07/01/12

ATLETI E LOTTATORI





Ed è subito sera. Vero. Quasimodo aveva ragione. In gennaio poi… alle cinque è già notte. Leopardi invece ricordava che la donzelletta vien da la campagna, in sul calar del sole. Vero anche questo. Di solito dai lavori campestri si ritorna a casa proprio a quell’ora. Più prosaicamente, ma altrettanto indubitabilmente, l’Epifania tutte le feste si porta via. E però dove le porta? E perché poi, puntualmente ritornano? Ma perché la vita è una sequenza di infiniti circolari passaggi di tempo. La ciclicità è alla base di tutto.
Ed oggi per l’appunto, nel nuovo Tempio di Lago, sono tornate anche le grandi manifestazioni sportive di fondo. Tutto è stato preparato a puntino. La bella figura, tanto cara alla nossa ŝente, è assicurata. Assisteremo ancora una volta all’apologia dell’atleta e della sua forza corporea. Gli appassionati di questo mito immortale si spelleranno le mani nell’ applaudire il passaggio dei corridori lungo le piste. Si sprecheranno gli op, op, op e i dai, dai, dai. Qualcuno forse addirittura si commuoverà al cospetto di cotanta dimostrazione di forza e di bellezza fisica. Ma per essere giusti, liberandoci per un momento dalla suggestione del mito, quegli atleti non meriterebbero alcun applauso. Perché lungi ormai anni luce dall’ideale decoubertiniano, per essi conta soltanto vincere. Perché nel fantasmagorico mondo dello spettacolo, al quale a pieno titolo appartengono, solo la superiorità e la vittoria (meglio se ripetuta) garantiscono gloria e denaro a profusione. Perché la prospettiva di un veloce arricchimento li porta a sottoporsi a pratiche di allenamento e di potenziamento fisico spesso illecite e moralmente riprovevoli. Perché soprattutto il fondamento oggettivo della loro forza non è affatto ad essi attribuibile. Nel ritrovarsi ‘dotati’ e prestanti non c’è alcun merito personale. È semplicemente frutto del caso, della più o meno favorevole combinazione genetica.
Noi preferiamo idealmente applaudire le tante persone che per ragioni indipendenti dalla loro volontà, per quel caso che a volte l’indovina e a volte no, si sono ritrovate per sventura infelici. Fisicamente o psichicamente menomate. Obbligate a vivere con difficoltà, privazioni, dolore. Senza incitamenti né plausi. Spesso in solitudine e nell’emarginazione sociale. Loro malgrado iscritte ad una gara di resistenza e di sofferenza, dalla lunghezza indefinita, senza preparatori atletici, senza ingaggi, senza allori, senza speranza. Gara estenuante dall’esito scontato, con una sola e definitiva vincitrice. A questi atleti veri, lottatori per forza, i cui meriti e la cui dignità, quando va bene, vengono riconosciuti solo a posteriori con un piccolo e sommesso battimani in quell’ultimo estremo passaggio di tempo, va la nostra ammirazione.

A.D.

