01/01/08

LA MESSA DISERTATA


Religiosità e Religione sono termini che condividono la stessa radice semantica, ma mentre il primo è un concetto originario, il secondo è un’immaginaria successiva costruzione umana. La religiosità è connaturata all’Uomo, è la necessità, per così dire, di dare un senso ultimo all’esistenza; la ricerca del trascendente oltre la materialità della vita. L’Uomo, da che mondo è mondo, ha avuto bisogno di ricercare qualcosa che oltrepassasse l’immanenza e la caducità della propria vita terrena. Un “obbligo” originario e individuale che è comune a tutta l’Umanità, senza distinzione di razze, di popoli e di tempi. Ognuno di noi nel suo intimo più profondo è dunque religioso e tale religiosità non ha affatto necessità né di manifestazioni esteriori identificabili e riconoscibili né di tessere di appartenenza. Le Religioni (al plurale) sono invece, come anzidetto, artificiose costruzioni che attraverso passaggi di tempo, storia, filosofie, economie, guerre, eccetera, sulla base proprio della religiosità individuale, si sono lentamente sedimentate e sono state codificate nonché periodicamente adeguate in base a precise rispondenze socio culturali, allo scopo di controllare e a volte di dominare i popoli cui esse si rivolgevano. La storia lo dimostra chiaramente: le religioni sono state anche strumenti di dominazione e abituale pretesto per guerre sanguinarie. Le Religioni sono plurali e distinte (anche se frequentemente con matrici molto simili) perché hanno dovuto adattarsi alle differenti condizioni dei propri adepti. Tutto ciò premesso e specificato – onde non ingenerare equivoci in chi legge – arriviamo all’attualità. L’anonimo estensore del quiz apparso sul Notiziario Parrocchiale n° 78 del dicembre 2007 pone una domanda semplice nella sua formulazione ma alla quale non è facile rispondere: perché se alla catechesi partecipa il 99% dei ragazzi, alla messa la frequentazione si riduce al 20%? Posso fare delle ipotesi. Non so come vengano indirizzati i ragazzi alla catechesi. Presumo ci siano genitori che li spingono verso questo dovere, quasi scolastico, e che nessuno si ponga sostanzialmente chissà quale interrogativo nel merito. In fondo la partecipazione non costa niente né ai ragazzi né ai genitori. Diciamo che è un’usanza. La catechesi si configura pressappoco come un doposcuola come altri o, se vogliamo, come un’ora di religione cui si partecipa, senza grande entusiasmo, un po’ per gioco e un po’ per forza. La messa è altra cosa. Perché in forma solenne la si celebra di domenica, giorno di vacanza. Perché differentemente dalla catechesi non la si sente come un dovere parascolastico. Ma attenzione, non si pensi che quel 20% che la frequenta sia molto diverso da quel 99% che partecipa alla catechesi. Quel venti lo fa probabilmente per riflesso condizionato, per tradizione, perché così si fa, perché la domenica senza la messa non si può. E qui va chiarito un punto importante: il bollettino ci interroga sui bambini e sui ragazzi. Io penso che (al di là della catechesi) le considerazioni appena fatte valgano però soprattutto per gli adulti. Ed includendo anch’essi credo che la percentuale complessiva di chi frequenta la messa domenicale a Tesero sia addirittura inferiore al 20%. Ad ogni modo, arrivando al nocciolo della questione, mi chiedo: quanti sono di quel 20% (scarso) quelli che a messa ci vanno per un’autentica necessità spirituale? Difficile dirlo, naturalmente. Però se i comportamenti conseguenti significano qualcosa, allora posso presumere che di veramente convinti ce ne siano ben pochi. Ho sempre pensato che il messaggio cristiano (qui inteso di Gesù Cristo) abbia avuto in San Francesco il suo migliore interprete. Ebbene è fuori di ogni dubbio che oggi i principi fondamentali della società in cui viviamo sono totalmente antitetici a quell’interpretazione basata sulle parole rispetto e povertà nel loro significato più profondo. Oggi, in questa società del benessere, per noi, la povertà è un tabù, un segno evidente di indegnità, mentre rispetto è la parola più lontana in assoluto dal nostro modo di vivere. Non c’è rispetto per il Creato e dunque per tutto ciò che esso include. La questione – in estrema sintesi – è tutta qui. C’è totale incompatibilità tra il messaggio e i comportamenti concreti che quel messaggio conseguentemente pretenderebbe e il mondo in cui siamo immersi, viviamo e ci relazioniamo. Possiamo fare solidarietà, possiamo essere altruisti, possiamo accostarci ai sacramenti e tutto quel che si vuole, ma praticare quel messaggio è altra cosa. la Chiesa – come spesso mi ricorda un non molto considerato prete di Tesero – è “fisiologicamente” destinata ad essere privilegio di pochi eletti. Non perché essa voglia escludere, ma perché solo pochi potranno aderirvi compiutamente al di là di una ritualità ripetuta e svuotata di autentico significato. Non c’è alternativa. Penso farebbe bene al nostro spirito inquietato e inquinato dalla troppa materialità soffermarsi un po’ di più ogniqualvolta transitiamo davanti alla chiesa di San Rocco a meditare sull’affresco de I Peccati della Domenica che sono ormai diventati i peccati di tutta la settimana considerato che per assecondare l’idolatria consumista purtroppo non si lavora più per vivere, ma al contrario si vive per lavorare! Cinque minuti di silente contemplazione sul sagrato: ciò ovviamente non risolverebbe la questione ma contribuirebbe forse a rallentare la decadenza spirituale che è di questi tempi ed è in ognuno di noi.


L’Orco

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