10/03/16

MA NDO’ ELO FINÍ?


All'incirca dieci mesi fa l’orso bruno trentino iniziò a girovagare in lungo e in largo attraversando prati e boschi della nostra amata Heimat. Venne incontrato contemporaneamente in parecchie località della Provincia. Era un Super-bear ubiquitario che per parecchio tempo inquietò le tranquille e affaccendate genti trentine. Il plantigrado anche qui in val di Fiemme balzò agli onori della cronaca locale dopo essere stato segnalato a Malgola (Predazzo), Ziano, Panchià e finanche a la Palanca, dove pare avesse fatto visita ai luoghi dei tragici fatti del Turchin e della compianta mamma Orsa. La stampa locale, in quel periodo a corto di notizie di rilievo, diede ampio spazio a quegli avvistamenti. Poi, gradualmente, l’incalzare di altri importanti eventi, dalla sagra del Puzzone di Moena a quella dei Grostoli di Tesero, dalla gara di tamburello di serie D alla sfilata d’auto d’epoca per le vie del paese, fece sparire l’orso dai giornali e come per miracolo nessuno se lo ritrovò più tra i piedi. Ma, come dice la canzone, la nostalgia è canaglia e ora che il lungo letargo sta per finire siamo certi che la voglia d’orso ricomincerà a battere forte… e L'Adige e il Trentino torneranno presto a regalarci nuovi ed avvincenti episodi.

Pubblichiamo quindi uno dei tanti racconti ‘rimasti in canna’ alle redazioni giornalistiche dei due principali quotidiani trentini. In questo caso la cronaca manoscritta anonima di un avvistamento, ricevuta a suo tempo e mai pubblicata dal corrispondente da Verla di Giovo de L’Adige Placido Giocondo Rossi, che, su nostra insistenza, per sua gentile concessione ci ha fatto pervenire.

Ario




Tei Bepi, te n’ conto una, che de sicür no te me la crederai. Marti matina, son dre che parto per ‘ndar  gio ‘n campagna a me podàr ‘n po’ de pomari…

Ma ‘ndo cristo la m’ha mess ‘l panét, la mé spósa? La m’aveva dit che ‘l lo meteva ndel prosàc! Ndel prosàc no ‘l gh'è, nò. Chissà mai, fidete ti de le dòne.” Zerco ‘n po’ dapertüt… Vago ‘n soggiorno, nient. Vago ‘n caneva, nient. Torno ‘n cosina, rivardo mejo ndel prosàc, nient. La finestra l’è daverta – prima no gh’avevo fato caso, nò – e… tèi, me scampa l’ocio de sot e sat còssa che vedo? L’ors, propi l’ors che i aveva vist nvèndro passà tel zimiteri, lì ‘n de l’ort beato sul brugnar col me panét ‘nte ‘na zata.

Ma can da l’ostrega come al fat a tòrse 'l panét dal prosàc qua ‘n cosina? Che l'sia vegnì dent ‘n casa da la finestra?” Nó capivo, nò. Che far, che no far… “Spèta, spèta, che vago a tòrme ‘l sciopp…” me son dit. Me giro n’attimo per no ‘ngamberlarme te’n paròl che gh’era lì ‘n mez, me rigiro e zac! tei. Sul brugnar nó l gh’è pu, nò. Sparì. Ah, bèla questa; alora l’è propi vera che l’è pu furbo de ‘na volpe, can da l’ostrega.

Me spòrzo dal balcon e vardo de sot. ‘N te l’orto neanche no ‘l gh'è. Possibil?

Ndo saralo finì? Cargo ‘l sciopp e vago gio de sot, con cautela massima, de sì. Sento ‘n sciamazz de poe e de pojatti: no èlo dent ‘l polinar col panét n' man che ‘l gh’é varda a quele stremide de le me galine... ‘L g’aveva ‘n ment de farse ‘na merenda con pan e pollo, tei…

G’ho dat n’ ociada. ‘L gaveva do brazzi, che no te digo. E do zate, ancor pèzo. Te l’ confesso, g’ho avù paura, ‘na paura mata, tei . E, sciopp o no sciopp, no me son pü movest. Ero lì, paralizà. Se stó chi ‘l se gira ntant che l’enquadro ‘l me mete anche mi nte la merenda…

Così ho spetà che ‘l vaga per so cont. Cosa vòt che te diga… Che scena, tei: mi col sciop, l’ors col panét e le galine stremide ‘n tel polinar lì a vardarse ntei oci e a non dir nient. E, miga che ‘l s’abbia scomodà pu de tant, nò. Nò, nò! L’è stà lì ‘n pezzòt fermo a contemplar le poe ‘ntan che ‘l rosegava ‘l panet. Per mi col me sciopp no l’ha fat neanche ‘na piega, come se no ghe fossimo, tei.

A ‘n zerto punto, causa sta situazion così balorda e insolita, me venest ‘n colp de rabbia talment grant che ho fat n’urlo così fòrt che le galine le ha tacà a sguaratàr le ali, tanto che l’ors ‘l sé stremì e l’è scampà de corsa, tei…

A le tante, ho pensà. Mejo tardi che mai. E per fortuna che l’è finida ben… Pòdo ben dir d'esser 'n miracolà!

Ma no se pòl continuar così. ‘N colp sul brugnar, 'n colp tel zimiteri, ‘n colp te ‘l polinar, e ‘n colp magari... ‘n camera da lèt con la me spósa... L’è ‘na vergogna. Sénte zitadini o sénte nissüni? Dai, ostrega! Che i faga valgót gio  ‘n provincia, o i sta lì soltan per ‘l 27? No se pòl pu nar avanti, così, nò…


06/03/16

N.O.T. OR NOT N.O.T.


