarsi e andare altrove: “In una dimensione irreale dove i ragazzini cercano un'identità”, dice Emanuele Scafato, direttore dell'Osservatorio nazionale alcol all'Istituto superiore di sanità: “Un buco nero nel quale troppi minori scivolano senza accorgersene”. Peggio ancora va con gli adulti: “Nel senso che sottovalutano gli abusi alcolici dei figli”, dice Scafato. In questi giorni l'attenzione è centrata sulle tabelle antisbronza che discoteche e pub espongono dal 23 settembre. L'obiettivo è limitare i danni del sabato sera, centinaia di ragazzi che puntualmente si schiantano in automobile. Ma il problema parte prima, molto prima della maggiore età. “L'Italia”, dice Scafato, “ha un orribile record: si inizia a bere a 11 anni, contro la media europea di 13” Il resto è spiegato nell'ultima indagine Istat. Dal 1998 al 2007 il consumo di alcol fuori pasto tra i 14 e i 17 anni è passato dal 12,6 al 20,5 per cento: con le ragazze salite dal 9,7 al 17,9 e i maschi dal 15,2 al 22,7. Il che è l'opposto dello stereotipo nazionale: quello dell'adolescente con il goccio di vino a tavola, sotto lo sguardo complice di mamma e papà. Ma è in linea con il 19,9 per cento dei ragazzi che tra gli 11 e i 15 anni bevono alcol almeno una volta l'anno (54,7 nella fascia tra i 16 e i 17). E con il 7 per cento che tra i 14 e i 17 anni ammette di bere alcolici almeno una volta la settimana. Francesco alza le spalle, quando sente le statistiche. C'è anche la sua storia, in questi numeri, ma non gli importa. Da tre anni ha finito le scuole medie, fa il manovale nei cantieri fuori Roma e alle 11 del mattino gira per le impalcature con una bottiglia di birra in mano. “Bere è bello”, dice: “Cioè, ti stordisce. Però t'aiuta...”. Sei mesi fa, racconta, è andato in crisi: “L'idea di scaricare mattoni a vita m'ha mandato ai matti”. Allora ha provato a cambiare settore: fattorino, magazziniere, idraulico. Porte chiuse in faccia. A 16 anni, con 500 euro al mese in nero, si è sentito finito. E ha iniziato a bere: prima in compagnia, tutte le sere “birra, vino, whisky, ma anche sambuca e amari”; poi sul lavoro, senza pensare ai rischi. Finché un giorno è caduto da un primo piano e si è spaccato un braccio. “Al pronto soccorso il dottore m'ha sgamato”, ricorda: “M'ha detto di andarci piano, con le bevute. E io ho risposto: esagero, invece. Meglio ammazzarsi di vino che 'sto strazio”. I medici usano altri termini, per fotografare le baby sbronze. Parlano di binge drinking, l'abitudine a “consumare eccessive quantità di alcol (per convenzione sei o più bicchieri) in un'unica occasione”. Ma la questione non cambia: “I ragazzi italiani, a prescindere dalla latitudine e dalle classi sociali, hanno conferito al bere un potente ruolo sociale”, dice lo psichiatra Michele Sforza, direttore del servizio Alcologia alla clinica Le Betulle di Appiano Gentile (Como): “Ubriacarsi, per loro, è un po' come apparire in televisione: esalta l'esistenza, la giustifica e la proietta oltre gli ostacoli. Niente a che vedere con la trasgressione: al contrario, gli under 18 si ubriacano per conformismo. Per farsi forza. Non vogliono essere sfigati e bevono: come tutti quelli che li circondano”. Le conseguenze rimbalzano sui quotidiani. A Belluno, questa estate, una quattordicenne è stata ricoverata in coma etilico dopo un festino diurno. Sempre in Veneto, il ‘Gazzettino’ ha titolato: “Trecento adolescenti l'anno in coma etilico”. A Rimini, il pronto soccorso ha registrato in due mesi (giugno e luglio) 200 casi di forte alterazione alcolica, con il 40 per cento delle ragazze tra i 16 e i 22 anni. “I giovanissimi bevono sempre di più”, conferma Mario