10/01/12

IL TRENTINO AIUTA A PROLIFERARE LE LOTTIZZAZIONI E LE POLTRONE



Dalla culla alla bara. In nome del principe vescovo. Illuminato, democratico, progressista e sicuramente munifico, se è vero, come è vero, che per 531mila abitanti dispone di entrate per competenza di 4,5 miliardi.
Una concentrazione di potere (e di denari) che non ha pari tra i governatori italiani. Landeshauptmann – capo di Stato – come i tedeschi chiamano i governatori, forse si attaglia meglio al presidente di questa Provincia autonoma.
I numeri, prima di tutto: 42mila dipendenti pubblici, tra statali e provinciali, e 23 società partecipate, delle quali 14 controllate direttamente. La proliferazione di incarichi, prebende e lottizzazioni è l'inevitabile precipitato di una presenza totalizzante. La Provincia pensa a tutto. E ai trentini, qualunque iniziativa economica abbiano in mente, scatta sempre il riflesso pavloviano di prelevare dal bancomat provinciale.
Dal 2008, quando la crisi ha cominciato a colpire duro, la società provinciale Trentino Sviluppo ha moltiplicato la pratica del lease-back per aiutare le aziende in difficoltà. Il meccanismo è semplice: la Provincia compra gli immobili dell'impresa che poi restituisce il dovuto con un mutuo di 15 o 18 anni a tassi di favore (euribor +0,50%). Detto in altri termini, un sistema per iniettare liquidità nelle imprese mentre le banche chiudono i rubinetti del credito. Il pubblico chiede come ovvia contropartita la salvaguardia dei posti di lavoro. Negli ultimi anni Trentino Sviluppo ha scucito 500 milioni per salvare aziende sull'orlo del crack. Funziona, almeno per ora. Ma la crisi non solo non passa ma addirittura si inasprisce. Forse è per questo che gli imprenditori fanno la coda per ottenere un aiuto dalla Provincia. Alessandro Olivi, l'assessore all'Industria, ha cercato di essere perentorio: «Cari imprenditori, Trentino Sviluppo non è una banca».
Da queste parti è difficile chiudere la porta in faccia a qualcuno. L'élite trentina è cosi ristretta che pubblico e privato sono vasi comunicanti, almeno nei ruoli di vertice. Politica del maso chiuso. O, come lo apostrofò il sociologo Ilvo Diamanti, un sistema produttivo bonsai che convive con un apparato pubblico ipertrofico.
Gli assessori democrat della Giunta Dellai, per bocca del capogruppo Luca Zeni, provano a incalzare il Landeshauptmann: «L'autonomia è sicuramente un valore aggiunto. A patto che non si trasformi in autarchia». Dellai, ormai al terzo mandato, va diritto per la sua strada. E con l'accordo di Milano del 2009, sottoscritto con gli ex ministri Giulio Tremonti e Roberto Calderoli, ha assicurato alla Provincia autonoma la piena potestà anche sull'università e gli ammortizzatori sociali, scatenando una serie di polemiche con i vertici dell'ateneo sulle nuove regole che saranno codificate da una commissione – detta "dei dodici" – nella quale gli accademici sono in netta minoranza. Il patto stabilisce la "partecipazione della Provincia nelle scelte e negli indirizzi di ricerca dell'Università", un passaggio che ha spinto alla dimissioni il prorettore Giovanni Pascuzzi. Dice l'ex numero due dell'ateneo: «Ho qualche dubbio che sia un bene rimettere le scelte strategiche dell'Università alle decisioni di variabili maggioranze politiche».
All'opposizione sono i leghisti a menare fendenti. Dice il consigliere provinciale Franca Penasa, ex sindaco di Rabbi, in Val di Sole: «C'è una vasta gamma di operazioni torbide. Una su tutte: le società partecipate affidano gli appalti senza gara a società dietro le quali si nascondono fiduciarie straniere con soci occulti. Per non parlare degli sprechi: Bolzano ha speso 15 milioni per cablare il territorio provinciale, qui siamo oltre i 200».
La moltiplicazione degli incarichi politici negli organigrammi delle società provinciali ha fatto scuola anche sul territorio.
Con una legge del giugno 2006 sono state istituite ben 15 comunità di valle. Quella della Val di Non ha un'assemblea di 96 componenti, 57 dei quali eletti a suffragio universale. Mentre la Lombardia riduceva drasticamente le sue comunità montane e la Liguria le aboliva del tutto, la Provincia autonoma di Trento ha articolato la sua struttura politico-amministrativa in ben sei livelli (Regione, Provincia, Comune, Circoscrizioni, 99 Asuc, amministrazioni separate usi civici, oltre naturalmente alle comunità di valle). Difende a spada tratta la Giunta l'assessore alle Politiche sociali Ugo Rossi: «Anche gli scettici dovrebbero ammettere che le nostre sono politiche di stampo nordeuropeo. Nella ricerca stiamo concentrando risorse rilevanti. Faccio solo qualche nome: Trento Rise, il polo della Meccatronica, la fondazione Bruno Kessler». I denari, evidentemente, oliano anche ingranaggi macchinosi. Lo studio più recente in ordine di tempo sostiene che a Trento ci sia l'ambiente più favorevole in Italia per creare una nuova azienda. Il Trentino giganteggia su tre materie: lavoro, contesto sociale e finanza. La morale è semplice: pure le economie bonsai fioriscono. A patto che siano innaffiate da denaro pubblico.

Mariano Maugeri (il Sole 24 Ore - 10/01/2012)

3 commenti:

  1. Sante parole! E' tempo che questa crisi levi ai nostri politici un paio di miliardi e si inizi a far vedere di cosa siamo capaci (o incapaci).

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  2. Tutti si lamentano delle cose che funzionano... ma nessuno parla mai, ad esempio, di regioni come la Sicilia che, pur potendo trattenere l'intera somma delle tasse dei suoi abitanti, versa in una situazione di degrado ai limiti della civiltà! Ma in Italia, notum est, le amministrazioni virtuose sono le prime ad essere penalizzate. Infine, si ricordi, esimio Maugeri, che i servizi in Trentino sono finanziati in primis dai trentini (che tra l'altro non parlano tedesco, Herr Professor..). Di conseguenza poteva risparmiarsi questo articoletto: per ragioni storiche, geografiche e culturali sia provincia autonoma di una regione a statuto speciale. E' niente meno che la Costituzione che ci concede di amministrarci in autonomia, e credo che questo sia stato fatto con saggezza.

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  3. Gentile anonimo, visto che le sta tanto a cuore la Sicilia, le dirò di più: la regione siciliana, che è a statuto molto speciale, tanto che la sua legge fondamentale è una sorta di costituzione (antecedente a quella repubblicana) e i suoi consiglieri si fanno chiamare (ex-statuto) "onorevoli", non ha mai esercitato le sue deleghe. Pertanto, pur ricevendo i trasferimenti dallo Stato che le competono, lo stesso Stato è costretto a pagare e amministrare anche i servizi per cui la regione non interviene. Insomma, paghiamo due volte. Perché ciò accade è probabilmente dovuto all'enorme potere che da sempre i politici siciliani hanno a Roma. Detto ciò, però, vista la situazione, a nulla serve giustificare i nostri sprechi dicendo che in fondo sprechiamo poco o sprechiamo "virtuosamente". Converrà che se siamo bravi come vogliamo far credere, uno spreco resta uno spreco e si può fare meglio, o meglio farne a meno.

    Busker

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