Ogni
anno giornali e televisioni in prossimità dell’inizio di
particolari periodi o ricorrenze propongono pezzi e servizi
celebrativi che esaltano il senso circolare del passare del tempo.
Rientrano tipicamente nell’elenco delle occasioni degne di menzione
anche gli esami di maturità, le vacanze estive, l'inizio dell'anno
scolastico e... quello della caccia. Articoli e servizi in fotocopia,
buoni un anno per l'altro, di solito zeppi di luoghi comuni e di
immaginari stereotipati pubblicati tanto per riempire un buco in un
palinsesto tv o una mezza pagina in un quotidiano locale. Domenica,
per l'appunto, giorno d'apertura della caccia in Trentino, su l'Adige
ne appariva uno confezionato in tal guisa. Un reportage
sull’attesa
per l’apertura della nuova stagione venatoria e sulle aspettative
dei sedicenti “equilibratori di sistema”, all’interno del quale
le “doppiette” intervistate facevano intendere tra l’altro di
adoperarsi anema
e core
per garantire alle loro future vittime la miglior qualità di vita
possibile della di esse pur breve esistenza. Alla gentile cronista
curatrice del pezzo, per la prossima apertura 2015, suggeriamo di
intervistare, se le riesce, anche la controparte per dare voce
all’altra campana. Probabilmente l’impressione che se ne ricaverà
risulterà molto diversa da quella che qui ha inteso far pervenire
al lettore. Non ci si lava la coscienza mettendo una forcata di fieno
in una mangiatoia… I cacciatori non rispettano affatto la natura.
Chi distrugge qualcosa non l'ama, lapalissiano! Di sicuro i
cosiddetti seguaci di Diana – presuntuosa e arrogante minoranza –
forse per un insano complesso
di superiorità,
amano sparare a uno scenario teoricamente a disposizione di tutti,
deturpandolo, eliminandone gli “attori” principali e in simbiosi
con l’ambiente, impedendo a chi cacciatore non è di goderne
compiutamente lo spettacolo. Oggi gli uomini in verde scuro sono
sostanzialmente dei cecchini, equipaggiati con sofisticati armamenti
di precisione che si recano sul posto seduti in confortevoli
fuoristrada. Comunicano con i compagni di battuta con il telefonino,
altro che no, affaticandosi nell’azione vandalica – ché di
questo in verità si tratta – il meno possibile. Smontano
dall'auto, fanno pochi passi, imbracciano il fucile o lo sistemano su
un treppiede, puntano l’arma e sparano proditoriamente a una
creatura inerme che bruca un filo d’erba a 400 metri di distanza o
che s'è appena rizzata sulle zampe dopo un riposo in un prato.
Sarebbero questi i "momenti magici" e la "poesia",
dipinti da questo giornalismo di maniera? No, non c'è affatto poesia
nell' "arte venatoria", seppur proprio per ammantarne la
cruda verità la narrazione delle gesta degli “amanti della
natura” faccia uso spesso di perifrasi, come per esempio prelievo
faunistico regolamentato
in luogo del più esplicito copàr.
Cento
anni fa la caccia era diversa. Almeno non c’era ipocrisia. Il
cacciatore uccideva per necessità non per “passione” o per
“amore”. Usava schioppi senza cannocchiale e di limitata potenza
balistica. Le uscite venatorie erano meno frequenti anche perché tra
prati, campi stalla e tabià, di tempo non ne avanzava molto e le
“levatacce” quegli uomini le facevano 365 giorni l’anno…
Quando ne aveva l’occasione, con il fucile in spalla e vestito come
sempre, il contadino-cacciatore doveva recarsi sul "campo di
battaglia" a piedi camminando spesso per parecchi chilometri
lungo trósi
accidentati, con tutto l’armamentario a bordo del cavallo di san
Francesco. Doveva sopperire alla mancanza di attrezzatura sofisticata
con la propria “bravura” nella fase di avvicinamento alla preda.
Quest’ultima perciò aveva la possibilità di avvertire la presenza
del pericolo e quindi di tanto in tanto anche di cavarsela. Oggi
l’animale non può fare assolutamente niente. Alza la testa ed è
già morto.
La
natura si rispetta con i fatti. Se le “doppiette” fossero davvero
come una certa stampa da sempre tenta di dipingerle, quest'anno
avrebbero dovuto lasciare le armi appese al chiodo. Dall’ ottobre
scorso a oggi una avversa sequenza congiunturale ha stremato la fauna
selvatica come mai prima si ricordi. La Natura, senza schioppi e
telefonini, quest'anno la selezione l'aveva già fatta per proprio
conto. Delle “doppiette” e delle loro premure non c'era affatto
bisogno.
A.D.
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