Cosa si nasconda dietro al Nuovo Ospedale di Trento i comuni mortali della periferia provinciale non lo sanno e non lo possono sapere. È cosa per gli addetti ai lavori, o, tuttalpiù, per i cittadini del capoluogo. Si sa solo che anche in questo caso, un po' di anni fa, improvvisamente, il Santa Chiara risultò inadeguato e non più ristrutturabile e iniziò a circolare il tormentone della necessità di buttare all’aria la “vecchia” struttura per edificarne una nuova di maggiori dimensioni e, perché no, addirittura di interesse extra regionale. Potremmo chiederci: perché si scartò l’opzione ristrutturazione, ove fosse davvero servita? Perché (con leggerezza) si decise di sacrificare una nuova vasta area verde a sud della città (Mattarello) per trasformarla nell’ennesima colata di cemento? Era davvero necessaria quella necessità?


Potremmo stuzzicare la nostra curiosità soltanto azzardando un’ipotesi. Probabilmente un nuovo super ospedale non era necessario. Il 'vecchio' Santa Chiara si poteva riammodernare ancora ed impiegare parte del fiume di denaro pubblico investito nella nuova struttura per ottimizzare la già buona qualità del sistema sanitario provinciale periferico. Ma dare il via all'Operazione N.O.T. avrebbe però solleticato interessi economici rilevantissimi (un fiume di denaro, appunto, che dai forzieri dell'ente pubblico esonderà prossimamente nei conti correnti di consulenti, urbanisti, architetti, geologi, ingegneri, costruttori, notai, avvocati, etc.) e inoltre – almeno nell’immaginario collettivo – avrebbe accostato la P.A.T all’eccellenza sanitaria nazionale, permettendole di appuntarsi al petto l’ennesima medaglia al valor amministrativo. Di più: l'impressione che da osservatori esterni se ne ricava leggendo qua e là è che il N.O.T. sia in realtà anche il pretesto per un ripensamento urbanistico complessivo della località Gocciadoro e non già il fondamento della ristrutturazione sanitaria trentina.

Intanto però, mentre nel capoluogo la Giunta provinciale è al lavoro per accelerare la marcia del complesso iter tecnico-burocratico precedente l'avvio dei lavori del nuovo super ospedale, in periferia soffia uno strano vento di decadenza. L’antica vera eccellenza della sanità trentina, quella dei nosocomi periferici comprensoriali "a misura di paziente", che dal dopoguerra in poi garantì ai bisognosi e ai loro familiari un più che decoroso servizio ospedaliero, senza l'obbligo di lontane e disagevoli trasferte, sta smobilitando.

In val di Fiemme, stando alle solite voci alimentate dal tormentone, si dice che l'ospedale dei Dòssi, malgrado i recenti e recentissimi interventi di straordinaria manutenzione, non sarebbe più all’altezza delle attuali esigenze... Che manchino medici anestesisti... Che le nascite non raggiungano il numero sufficiente per mantenere attivo il reparto di ostetricia... Che il pendolarismo del personale medico costi un'esagerazione...

Insomma, sul sistema ospedaliero periferico la revisione della spesa che il tempo, il governo e questa economia in recessione pretendono, incombe come la morte sul letto del moribondo.

Costi, costi e ancora costi che, conti alla mano, i numeri dei potenziali locali fruitori dei servizi sanitari non permettono di sostenere. La spending review è però un concetto ineffabile, oseremmo dire a geometria variabile. A Cavalese, a Tione o a Mezzolombardo risparmiare e dunque dequalificare è tassativo, a Mattarello no!

Così, mentre si prepara la grande mangiata del nuovo super-ospedale e l’altrettanto appetitosa trasformazione dell'area Santa Chiara, in periferia si risparmia sull'essenziale sospendendo, per esempio, il servizio di pronto soccorso notturno. Perché? Ma perché costa, naturalmente. Ergo, penseremmo, per esempio, che nel caso qualcuno fosse còlto da un improvviso attacco di diarrea infettiva provocata dal casuale inquinamento dell'acquedotto di Varena il recupero del malcapitato dovrebbe essere fatto con un carro a trazione animale dal costo irrisorio: una sforcata di biava al cavallo e un bicchiere di rosso al caradór. Macché, niente affatto! Né carro, né caradór. La biava costa troppo e quanto al rosso non parliamone nemmeno. La spending review in Trentino è cosa seria: il bisognoso di ricovero, còlto dal suddetto attacco un po' dopo Carosello, verrebbe recuperato e trasportato in ospedale nientemeno che in aeromobile! Da qualche tempo infatti l’elicottero – mezzo di soccorso estremo per antonomasia – è stato trasformato in un'ordinaria ambulanza volante, che s’alza in volo e scorrazza in cielo nelle notti trentine ad ogni peto d’infante. A queste latitudini così viene tradotto il verbo risparmiare!


L'Orco


INCANTO NOTTURNO

INCANTO NOTTURNO
Sara

LE OCHE E I CHIERICHETTI

LE OCHE E I CHIERICHETTI
Bepi Zanon

TESERO 1929

TESERO 1929
Foto Anonimo

PASSATO

PASSATO
Foto Orco

ANCORA ROSA

ANCORA ROSA
Foto Archivio

VIA STAVA ANNI '30

VIA STAVA ANNI '30
foto Anonimo

TESERO DI BIANCO VESTITO

TESERO DI BIANCO VESTITO
Foto Giuliano Sartorelli

LA BAMBOLA SABINA

LA BAMBOLA SABINA
Foto Euro

LA VAL DEL SALIME

LA VAL DEL SALIME
Foto Euro

SEBASTIAN E IL BRENZO DI BEGNESIN

SEBASTIAN E IL BRENZO DI BEGNESIN
Foto di Euro Delladio

MINU

MINU
Foto di Sabina

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