Cavazza, direttore del pronto soccorso al Sant'Orsola di Bologna, “ma inquadrare il fenomeno è difficile. Molti non vengono in ospedale perché informiamo le famiglie”. “Piuttosto”, dice Maria Paola, 17 anni, istituto tecnico a Bari, “dormo da un'amica, deliro un po' e passa tutto. Cioè: quasi sempre passa. A volte esagero e svengo, anche due o tre volte di fila. Perdo il controllo e parto con la testa. Finalmente non c'è mia madre che rompe, o mio padre che urla perché ha perso l'ennesimo lavoro. Ci sono soltanto io: libera da tutto e tutti”. Di queste storie è affollata Internet. Basta entrare nella comunità di Facebook e digitare la parola “sbronza”. Così s'incontra il gruppo dei 'Non siamo alcolisti anonimi ma ubriaconi famosi', ragazzi ad alta gradazione con slogan tipo I believe in alcol e Datemi un cuba!!!!. Oppure trovi il gruppo di 'Quelli per cui l'alcol è il primo nemico... e davanti al nemico non scappano', 2 mila 664 iscritti. Scrive Marco: "Ecco... allora... Io la più grande botta che mi sono preso è stato al compleanno di un amico. Mi sono sparato un litro e mezzo di sangria, due bottiglie di spumante e non so che altro. Il brutto è che la sangria si fa con il vino rosso e basta, mentre l'avevano fatta con rosso+bianco+frizzantino+spumante. Ho vomitato a letto mentre dormivo e ho svegliato tutti in casa. Quando alle quattro di notte i miei sono entrati in camera, ero incosciente. Stavo per affogare nel vomito. E ovviamente, il giorno dopo, amnesia totale...". Si potrebbe pensare: i ragazzi, minori e non, hanno sempre bevuto. Magari un po' meno, magari senza l'attenzione dei giornali addosso. Ma non è così: "È cambiato tutto", dice Riccardo Gatti, direttore del dipartimento delle Dipendenze all'Asl di Milano: “I minori bevono in quantità impressionante perché il sistema dei new media li induce a farlo. Chi produce alcolici agisce on line, crea consenso indotto, spara input suggestivi. E finisce l'opera con la pubblicità, abbinando l'alcol a immaginari vincenti. Così l'appello al ‘bere consapevole’ non ha senso. Anche perché i minori bevono già 'consapevolmente': vogliono stravolgersi e usano l'alcol come una droga”. “Verissimo”, dice Eli, 14 anni, capelli a caschetto, All Star ai piedi e idee chiare in testa: “Sappiamo cosa facciamo e siamo meno ipocriti degli adulti. L'altro giorno, ad esempio, sono andata sul sito della Campari. Volevo vedere se c'era qualcosa di nuovo da bere. Di solito mi faccio calette di vodka e Red Bull, che aiuta a stare sveglia, ma avevo voglia di cambiare. Sullo schermo, però, è apparsa la scritta: ‘Se vuoi accedere alla sezione Brand devi essere maggiorenne’. Sotto c'erano due pulsanti: uno per i minori e l'altro per gli over 18. Ho premuto il secondo, ho inserito la data di nascita di mia madre e sono entrata alla grande. Non è assurdo?”. In effetti sì. Ma non è l'unica stranezza, sul fronte dell'alcol. Un altro paradosso lo segnala il dottor Gatti: "Con la legge 125 del 2001 è stata creata la Consulta nazionale dell'alcol. E da chi è composta, oltre che da medici qualificati e addetti ai lavori? Da un rappresentante delle associazioni di produttori e venditori di alcol". Incredibile, dicono i medici: “Come se nella consulta sulla droga ci fosse un trafficante colombiano...”