Così
l’indimenticato maestro Antonio Piazzi (1898 - 1972) sintetizzava
esemplarmente Tesero in un dépliant promozionale del 1933. In
quella sua descrizione didascalica c’era quanto di meglio potesse
offrire il paese in estate ai pochi turisti di quegli anni:
l’essenziale. Socialità, ambiente, “comodità”, sanità. E i
turisti null’altro pretendevano. Gente semplice e non facoltosa,
per lo più proveniente dalle città del Nord Italia. Se non riusciva
a trovar posto nei pochi alberghi esistenti, si accontentava di una
stanzetta in un appartamento privato, spesso condividendo i servizi,
la frugalità dei pasti e il resto della casa con i componenti della
famiglia ospitante. Il “fuggiasco” dalla città già rumorosa e
caotica chiedeva soprattutto due cose: tranquillità e aria buona. E
il paese, che in quell’epoca viveva soprattutto di zootecnia e
agricoltura gliele garantiva. Tempi e costumi di un passato ormai
sepolto.
Poi
venne l’evoluzione della specie di pari passo con lo
sviluppo alberghiero prima e quello delle seconde case poi. Il
turista perse gradualmente quella semplicità e bonarietà che ne
caratterizzava il prototipo, e con l’accrescimento della sua
ricchezza disponibile si fece via via più cafone così come, per
contagio, il residente. Oggi viaggia in SUV, così come la
maggioranza di chi qui risiede, e pretende sostanzialmente ciò che
già trova in città, e tanto, niente di meno, pretende il
residente. Posti macchina, infrastrutture sportive, dancing, negozi,
palestre, sfilate di moda, piscine, docce in camera, ipermercati, svago,
collegamenti internet nelle baite, orsi al guinzaglio, servizi di ogni genere e cretinate di ogni tipo. E’ un turista
irrequieto, com’è ormai tutta la gente di quest’epoca decadente.
Un alienato tra alienati. Più di ogni altra necessità ha quella di
spostarsi di continuo (in SUV ovviamente). Il suo massimo piacere è
girare, trastullandosi a bordo con la tecnologia sempre più
sofisticata delle attuali autovetture. Invadere spazi e luoghi, farsi
vedere, farsi sentire, fare e sentire rumore… La qualità
ambientale lo interessa in modo relativo. Be’, certo, se sei in
montagna, qualche abete, una mucca al pascolo vicina al bar dove
consumi panna e cioccolato, il brivido della croda strapiombante
quando sali in funivia, quel tanto te lo aspetti ancora. Ma
generalmente, fatto salvo tutto il superfluo detto in precedenza, il
paesaggio osservabile dai finestrini del fuoristrada è più che
sufficiente. E allora anche l’offerta si adegua. E giunti a questo
livello di perversione, il “convento” non può offrire niente di
meglio di quanto ogni anno ci offre.
Ora,
finalmente anche questa lunga, faticosa estate teserana, iniziata
ufficialmente il 14 giugno con la sagra di san Liseo e terminata il
31 agosto con la chiusura domenicale dei negozi di vicinato orfani
anche degli ultimi siori
si
è conclusa.
Due mesi e mezzo di ciarpame assortito "regalato" agli
ospiti già nauseati per proprio conto dall’inclemenza del tempo e
agli inermi paesani, obbligati a sbafarsi
questa ennesima salva di esibizioni del nulla, nel più rigoroso
stile montanaro. Suk serali lungo le vie del centro, musica disco e
rock ad alto volume nelle piazze, happening all’americana con
sirene e lampeggianti nel cuore della sera, in un chi più ne ha più
ne metta senza soluzione di continuità. L’irrefrenabile smania di
voler essere al centro dell’attenzione ha contagiato l’intero
paesello e l’italico stile nazional-popolare televisivo è stato
ben assimilato dagli affiliati delle tante associazioni in campo (date al primo móna che passa un microfono e vi solleverà il mondo!).
Tuttavia se qualcosa
valesse la pena di essere guardata si potrebbe anche soprassedere e
sopportarne l’enfasi che l'avvolge.
Purtroppo
però di merito quasi sempre nisba: più o meno tutto è narcisistica
esternazione fine a sé stessa. Dalla logora baby
dance, con le sbraitanti
attempate animatrici e un fesso a far boccacce, grugnire e sparare
petardi sul finire, alle altrettanto logore corte
(la
stampa locale ultimamente le chiama però "corti") degli
improvvisati figuranti, con braghe a la zuava, restèl e smartphone
nel panciotto, passando per la sky
race e il suo istrionico,
tarantolato intrattenitore, il lunedì dei bombèros
col palco dei comandanti alla sudamericana, i martedì
del villaggio con gli
anzidetti suk, nonché, dulcis
in fundo,
l’imprescindibile trentino
danza estate con le
auto dello sponsor a stondare ogni cinque minuti per le strente del
paese, è tutto un sopra le righe, sguaiatamente ostentato. Chi
guarda da fuori, anzi, meglio, chi
è obbligato a guardare da fuori,
vista l’impossibilità di sottrarsi a questa caleidoscopica
confusione generale, si ritrova stordito. Ma perché ci siamo ridotti
così? Probabilmente perché per troppo tempo ci siamo affidati a
cattivi maestri. Sì, dev’essere questo il motivo. Cattivi maestri
che hanno modificato antropologicamente i nuovi abitatori della
montagna. Non esattamente quelli immaginati da Goethe per questi
lidi: “I
monti sono maestri muti e fanno discepoli silenziosi.”
Così si
sprofonda, anno dopo anno nell’insensatezza e nell’indifferenziato.
Non c’è nulla da dire perché nulla di quello che fu questo paese
fa più parte del bagaglio culturale e del sentire di chi a suo modo ne indica le
vestigia. Ma quel nulla è importante gridarlo.
Ario
Dannati
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