04/01/12

LA NEVE




Meraviglia, è arrivata la neve! Una volta, tanti anni fa, quando gli abitatori della nostra valle erano ancora montanari e non ricchi lacchè, la neve svolgeva funzioni importanti ed era da tutti rispettata. Serviva, addirittura – pensate un po’ – a ricaricare le falde acquifere. Ma non solo. La sua coltre ricopriva le campagne, allora intensamente coltivate, proteggeva il terreno dal gelo e lo faceva riposare. A primavera il suo graduale scioglimento permetteva alla terra di assorbire lentamente l’acqua e con essa, negli incolti e nei boschi, il sostrato vegetale ceduto dalle piante e sparso al suolo durante l’autunno precedente. Per alcune fondamentali attività economiche aveva anche una funzione coadiuvante. Favoriva, con le slitte trainate a cavallo, il trasporto del letame dalle stalle ai campi e alleggeriva il lavoro di strafenamento delle bóre dalle alture boschive al fondovalle. Era la risposta stagionale alle imprescindibili necessità ludiche della popolazione più giovane. I bambini vi giocavano, felici e spensierati. A Tesero le strade restavano bianche ed essi potevano scivolare gratis con le slitte e le pitòte, lungo le erte, senza recare il minimo intralcio a chicchessia. I più grandi invece battevano con gli sci le piste naturali, costituite dai prati sovrastanti l’abitato (La Pala a est e Le Tombole a ovest), per trascorrervi, altrettanto gratuitamente, interminabili pomeriggi di sana e disinteressata competizione. Il piöo comunale, di legno e a trazione animale prima, di ferro trattato con antiruggine grigia e trainato da autocarri privati (Giorgio Bortolas, Toni Fassan) poi, faceva il giro del paese soltanto se e quando l’innevamento raggiungeva un’altezza considerevole. A quel tempo c’era la consapevolezza che quel servizio rappresentava un costo per il Comune e l’amministrazione moderava la spesa con oculatezza. Vederlo passare era raro e per ciò emozionante. Gli uomini seduti sulla panca di quello strano attrezzo a V (Natale Girolamo, Rosario Marècol, Giovanni Lazerin, Narciso Giacoléta, Giovanni Tiburzio e forse qualcun altro) avvolti in un nero mantello cerato, ne allargavano e ne stringevano l’apertura manualmente, a seconda dell’ampiezza della carreggiata: “ ’N pressa, Natale strenŝe, strenŝe, che ne ’ncapón te ’l paracàr de quela casa… Ooo, Ooo ,Orrait! Bòn, bòn, slarga püra adesso…”
Tutto in quella comunità era sinergico e conciliante: neve, natura, lavoro, gioco. Nessuno si permetteva di telefonare al sindaco per pretendere l’immediato intervento di un mezzo qui e di un altro là, perché il montanaro capiva la situazione, aveva buonsenso, e non era ancora un ricco lacchè. C’era pazienza, e l’inverno era la stagione ad essa dedicata.
Oggi le cose cono cambiate. Cessate, nelle menti impauperite degli ex montanari, le funzioni anzidette, la neve è un disturbo. Crea disagio. Impedisce la libera circolazione delle auto. Intralcia per qualche breve momento le febbrili e schizofreniche attività quotidiane: la mamma-terribile che deve trasportare in tutta fretta il pargolo all’asilo, o l’aitante baby-pensionato che a mezzogiorno in punto deve recarsi in piazza in auto per l’aperitivo… In paese la neve è detestata e combattuta con ogni mezzo, come fosse la peste. Non a caso gli unici a far gran conto del suo arrivo, da novembre a febbraio, sono gli uomini del Comune, dato che la loro preponderante attività invernale a questo è finalizzata. Le strade bianche sono un ricordo lontano. Non ci sono più bambini che slizolano lungo le erte paesane. La neve naturale non è più necessaria nemmeno per sciare sulle piste di sci, visto che la si programma e la si produce con macchine e additivi. Per i cervelli all’ammasso di cui sopra essa residua ancora un’ultima lieve valenza, quella di dare al fotografo l’opportunità di immortalarne l’immagine da usare poi per la pubblicità (pardon, promozione) di questi luoghi, non più abitati da saggi montanari, ma soltanto da danarosi lacchè
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Ario Dannati

02/01/12

MANOVRA 'SALVA ITALIA': L'OPINIONE (DOTTA) DI EVGENY





Caro A.D.,



Il tuo post-lettera al misterioso economista e l’esercizio di economia che hai compiuto mi sono molto piaciuti. Per quel che conta la mia opinione, non erri, e spiego perché.


