22/02/16

CONTRO LA MUSICA DI SOTTOFONDO


Quanto conta quello che ascoltiamo fuori, prima di entrare in sala da concerto? Quanto le nostre orecchie e il nostro cuore sono influenzati dai suoni e dai rumori che incontriamo prima di penetrare in un luogo musicale? Secondo me tantissimo. Al punto che una volta l'evento concertistico aveva la funzione di occupare un silenzio della nostra vita, rendendolo eccitante, mentre ora lo stare chiusi in un auditorium o in un teatro d'opera sta diventando un modo per essere a contatto con meno stimoli sonori rispetto a quelli che ci circondano normalmente. Un concerto, ormai, prima di dare qualche cosa serve innanzitutto a togliere: niente suonerie, niente traffico. Soprattutto: niente musica di sottofondo.

Perché è nel sottofondo che il mondo che non ascolta musica dal vivo si è preso la propria rivalsa: la musica non abita più in luoghi deputati ad ascoltarla, la musica abita ovunque. Certo, è sostanzialmente sempre altra musica, non musica classica. Ma è comunque musica, che invade le nostre orecchie e occupa (un po') il nostro cervello, anche perché raramente si sceglie di diffondere quella nata per essere ascoltata in sottofondo (esiste, e ha caratteristiche ben precise): di norma si presuppone che qualunque oggetto sonoro possa andare bene per «rallegrare l'ambiente».

Fino a poco tempo fa c'erano luoghi pubblici nei quali era usuale incontrare musica di sottofondo: al supermercato o in certe stazioni della metropolitana nessuno si stupiva dell'opportunità che aveva di ascoltare un po' di musica. Anche perché quello era sottofondo costruito ad arte - tecnicamente si chiama muzak. Ora, da qualche tempo, musica varia erroneamente usata per una funzione di sottofondo è penetrata in luoghi prima protetti, luoghi nei quali ci piaceva ascoltare il suono della nostra voce, il rumore degli oggetti che ci circondavano, o semplicemente il silenzio che a tratti ci costringeva a pensare, a guardarci negli occhi, a inventare qualcosa. Sono luoghi ormai violati ed è inutile citarli - l'elenco sarebbe lunghissimo. Mi preme però segnalare con rammarico la fine del silenzio in un luogo speciale: il ristorante.

Mangiare senza musica di sottofondo sta diventando un privilegio. Le proteste di solito servono a poco. Anche perché noi che frequentiamo i luoghi destinati alla musica, noi che ci sediamo su una poltroncina e per qualche ora stiamo fermi ad ascoltare, abbiamo fiducia nella musica. Prestiamo attenzione, ci emozioniamo, esprimiamo giudizi perché della musica ci fidiamo e vogliamo fidarci. Ogni suo istante è prezioso, ci piace seguirne le evoluzioni, non siano capaci di rimanere impassibili in sua presenza, mentre chi si circonda di musica perenne, chi non bada più a ciò che gli passa davanti alle orecchie, nella musica non ha invece nessuna fiducia. Non pensa che sia una ricchezza, che vada dosata, che sappia offrire istanti unici e speciali. La usa, la sfrutta, se ne circonda; ma non vi si affida con l'abbandono e l'entusiasmo che noi conosciamo. Per cui la discussione è immediatamente sterile, le posizioni sono troppo lontane. Così mi è venuta in mente questa idea: chiediamo ai cinici ristoratori con sottofondo obbligatorio di venderci un po' di silenzio. Come usando un juke-box al rovescio. Stabiliscano una tariffa, una percentuale del conto finale: io sarei il primo a pagare qualche euro in più per mangiare tranquillo e poi entrare in sala da concerto a sentire musica, quando ne ho voglia. E so che qualche amico fedele mi seguirebbe.

Non solo: forse si dovrebbe andare oltre, utilizzando un po' di preveggenza.

Conoscete di certo anche voi la saggia definizione di Jon Elster: «La Costituzione è quella cosa che ci si dà quando si è sobri per poterla utilizzare nel momento in cui si è ubriachi». Ho l'impressione che la si debba aver presente anche nel ragionare sul fenomeno della musica di sottofondo e mi domando se chi ha un potere legislativo, anche a livello locale, non debba rapidamente concepire una legge che preservi dalla musica obbligatoria alcuni luoghi. Gli ospedali, ad esempio. O le scuole, i tribunali, i cimiteri, i sentieri di montagna, le rive del mare, tanto per cominciare. Badate: ora ci sembrerebbe follia trovare musica di sottofondo in un'aula scolastica, ma anche per i ristoranti, solo qualche anno fa, l'ipotesi sembrava remota.