. “D'altro canto”, ribatte il presidente di Assobirra Filippo Terzaghi, “sarebbe assurdo se all'interno della Consulta, dove si affrontano gli aspetti commerciali del bere, non ci fosse la nostra voce. Polemiche a parte, c'è un punto sul quale concordiamo tutti, studiosi, produttori e Organizzazione mondiale della sanità: i ragazzi con meno di 15 anni non devono assolutamente bere alcolici. Lo ribadiamo di continuo. Anche per una ragione pratica: non vogliamo pubblicità negativa”. Intanto, le notti italiane sono affollate di minorenni ubriachi. Dalla Puglia all'Emilia Romagna, dal Lazio al Veneto è una fila continua di bicchieri vuoti. Si decolla il pomeriggio con l'happy hour a base di cocktail o ready to drink (mix alcolici in bottiglietta) e si atterra a notte fonda con assortimenti vari. L'Istat specifica che le bevande più diffuse nella fascia 11-17 anni sono birra (18,6 per cento), aperitivi (15,2), vino (11,7), amari (6,2) e superalcolici (7,7). Un affare da milioni di euro che non conosce crisi. Verificarlo è facile: basta infilarsi un mercoledì sera nella movida milanese di viale Montenero, davanti al Cafè Mom. Oppure seguire i quattordicenni sbronzi che, alle Colonne di San Lorenzo, fanno collette per comperare cocaina. O ancora, sbarcare un sabato qualunque nel centro di Vicenza, dove gli under 18 si trovano dopo cena a strabere. Ciondolano davanti all'Ovosodo, al Grottino o all'Osteria Cancelletto, con i bicchieri in mano e le espressioni stranite. “Non conoscono limiti”, dice Fabio Casarotto, titolare del Cancelletto. “Molti iniziano la serata bevendo gli spritz (Aperol, Campari, seltz, vino bianco) e continuano a oltranza con i chupiti: bicchierini di rum o tequila da ingurgitare in un colpo secco. Logico che fondono: bevono, tirano coca e non andrebbero mai a dormire”. Mirko, Leo e Stefania, per esempio, all'una di notte hanno finito il giro dei locali vicentini. Sono brilli, un po' fumati, ma hanno ancora voglia di alcol. “Vai di beverone!”, ride Stefania (17 anni). Poi s'attacca a una bottiglia di plastica da un litro e mezzo piena di liquido verdastro. “Lo prepara lei”, dicono Mirko e Leo (entrambi 15 anni). “Non sappiamo neanche cos'è: ci stende e basta”. Non temono di diventare alcolisti. Bevono soltanto nel fine settimana: “Per gioco, per dare il meglio in compagnia”, dicono. Eppure è questa, ricorda Scafato dell'Istituto superiore della sanità, la strada maestra verso la dipendenza: “Il problema è dialogare, con questi ragazzini. Renderli consapevoli dei rischi. E ragionare, intanto, con le strutture di analisi e prevenzione: dalla Consulta ai servizi territoriali, fino alle associazioni volontarie”. In pratica, quello che avverrà il 20 e 21 ottobre a Roma nella prima Conferenza nazionale sull'alcol. Un appuntamento preceduto da grandi aspettative e qualche polemica. Ad esempio, c'è chi considera inadeguato il milione 32 mila 914 euro stanziato annualmente dal ministero della Salute per “le azioni di informazione e prevenzione” contro l'alcolismo; soprattutto se paragonato ai 4 milioni 986 mila euro spesi nel 2007 dal ministero della Salute per la lotta all'abbandono degli animali. “Ci vogliono mezzi, personale e fondi a tutto campo”, dice Germano Zanuzzo, responsabile del Sert (Servizio pubblico tossicodipendenze) di Treviso. “Fino agli anni Novanta i ragazzi non bevevano regolarmente: anzi, lo giudicavano un comportamento da vecchi. Ora ubriacarsi fa tendenza. Sintonizza i giovanissimi con la società degli adulti, i cui le sbronze premeditate sono l'altra faccia dell'efficentismo sfrenato”. Anche da questo, parte l'appello un po' retrò del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Carlo Giovanardi (con delega a famiglia e droga): “Bisogna puntare sul ruolo della scuola, delle associazioni sportive e della chiesa", dice. Propone di non concedere il patentino ai sedicenni che abusano di alcol o droghe. E vigila come può, estendendo a tutta Italia i controlli stradali. Ma deve confrontarsi, alla fine, con un Paese dove i divieti