L’economia sarà pure una scienza-non-scienza, ma quella che Thomas Carlyle rese famosa come the dismal science è anche un utile, utilissimo, esercizio intellettuale. Sembra che nell’Inghilterra Vittoriana, Carlyle (che era scozzese al pari di Adam Smith), avesse coniato il termine riferendosi alle tristi conclusioni del Saggio sul principio della popolazione di Thomas Malthus, pastore anglicano. L’economia è filosofia, anzi è logica. E nel quadro di informazioni note al tempo, Malthus aveva tratto conclusioni coerenti che oggi spesso si sentono ripetere e di cui pure il nostro comune amico Orco ogni tanto si fa promotore. Oggi sappiamo però, che quelle logiche conclusioni sono state “popperianamente” falsificate dai fatti perché eventualmente il Malthus non previde alcuni fattori che avrebbero inciso in misura determinante sulla produttività agricola e industriale nei decenni successivi. Ogni economista “serio”, e per serio intendo empirico, cioè aderente ai fatti, si dovrebbe fermare qui, e non estendere (o far dipendere) le sue analisi, i suoi ragionamenti, da principi morali. E’ quando l’economia si fa politica e si parla di politica economica che inevitabilmente questi principi entrano in gioco ed è qui che torno alla tua missiva.

Qualcuno più bravo e paziente di me ha sviscerato, provvedimento per provvedimento, la Manovra. E’ un’ottima lettura, perfino divertente, aspettando l’ormai mitologica “Fase 2” (qui:

http://www.noisefromamerika.org/articolo/analisi-manovra-monti-parte-1-misure-economiche). La mia opinione, ora che la Finanziaria è legge dello Stato, è identica alla tua impressione di inizio mese. Dirò di più, manca perfino il rigore. In un Paese in cui quasi la metà del Pil (750 Mrd. di spesa pubblica corrente) è intermediata direttamente dal potere politico, il rigore si può solo misurare come risparmi di spesa. Il che, dispiace dirlo, significa licenziare migliaia di dipendenti pubblici inutili, assunti per ragioni clientelari, ridurre gli stipendi a parlamentari, consulenti e burocrati di alto rango, dai dirigenti ministeriali ai generali delle forze armate (a proposito, è normale che il governatore della Banca d’Italia guadagni il triplo del presidente della Fed?), tagliare i circa 30 miliardi di sussidi alle imprese, e via dicendo. Queste sono cose note. Nel Belpaese però non si possono fare, perché tagliare è, secondo i maestri demagoghi, recessivo. Il lettore più attento avrà ormai colto l’assurdità di una tale posizione: l’alternativa ai tagli, infatti, sono le tasse, e vediamo già ora quali effetti esse producano sulla fiducia delle persone, sulla loro voglia di intraprendere, sulla crescita economica e sul dio Mercato come lo chiami tu, il quale non sembra molto contento del lavoro montiano.


I tagli di spesa pubblica (specie se improduttiva) hanno quasi sempre effetti pro-crescita. Per capire perché bisogna leggere l’inchiesta che il New York Times ha fatto nella bella Trinacria (

http://www.nytimes.com/2011/09/15/world/europe/italy-austerity-plan.html?_r=1&scp=1&sq=comitini&st=cse ). Immaginate, per semplicità che il comune di Comitini paghi i propri dipendenti con le tasse che raccoglie fra i suoi abitanti. Supponete quindi di licenziare sette degli otto ausiliari (in un Paese di mille anime un vigile e un ausiliare del traffico sono più che sufficienti). Quello stesso comune, o meglio i suoi 960 cittadini risparmierebbero allora più di 90 mila Euro all’anno (1100 Euro di salario lordo mensile circa per ciascun ausiliare del traffico), quasi 100 Euro pro-capite. Ora il sindaco può decidere di fare due cose: ridurre di pari importo le tasse che raccoglie, o decidere di spendere le stesse in altro modo. Qui si ferma l’economia intesa come contabilità e subentra l’economia politica, ovvero la filosofia morale con i suoi precetti. Se credo che il sindaco sia illuminato ed onesto, posso essere a favore di una redistribuzione della spesa: dagli ausiliari scansafatiche ai giovani paesani che decidono di fare figli, o agli studenti universitari, oppure dare un sussidio di disoccupazione (temporaneo) a chi cerca lavoro, o costruire un asilo nido. Se invece dubito, come dubito, dell’onesta della politica, preferirò una redistribuzione più proporzionale (idealmente preferisco un mix delle due, ma qui stiamo semplificando). Riducendo le imposte, e qui torna l’economia come contabilità, tutti i cittadini potrebbero spendere questo surplus di reddito in consumi oppure risparmiarlo (il risparmio intermediato dalla Cassa di risparmio finanzia gli investimenti). Facciamo un passo ulteriore, necessario ma un po’ tecnico, e immaginiamo che la propensione media al consumo sia 0,5. Allora i sette ausiliari spenderanno il 50% del loro reddito netto: 400 euro per sette, per dodici mesi, fa 33.600 Euro. Se li licenziamo, i 953 taxpayers rimanenti consumando metà del risparmio fiscale spenderebbero in aggregato circa 48.000 Euro (50 per 953). Ora già così 48 è più di 33. Ma è chiaro che questa spesa (in più bistecche, più giornali, più caffè al bar, fate voi) è anche maggior reddito per i cittadini di Comitini i quali oltre a essere consumatori, come noto, sono anche piccoli imprenditori; e maggiori saranno le entrate fiscali per il sindaco.


