04/11/16

CODARDI FOREVER?

In paese si respira un’aria avvelenata. Non ci riferiamo soltanto a quella proveniente dalle ciminiere Misconel, che imperterrite, giorno più, giorno meno, ci solleticano amorevolmente le narici (chissà se lo stillicidio di decessi per neoplasia che in loco stiamo purtroppo registrando ne è del tutto indipendente), ma anche a quella meno fisica e più metafisica che promana e diffonde il dibattito pubblico paesano.
Non certo sui massimi sistemi, tutt’altro. D’altronde siamo caduti così in basso che pretendere generalizzate disquisizioni filosofiche sarebbe pura follia. Per lo più sono ciance, spesso urlate a sproposito, che misurano però una febbre a quaranta diffusa. Noi ne siamo diretti testimoni. Possiamo scrivere di tutto senza che alcuno verghi una sola frase a commento. Basta però pubblicare una bagatella appena appena pepata sugli intrallazzi amministrativi comunali (scala Ceschini docet) o tre foto senza didascalia di cinquecentosette bolognini abbandonati in un bosco che parte immediata la guerra a battibecco tra gli anonimi.
Domanda: è soltanto lo strascico del voto amministrativo 2015 non ancora digerito, o è piuttosto la cronicizzazione di una malattia contratta in anni lontani e giunta al parossismo? Propendiamo per la seconda. Forse Qualcuno pensava di poter continuare a vivere di rendita sulla dilagante
dabbenaggine artatamente coltivata per anni, sperando in una pace infinita senza pagare dazio. Invece, l'insofferenza c'è, anche se sotterranea e carsica. Vedremo se prima o poi riuscirà a concretizzarsi alla luce del sole e soprattutto sulle questioni che contano davvero.



Per la Storia locale, e detto a beneficio dei bamboccioni che non si capacitano delle critiche da noi più volte sollevate al proposito, tutto ebbe inizio nei primi anni Ottanta. Fu proprio allora che Qualcuno iniziò a tessere la tela. Dapprima lentamente, com’era lento qui a quel tempo il procedere delle cose e poi velocemente. Col dopo Stava tutto accelerò e la comunità paesana si ammalò di una rara forma di schizofrenia. Il tormentone “per non dimenticare” riecheggiava in ogni dove e dunque gioco forza non era possibile dimenticare, ma contemporaneamente si faceva di tutto per trasgredire quel precetto e togliersi il peso opprimente di quel pensiero perché “bisognava pur vivere!”. Un terribile, insanabile cortocircuito che esitò in un paradosso: ciò che per divertimento, per diletto o passatempo prima si faceva una tantum e senza secondi fini, per la legge del contrappasso divenne seriale e finalizzato.
Le Corte, per esempio e per l'appunto, erano state nient’altro che una trovata estemporanea del compianto Fabio Vinante (Féstél) (1928 – 1992) messa in scena un paio d’anni prima di quel tragico 1985. Un semplice abbellimento esterno di un antico rustico in via Perós. E invece, dopo Stava, proprio quella trovata fu l’innesco di una frenetica e assurda gara all’imitazione. La temperie era strana, pregna di una lugubre euforia. Qualcuno fiutò l’aria e capì che la mitizzazione di quell’improbabile ritorno al passato lo avrebbe portato lontano…