Ovviamente - serve dirlo? - sarebbe un gesto d'amore per il mondo dei suoni, non certo una censura. Perché la musica vive se si alterna al silenzio, così come il pranzo è gustoso se preceduto dall'appetito e l'autunno ha la sua poesia perché porta via il caldo dell'estate. Consiglieri, assessori, parlamentari: vogliamo occuparci delle nostre orecchie ora, prima che sia irrimediabilmente troppo tardi?

Anche perché uno dei nefasti effetti della diffusione di musica ovunque è che ormai consideriamo cantanti e pianoforti (registrati) come parte dell'ambiente e non ci accorgiamo più di loro. Se non siamo musicisti o melomani attenti o soggetti particolarmente sensibili (il che, nello specifico, diventa una fortuna), non sappiamo più distinguere tra il silenzio, il rumore del traffico, il chiacchiericcio o la musica che esce da altoparlanti attivati a tradimento. Per risvegliare la nostra attenzione, per farci capire che le nostre orecchie stanno ascoltando musica, la dobbiamo veder suonare: di solito lì scatta l'attenzione, la curiosità, persino il rispetto per chi sta usando il linguaggio sonoro. Paradossalmente mi viene da dire che ormai se non vedo non ascolto, con buona pace dei produttori di dischi.

Quello che mi sembra interessante è che ciò accade non perché viviamo nella civiltà dell'immagine ma perché siamo immersi nella civiltà della sonorizzazione. Attività fino a pochi anni fa destinate a svolgersi nel silenzio, come fare il bagno al mare, mangiare in un ristorante, viaggiare su un traghetto, ora si devono affrontare nella palude della musica obbligata; persino i modelli di ebook più recenti si possono acquistare in una versione con colonna sonora, così che anche l'attività silenziosa per eccellenza, la lettura, é stata stanata e raggiunta dalla musica coatta. E allora, intontiti da stimoli sonori inesauribili, per ascoltare ora abbiamo bisogno (anche) degli occhi.

tratto da Occhio alle orecchie

1 commento:

  1. Condivido pienamente quanto detto e scritto da Nicola Campogrande ( oltre ad essere scrittore e musicologo anche ottimo conduttore radiofonico). Segnalo il libro di Mario Brunello edito da il Mulino con titolo " SILENZIO".
    Schubert considerava il silenzio come l'ottava nota.
    Il grande Claudio Abbado nelle sue direzioni "mature" terminava i suoi concerti con dei lunghi silenzi; momento di pausa ma soprattutto di riflessione sia per gli esecutori che per il pubblico. Purtroppo, nella frenesia della vita moderna, sono sempre più rari i momenti privi di rumore. E, se questo è assente, l'uomo è maestro nel riempirlo con ogni tipo di marchingegno, più o meno tecnologico. Sarebbe bene riscoprire il valore del silenzio e riempirlo con della musica, della vera musica. In fondo il Musicista riesce a farlo senza disturbarlo, anzi, regalando emozioni per lo spirito, per la mente e, perché no, anche per il corpo. ( C.D.)

    RispondiElimina

INCANTO NOTTURNO

INCANTO NOTTURNO
Sara

LE OCHE E I CHIERICHETTI

LE OCHE E I CHIERICHETTI
Bepi Zanon

TESERO 1929

TESERO 1929
Foto Anonimo

PASSATO

PASSATO
Foto Orco

ANCORA ROSA

ANCORA ROSA
Foto Archivio

VIA STAVA ANNI '30

VIA STAVA ANNI '30
foto Anonimo

TESERO DI BIANCO VESTITO

TESERO DI BIANCO VESTITO
Foto Giuliano Sartorelli

LA BAMBOLA SABINA

LA BAMBOLA SABINA
Foto Euro

LA VAL DEL SALIME

LA VAL DEL SALIME
Foto Euro

SEBASTIAN E IL BRENZO DI BEGNESIN

SEBASTIAN E IL BRENZO DI BEGNESIN
Foto di Euro Delladio

MINU

MINU
Foto di Sabina

Archivio blog