09/09/14

SEMPLICEMENTE VIGLIACCHI


Ogni anno giornali e televisioni in prossimità dell’inizio di particolari periodi o ricorrenze  propongono pezzi e servizi celebrativi che esaltano il senso circolare del passare del tempo. Rientrano tipicamente nell’elenco delle occasioni degne di menzione anche gli esami di maturità, le vacanze estive, l'inizio dell'anno scolastico e... quello della caccia. Articoli e servizi in fotocopia, buoni un anno per l'altro, di solito zeppi di luoghi comuni e di immaginari stereotipati pubblicati tanto per riempire un buco in un palinsesto tv o una mezza pagina in un quotidiano locale. Domenica, per l'appunto, giorno d'apertura della caccia in Trentino, su l'Adige ne appariva uno confezionato in tal guisa. Un reportage sull’attesa per l’apertura della nuova stagione venatoria e sulle aspettative dei sedicenti “equilibratori di sistema”, all’interno del quale le “doppiette” intervistate facevano intendere tra l’altro di adoperarsi anema e core per garantire alle loro future vittime la miglior qualità di vita possibile della di esse pur breve esistenza. Alla gentile cronista curatrice del pezzo, per la prossima apertura 2015, suggeriamo di intervistare, se le riesce, anche la controparte per dare voce all’altra campana. Probabilmente l’impressione che se ne ricaverà risulterà molto diversa da quella che qui ha inteso far pervenire al lettore. Non ci si lava la coscienza mettendo una forcata di fieno in una mangiatoia… I cacciatori non rispettano affatto la natura. Chi distrugge qualcosa non l'ama, lapalissiano! Di sicuro i cosiddetti seguaci di Diana – presuntuosa e arrogante minoranza – forse per un insano complesso di superiorità, amano sparare a uno scenario teoricamente a disposizione di tutti, deturpandolo, eliminandone gli “attori” principali e in simbiosi con l’ambiente, impedendo a chi cacciatore non è di goderne compiutamente lo spettacolo. Oggi gli uomini in verde scuro sono sostanzialmente dei cecchini, equipaggiati con sofisticati armamenti di precisione che si recano sul posto seduti in confortevoli fuoristrada. Comunicano con i compagni di battuta con il telefonino, altro che no, affaticandosi nell’azione vandalica – ché di questo in verità si tratta – il meno possibile. Smontano dall'auto, fanno pochi passi, imbracciano il fucile o lo sistemano su un treppiede, puntano l’arma e sparano proditoriamente a una creatura inerme che bruca un filo d’erba a 400 metri di distanza o che s'è appena rizzata sulle zampe dopo un riposo in un prato. Sarebbero questi i "momenti magici" e la "poesia", dipinti da questo giornalismo di maniera? No, non c'è affatto poesia nell' "arte venatoria", seppur proprio per ammantarne la cruda verità la narrazione delle gesta degli “amanti della natura” faccia uso spesso di perifrasi, come per esempio prelievo faunistico regolamentato in luogo del più esplicito copàr.
Cento anni fa la caccia era diversa. Almeno non c’era ipocrisia. Il cacciatore uccideva per necessità non per “passione” o per “amore”. Usava schioppi senza cannocchiale e di limitata potenza balistica. Le uscite venatorie erano meno frequenti anche perché tra prati, campi stalla e tabià, di tempo non ne avanzava molto e le “levatacce” quegli uomini le facevano 365 giorni l’anno… Quando ne aveva l’occasione, con il fucile in spalla e vestito come sempre, il contadino-cacciatore doveva recarsi sul "campo di battaglia" a piedi camminando spesso per parecchi chilometri lungo trósi accidentati, con tutto l’armamentario a bordo del cavallo di san Francesco. Doveva sopperire alla mancanza di attrezzatura sofisticata con la propria “bravura” nella fase di avvicinamento alla preda. Quest’ultima perciò aveva la possibilità di avvertire la presenza del pericolo e quindi di tanto in tanto anche di cavarsela. Oggi l’animale non può fare assolutamente niente. Alza la testa ed è già morto.
La natura si rispetta con i fatti. Se le “doppiette” fossero davvero come una certa stampa da sempre tenta di dipingerle, quest'anno avrebbero dovuto lasciare le armi appese al chiodo. Dall’ ottobre scorso a oggi una avversa sequenza congiunturale ha stremato la fauna selvatica come mai prima si ricordi. La Natura, senza schioppi e telefonini, quest'anno la selezione l'aveva già fatta per proprio conto. Delle “doppiette” e delle loro premure non c'era affatto bisogno.
 
A.D.

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