14/09/14

RITRATTO DEL CIVILIZZATO


... Se fossimo in grado di sottrarci ai desideri, ci sotrarremmo nel contempo al destino; superiori agli esseri, alle cose e a noi stessi, restii ad amalgamarci di più con il mondo, attraverso il sacrificio della nostra identità accederemmo all'anonimato e alla rinuncia. « Io non sono nessuno, ho vinto il mio nome! » esclama colui che, non volendo più abbassarsi a lasciare traccia di sé, cerca di conformarsi all'ingiunzione di Epicuro: « Nascondi la tua vita ». Gli antichi: sempre a loro torniamo quando si tratta dell'arte di vivere, della quale duemila anni di sovranatura e di carità convulsa ci hanno fatto perdere il segreto. Ritorniamo a loro, alla loro ponderazione e alla loro amabilità, non appena accenni a scemare quella frenesia che il cristianesimo ci ha inculcato; la curiosità che essi destano in noi corrisponde a una diminuzione della nostra febbre, a un arretramento verso la salute. E ritorniamo ancora a loro perché, separati dall'universo da un intervallo più ampio dell'universo stesso, essi ci propongono una forma di distacco che cercheremmo inutilmente nei santi.

 Facendo di noi dei frenetici, il cristianesimo ci preparava suo malgrado a generare una civiltà di cui ora è vittima: non ha forse creato in noi troppi bisogni, troppe esigenze? Queste esigenze, questi bisogni, inizialmente interiori, erano destinati col tempo a degradarsi e a dirigersi verso l'esterno; e allo stesso modo il fervore da cui promanavano tante preghiere sospese bruscamente, non potendo svanire né rimanere inutilizzato, doveva mettersi al servizio di dèi di ricambio e forgiare simboli a misura della loro nullità. Eccoci in balia di contraffazioni d'infinito, di un assoluto senza dimensione metafisica, immersi nella velocità, non potendo esserlo nell'estasi. Questa ferraglia ansimante, replica della nostra smania di movimento, e questi spettri che la manovrano, questo corteo di automi, questa processione di allucinati! Dove vanno? Che cosa cercano? Quale vena di demenza li trascina? Ogni volta che propendo per assolverli, che concepisco dei dubbi sulla legittimità dell'avversione o del terrore che mi ispirano, mi basta pensare alle strade di campagna, la domenica, perché l'immagine di quella marmaglia mi rafforzi nei miei disgusti o nei miei raccapricci. Essendo stato abolito l'uso delle gambe, il camminatore, in mezzo a quei paralitici al volante, ha un'aria da eccentrico o da proscritto; presto farà la figura del mostro. Non c'è più contatto con il suolo: tutto ciò che in esso affonda ci è divenuto estraneo e incomprensibile. Strappati da ogni radice, inadatti per di più ad avere dimestichezza con la polvere o con il fango, siamo riusciti nell'impresa di rompere non soltanto con l'intimità delle cose, ma con la loro superficie stessa. La civiltà, a questo stadio, apparirebbe come un patto col diavolo, se l'uomo avesse ancora un'anima da vendere.

  E' davvero per « guadagnare tempo » che furono inventati questi arnesi? Più sguarnito, più diseredato del troglodita, il civilizzato non ha un momento per sé, i suoi svaghi stessi sono febbrili e opprimenti: un forzato in ferie, che soccombe all'uggia dell'inattività e all'incubo delle spiagge. Quando si sono frequentati luoghi dove l'ozio era di rigore, dove tutti vi eccellevano, ci si adatta male a un mondo dove nessuno lo conosce e lo sa godere, dove nessuno respira. L'essere, infeudato alle ore, è ancora un essere umano? E ha il diritti di chiamarsi libero, quando sappiamo che si è scrollato di dosso tutte le schiavitù tranne quella essenziale? ...

Da LA CADUTA NEL TEMPO di E.M.Cioran

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