Costruire la rete di comando piramidale al tempo delle Corte fu per Lui un gioco da ragazzi. Il sistema ‘di tessitura’ escogitato, semplice e geniale al tempo stesso, si rivelò subito efficace. Consisteva semplicemente nell’aumentare il contingente degli Utili Idioti (U.I.), attraverso la creazione e la dispensa di cariche elettive.
Chi sono gli U.I.? Persone comuni, dalle capacità spesso mediocri, ma sopravvalutate dalla società in cui agiscono, dalla quale ricevono onori, prebende e rispetto. Sono ambiziosi, con un’ottima autostima, narcisi q.b. e vogliosi di visibilità. Nulla di più.
La carica cui aspirano, qualsiasi essa sia, soprattutto nelle piccole comunità bigotte, rappresenta il principio d’autorità (‘l lo ha dito ‘l presidente…) che garantisce loro una discreta rendita di posizione e un pizzico di prestigio sociale.
Funziona così sempre e la considerazione e la stima della comunità nei confronti degli in-caricati si consolidano man mano che il tempo passa ed essi riescono a tenere le briglie del comando rispettando (obbligatoriamente!) due semplici regole: 1) consigliare sempre, non esporsi mai. 2) stare sempre con chi vince e comunque mai contro chi vince...
Tesero, favorito dal combinato disposto di un non casuale moltiplicarsi di associazioni e di enti minori e paralleli, con il conformismo e la tipica leggerezza della base sociale paesana, è stato sin’ora senza alcun dubbio l’esempio fiemmese più caratteristico della messa in pratica di questo sistema e, di conseguenza, la fucina più prolifica di U.I.
Ma perché era (è) importante una rete diffusa di U.I.? Chi ne traeva (trae) vantaggio? E’ importante perché essa garantisce il controllo quasi capillare della base: i voti, per esempio quelli necessari per portare un abile incantatore di anime semplici agli altari della politica provinciale, possono essere contati a priori: tanti la Banda, tanti gli Alpini, tanti gli Anziani (de le Tessare), tanti il Consiglio parrocchiale, tanti il Coro, tanti il consiglio di Regola, tanti la Cornacci, eccetera. Ogni gruppo un suo vertice ed ogni vertice un suo U.I.
A trarne vantaggio è ovviamente il Principe di turno, il quale deve avere per forza di cose qualità seduttive superiori rispetto a quelle dei suoi sottoposti U.I. Egli agisce in rapporto sinergico con essi, plagiandoli e lusingandoli, promettendo loro favori e garantendogli le risorse finanziarie per il sostentamento del gruppo o dell’associazione di cui sono il vertice. Ed essi per riconoscenza ne divulgano poi acriticamente il verbo e le intenzioni, permettendo così la diffusione e il mantenimento del consenso.
In poche parole sono il tramite, la cinghia di trasmissione tra il Principe e la Plebe. E il Principe, qui a Tesero da quei tempi in poi, naturalmente, coincide proprio col Nostro.
Ora, sinistri scricchiolii annunciano che quel giochino non funziona più. Per scassinarlo definitivamente, il grimaldello giusto non è stato ancora trovato, ma è questione di tempo. Quando arriverà il momento questo meccanismo ultra consolidato salterà, e solo allora forse si riuscirà a cambiare il verso a questa comunità e a liberarla da quell’oligarchia bigotta e leggera che da decenni, plagiando ed irretendo la maggioranza dei cittadini, determina a sua immagine e somiglianza amministrazioni miopi ed asservite, buone soltanto a far da supporto organizzativo, logistico e finanziario alle infinite cazzate promozionali prodotte annualmente in questo paese.

Ario Dannati 



P.S.

Come si dice, la speranza è l'ultima a morire, ma, a proposito della possibilità di leggere un nome e un cognome in calce ad un intervento qualsiasi e far decollare quindi un dibattito costruttivo tra persone civili, a questo punto crediamo sia davvero defunta. Peccato. Prendiamo atto, sconfessando in parte quanto abbiamo appena scritto, che il paese, o per meglio dire la sua cittadinanza, è preda di un irremovibile blocco psicologico causato evidentemente da una diffusa pratica intimidatoria di stampo mafioso, esercitata da decenni e a vari livelli dal "Potere".
E che nessuno, per favore, abbia il coraggio senza firmarsi di dire il contrario!





2 commenti:

  1. Rappresentazione estremamente realistica del paese di Tesero. Paese dove il potere delle decisioni è in mano alle famiglie. Dove chi non ha il cognome o l'origine giusta non ha parola. Paese con un incomprensibile, ma allo stesso tempo comprensibilissimo, numero di associazioni. Credo che sotto diverse vesti si nasconda lo stesso contenuto delle più note cronache della penisola.

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  2. Parole sante anonimo, purtroppo si vede in tante realta delle associazioni paesane e sarà sempre cosi perchè c'è tanta paura ad esporsi e manifestare il proprio disappunto.

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