antisbronza sono pochi e poco rispettati: niente alcolici nei locali dopo le due di notte, massimo 0,5 grammi di alcol per litro nel sangue di chi guida. E niente mescita di alcolici ai minori di 16 anni. “In altre parole”, dice Roberta Agabio dell'Università di Cagliari, membro della Società italiana di alcologia, “i ragazzi non possono bere alcolici versati in bicchiere, ma possono acquistarli in bottiglie chiuse”. Grottesco, vista l'emergenza in atto. “Le storie con cui ci confrontiamo", dice Agabio, “hanno per protagonisti undici-dodicenni che a 16 anni sono dipendenti. Giovani con evidenti difficoltà fisiche e psichiche: dalla gastrite alla depressione, fino alle esplosioni di aggressività”. Un repertorio che Claudio, geometra genovese, conosce bene. Lui i 18 anni li ha passati, ma il suo disastro è cominciato in quinta elementare. “Mia madre”, racconta, “mi mandava a comperare il vino da un grossista vicino a casa. E quello, per cortesia, mi offriva un bicchiere di rosso. Da allora ho bevuto di tutto: birra, cocktail, superalcolici. Anche amari e vino: tanto vino. Sono arrivato a scolarmi due, tre bottiglie a sera. E a buttarci sopra, per compensare, la cocaina”. Un inferno che i genitori intuivano, ma non osavano affrontare: “Ti droghi?, chiedeva ogni tanto mio padre. E io: No, stai tranquillo, bevo solo qualche bicchiere. Al che mi lasciava stare. Perché anche lui beveva, al bar”. Oggi Claudio partecipa regolarmente alle riunioni degli Alcolisti anonimi, l'organizzazione auto-finanziata che dal 1972 aiuta in Italia le vittime del bicchiere. Si siede attorno a un tavolo con altri venti bevitori e parla del suo problema. Ad ascoltarlo c'è Francesca, segni freschi sul polso di un tentato suicidio. C'è Giorgio, aria benestante, che vuole “ricostruire i sogni infantili distrutti dall'alcol”. E c'è Mauro, ex campioncino di ciclismo, bruciato da vodka, rum e acidi. C'è, insomma, un'umanità in bilico che costruisce solidarietà tra bevute e ansie. Tutti si presentano allo stesso modo: con il nome di battesimo e l'aggettivo ‘alcolista’. E tutti ripetono lo stesso invito, rivolto non ai minorenni, ma ai loro genitori: “Smettetela con la storiella che il vino fa bene, che un bicchiere a tavola fa sangue. Aprite gli occhi e tutelate la salute dei vostri figli”. Parole chiare. Mutuate, non a caso, dall'Organizzazione mondiale della sanità, la quale punta per il 2015 all'azzeramento dell'alcol tra gli under 15. “La sfida è pesante”, dice Aniello Baselice, presidente dell'Aicat (l'Associazione italiana dei club per alcolisti in trattamento, attiva in Italia con 2 mila 300 gruppi multifamiliari): “Dobbiamo aiutare i ragazzi a riconoscere di avere un problema con l'alcol. Soltanto a quel punto, è possibile il recupero umano e psicologico”. Proprio come dovrebbe fare Patrizia, 16 anni, campana, da quattro anni persa nell'alcol. Lei sa che si sta distruggendo. Sa, anche, che bere prima dei 15 anni quadruplica il pericolo della dipendenza. Ma non si è mai frenata: “Dopo una partita della Salernitana”, ricorda, “ero talmente fusa che mi hanno ricoverata in ospedale. Sono fatta così, e la società non mi aiuta a cambiare”. L'altra sera, ad esempio, è andata all'inaugurazione di una discoteca. Non voleva ubriacarsi, “ma gli alcolici erano gratis mentre gli analcolici no. A notte fonda ero sbronza e furibonda assieme. Non si fa così, non si specula sulla nostra pelle”.

Riccardo Bocca

INCANTO NOTTURNO

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LE OCHE E I CHIERICHETTI

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VIA STAVA ANNI '30

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