06/03/16

N.O.T. OR NOT N.O.T.


Cosa si nasconda dietro al Nuovo Ospedale di Trento i comuni mortali della periferia provinciale non lo sanno e non lo possono sapere. È cosa per gli addetti ai lavori, o, tuttalpiù, per i cittadini del capoluogo. Si sa solo che anche in questo caso, un po' di anni fa, improvvisamente, il Santa Chiara risultò inadeguato e non più ristrutturabile e iniziò a circolare il tormentone della necessità di buttare all’aria la “vecchia” struttura per edificarne una nuova di maggiori dimensioni e, perché no, addirittura di interesse extra regionale. Potremmo chiederci: perché si scartò l’opzione ristrutturazione, ove fosse davvero servita? Perché (con leggerezza) si decise di sacrificare una nuova vasta area verde a sud della città (Mattarello) per trasformarla nell’ennesima colata di cemento? Era davvero necessaria quella necessità?


Potremmo stuzzicare la nostra curiosità soltanto azzardando un’ipotesi. Probabilmente un nuovo super ospedale non era necessario. Il 'vecchio' Santa Chiara si poteva riammodernare ancora ed impiegare parte del fiume di denaro pubblico investito nella nuova struttura per ottimizzare la già buona qualità del sistema sanitario provinciale periferico. Ma dare il via all'Operazione N.O.T. avrebbe però solleticato interessi economici rilevantissimi (un fiume di denaro, appunto, che dai forzieri dell'ente pubblico esonderà prossimamente nei conti correnti di consulenti, urbanisti, architetti, geologi, ingegneri, costruttori, notai, avvocati, etc.) e inoltre – almeno nell’immaginario collettivo – avrebbe accostato la P.A.T all’eccellenza sanitaria nazionale, permettendole di appuntarsi al petto l’ennesima medaglia al valor amministrativo. Di più: l'impressione che da osservatori esterni se ne ricava leggendo qua e là è che il N.O.T. sia in realtà anche il pretesto per un ripensamento urbanistico complessivo della località Gocciadoro e non già il fondamento della ristrutturazione sanitaria trentina.

Intanto però, mentre nel capoluogo la Giunta provinciale è al lavoro per accelerare la marcia del complesso iter tecnico-burocratico precedente l'avvio dei lavori del nuovo super ospedale, in periferia soffia uno strano vento di decadenza. L’antica vera eccellenza della sanità trentina, quella dei nosocomi periferici comprensoriali "a misura di paziente", che dal dopoguerra in poi garantì ai bisognosi e ai loro familiari un più che decoroso servizio ospedaliero, senza l'obbligo di lontane e disagevoli trasferte, sta smobilitando.

In val di Fiemme, stando alle solite voci alimentate dal tormentone, si dice che l'ospedale dei Dòssi, malgrado i recenti e recentissimi interventi di straordinaria manutenzione, non sarebbe più all’altezza delle attuali esigenze... Che manchino medici anestesisti... Che le nascite non raggiungano il numero sufficiente per mantenere attivo il reparto di ostetricia... Che il pendolarismo del personale medico costi un'esagerazione...

Insomma, sul sistema ospedaliero periferico la revisione della spesa che il tempo, il governo e questa economia in recessione pretendono, incombe come la morte sul letto del moribondo.

Costi, costi e ancora costi che, conti alla mano, i numeri dei potenziali locali fruitori dei servizi sanitari non permettono di sostenere. La spending review è però un concetto ineffabile, oseremmo dire a geometria variabile. A Cavalese, a Tione o a Mezzolombardo risparmiare e dunque dequalificare è tassativo, a Mattarello no!

Così, mentre si prepara la grande mangiata del nuovo super-ospedale e l’altrettanto appetitosa trasformazione dell'area Santa Chiara, in periferia si risparmia sull'essenziale sospendendo, per esempio, il servizio di pronto soccorso notturno. Perché? Ma perché costa, naturalmente. Ergo, penseremmo, per esempio, che nel caso qualcuno fosse còlto da un improvviso attacco di diarrea infettiva provocata dal casuale inquinamento dell'acquedotto di Varena il recupero del malcapitato dovrebbe essere fatto con un carro a trazione animale dal costo irrisorio: una sforcata di biava al cavallo e un bicchiere di rosso al caradór. Macché, niente affatto! Né carro, né caradór. La biava costa troppo e quanto al rosso non parliamone nemmeno. La spending review in Trentino è cosa seria: il bisognoso di ricovero, còlto dal suddetto attacco un po' dopo Carosello, verrebbe recuperato e trasportato in ospedale nientemeno che in aeromobile! Da qualche tempo infatti l’elicottero – mezzo di soccorso estremo per antonomasia – è stato trasformato in un'ordinaria ambulanza volante, che s’alza in volo e scorrazza in cielo nelle notti trentine ad ogni peto d’infante. A queste latitudini così viene tradotto il verbo risparmiare!


L'Orco


7 commenti:

  1. Eh sì e non dimentichiamo che il precedente appalto dell'ospedale di Trento è stato annullato per irregolarità nella procedura e sono stati spesi ulteriori fondi pubblici..........

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  2. Musica per le mie orecchie...

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  3. Ormai la gente è stufa , eppure vota sempre le stesse persone chissà come mai????

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  4. Il mondo è bello perché è vario, ed alla stupidità non c'è mai fine.... Chissà...