E i 7 nuovi disoccupati direte voi? Certo soffriranno il trauma della perdita del posto; passare dai bar del paesello a doversi cercare un lavoro dove si lavora è duro per tutti. Ma potrebbero essere fortunati, se il sindaco non li terrà in CIGS per l’eternità, può darsi che il macellaio del Paese abbia bisogno di un commesso in più, il bar di un nuovo cameriere, o che la Cassa di risparmio del Paese sia disposta a finanziare una nuova intrapresa agricola che abbisogna di qualche bracciante che non sia polacco.


L’esempio mi serve per dire che solo con tagli della spesa ridistribuiti in minori imposte si può ridare fiato alla ripresa. E questo vale tanto di più quanto maggiore è la pressione fiscale nel Paese. La tua proposta A.D. è certamente migliore di quella del governo Monti e migliore di quella (inesistente) dei Tre-monti precedenti. Essa è coerente con l’esercizio contabile di cui sopra, ma richiede, al contrario della mia, un giudizio morale che non so dare. Tu infatti chiedi una patrimoniale progressiva dai 500mila Euro in su. Deduco che per te chi detiene un patrimonio di 500mila Euro è da considerarsi “ricco”. Non so dire. So però che vi sono grandi difficoltà pratiche in questa valutazione. Parli di patrimonio al netto dei debiti? Come lo misuriamo? Seguiamo la massima latina (res tantum valet quantum vendi potest), quindi a valore di mercato? E se nessuno compra più case, quanto vale il mio appartamento? Cosa succede se uno non riesce a pagare, si indebita? Includiamo la ricchezza mobiliare, immobiliare o entrambe? Applichiamo la patrimoniale anche alle imprese? Queste appaiono tutte questioni di lana caprina, ma non è così. E’ noto infatti che i grandi patrimoni immobiliari sono custoditi dalle società finanziarie (banche e assicurazioni) e da imprese costituite ad hoc perché normalmente esenti da imposte patrimoniali. E’ ancora più noto che i grandi capitali finanziari hanno le ali, e in genere fanno il nido in Svizzera o alle Cayman. Insomma, i Sapientoni bocconiani sanno benissimo cosa si dovrebbe fare, ma sanno ancora meglio cosa si può fare, e le due cose purtroppo raramente coincidono.


Alex Bernard

INCANTO NOTTURNO

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Sara

LE OCHE E I CHIERICHETTI

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Bepi Zanon

TESERO 1929

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Foto Anonimo

PASSATO

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Foto Orco

ANCORA ROSA

ANCORA ROSA
Foto Archivio

VIA STAVA ANNI '30

VIA STAVA ANNI '30
foto Anonimo

TESERO DI BIANCO VESTITO

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LA BAMBOLA SABINA

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LA VAL DEL SALIME

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SEBASTIAN E IL BRENZO DI BEGNESIN

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MINU

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