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  5. Mi fa piacere che il blog apra una discussione sulla sanità trentina. Mi scuso se sarò lungo, ma un argomento così importante merita un’analisi approfondita. A parer mio, tutto nasce negli ormai “lontani” anni 2006/07 quando la P.A.T decise di investire una vagonata di milioni di euro per riammodernare la flotta degli elicotteri con la conseguente necessità di adeguare tutte le piazzole per l’atterraggio, anche quello notturno, presenti sia nei presidi ospedalieri che nelle zone più limitrofi, vedi Canazei. Non solo, visto che gli hangar e la struttura che accoglieva tutto lo staff del nucleo elicotteri di Mattarello risultavano ormai non più conforme ai nuovi standard previsti per l’utilizzo dei mega velivoli, vengono costruite delle nuove strutture con dei costi che sarebbe interessante poter sapere nel dettaglio ma che purtroppo non sono in grado di quantificare ma, a spanne, sicuramente una seconda vagonata di milioni di euro. In quel periodo però nessuno ha mai accennato al fatto che tutto l’investimento aveva come finalità quella di accentrare su Trento tutte le emergenze sanitarie a scapito dell’utilizzo delle strutture ospedaliere periferiche. Anche la scelta dei velivoli fu molto mal digerita dai tecnici del soccorso in montagna, per le dimensioni degli stessi e per la difficoltà di manovra in zone impervie. Punto a favore dei nuovi mezzi, la velocità negli spostamenti da e verso la città. Mi sembra chiaro che in questo frangente ( forse uno dei pochi) la politica ha avuto lungimiranza, in negativo però. Non si è mai espressa pubblicamente relazionando su queste scelte, anzi ha sempre cercato di bypassare l’ostacolo. Ora che questo passo è stato fatto, emergono tutte le problematiche che fanno incazzare la popolazione. Forse la manovra avrebbe avuto un senso se il S.Chiara fosse già stata una struttura moderna, efficiente e pronta ad accogliere tutti i pazienti qui dirottati dalle periferie. Adesso si parla di N.O.T. con tempi biblici e con un profumo-puzza di speculazione nell'aria. Non sarebbe stato più utile utilizzare si tante risorse per ottimizzare i servizi sul territorio? Ed i nostri rappresentanti cosa fanno? Ovviamente danno ragione alla massa! Ma negli anni delle decisioni sulle macchine volanti dov’erano? Molti di loro erano in consiglio o addirittura in giunta!! Rossi era addirittura assessore alla sanità! ( segue nel post successivo )

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  6. Un secondo punto che mi sembra importante è l’analisi del perché si è arrivati alla scelta di trasformare l’ospedale di Fiemme in un nosocomio ad ore o par time se si preferisce. Infatti una struttura ospedaliera senza alcune figure basilari ( anestesisti ) non si può definire tale. Per assurdo nelle ore di assenza di questo personale bisognerebbe togliere la scritta Ospedale. La ormai famosa norma europea del lontano 2003 e sottolineo 2003 che stabilisce i riposi dei camici bianchi, anestesisti, ecc… entrata in vigore in Italia ed anche in Trentino il 24/11/2015 ha, di fatto, portato al collasso il sistema. Ma è una norma del 2003!!! Non c’era forse tutto il tempo per organizzarsi? Analizzando il problema del reparto maternità, già nel 2002 su richiesta dell’assessorato e dell’azienda sanitaria, il dipartimento materno-infantile ha elaborato un documento sulla riorganizzazione dei punti nascita dell’ azienda sanitaria della P.A.T. L’elaborato condiviso dai direttori delle Unità operative, sulla base di rigorose premesse scientifiche, con adeguate misure compensative ed organizzative, proponeva la chiusura motivata da ragioni di sicurezza di alcuni punti nascita. Questo documento è stato dimenticato e 13 anni dopo si è arrivati praticamente a conclusioni analoghe. In assenza di un percorso serio, analitico e, perché no, anche contraddittorio dell’analisi di cui sopra. Conclusioni frettolose ed applicate dal giorno alla notte! Dimostrazione del fatto che la politica provinciale è più preoccupata al consenso che al risolvere le problematiche che si trova di fronte utilizzando il metodo del rimando! Penso che qualsiasi persona ragionevole poteva, dopo tutti questi fatti, prevedere una conclusione simile. Purtroppo il vizio di rimandare rimane ma rimane anche il vizio di far fare ad altri le scelte che, secondo alcuni, creano un danno d’immagine. Infatti siamo in attesa della decisione del Ministro Lorenzin sul destino dei reparti di neonatologia periferici. Alla faccia dell’autonomia, tanto rivendicata e sbrodolata dai nostri rappresentanti. “ Su questo anche gli amministratori territoriali ( scriveva Pierangelo Giovanetti su l’Adige il 29/11/2015) dovrebbero dare dimostrazione di sguardo lontano, non di semplice piccolo cabotaggio, contrattando pure con la Provincia l’eventuale contropartita da ricevere in cambio della chiusura dei punti nascita. Aizzare o capitanare le folle, esasperando la rabbia che è già forte, non ha grande prospettiva. Forse gli amministratori avrebbero il compito di spiegare e far capire alla gente la situazione, anche economica , in cui ci troviamo, e il quadro generale che motiva le singole scelte. Ma anche per i sindaci e presidenti di comunità di valle, come per gli amministratori provinciali, ci vuole il coraggio e il saper guardar lontano, caratteristiche sempre più rare di questi tempi”
    Ci sarebbe da aprire un dibattito anche sulla situazione della “mega” protonterapia di Trento dove si stanno dannando per cercare pazienti in giro per il mondo, ma questo è un altro capitolo, anzi è un fiore all’occhiello della sanità e della politica trentina che fa molta “fatica” a sbocciare. ( C.D.)

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