12/01/12

C’È AUTONOMIA E AUTONOMIA




Pubblico due miei interventi sul tema “scottante” dell’autonomia speciale. Valore indubbio, ma molto male interpretato da chi guida i due territori provinciali. Se i nostri “governatori” (termine improprio, ma utile per capire e dare l’idea della personalità dei soggetti in questione) facessero una passeggiata tra la gente sentirebbero serpeggiare il disagio e l’imbarazzo per le loro parole. “Il grasso non cola più” scriveva lucidamente Enrico Franco sul Corriere del Trentino. E senza le risorse che la crisi economica ha prosciugato è difficile assecondare una grandeur di pura facciata. L’autonomia che possiamo permetterci oggi e che dovremmo perseguire è quella seria e virtuosa che De Gasperi aveva voluto: volano di crescita, modello per il territorio dello Stato. Non quella costosa, sprecona e clientelare che ci troviamo a subire per l’orgoglio sprezzante di qualcuno.


Negli ultimi tempi ho vissuto con disagio i continui distinguo con cui le Regioni (e la nostra Provincia) hanno accolto le misure economiche del Governo Monti. E mi sono interrogata sulla validità delle argomentazioni di coloro (e non sono tutti politici invidiosi o infuriati “vicini di casa”) che hanno sollevato perplessità sul necessario permanere delle Autonomie Speciali. Non voglio entrare in un dibattito storico che presenta aspetti di indubbia validità, ma richiamare l’attenzione sulle premesse alle singole funzioni, regionali e provinciali,previste dallo Statuto. Le competenze legislative (ed amministrative) di Regioni e Province Autonome si realizzano ” in armonia con la Costituzione e i principi dell’ordinamento giuridico dello Stato e con il rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali (tra i quali è compreso quello della tutela delle minoranze linguistiche locali) nonché delle norme fondamentali delle riforme economico sociali della Repubblica”. Nella continua ricerca di un cavillo normativo che attribuisca al Trentino la possibilità di non essere “coinvolto” e di poter decidere a suo piacimento, colgo la volontà di non sottostare a queste inderogabili premesse, non a caso collocate come incipit ai primi articoli dello Statuto Speciale. Mi imbarazza vedere che l’autonomia viene letta, oggi, come occupazione di spazi (nel CdA previsto dal nuovo Statuto dell’Università, nella composizione di TAR e Corte dei Conti, nel proliferare di società partecipate, nella volontà di acquisire prerogative anche nella gestione dell’apparato burocratico degli uffici giudiziari, nella vicenda disgraziata delle Comunità di Valle), non come modello virtuoso di amministrazione innovativa e snella, realmente democratica. Nel promuovere l’autonomia, il Legislatore del 1948 non voleva sicuramente riprendere il sistema medievale dei vassalli, ma anticipare una sorta di regionalismo avanzato, che fungesse da modello per un Paese appena uscito dal fascismo, poco abituato a decidere per il proprio territorio. Un regionalismo, tramutatosi, per noi, in provincialismo, che non può prescindere da uno Stato a giustificarne l’esistenza. Uno Stato spesso censurabile, dobbiamo ricordarlo, ma da cui è difficile e pericoloso prendere le distanze in modo supponente. In un bellissimo editoriale del Corriere nazionale, nel settembre scorso, Ernesto Galli Della Loggia parlava di “un elettorato ormai drogato, abituato a trarre la vita, o a sperare il proprio avvenire, dal piccolo o grande privilegio, dall’eccezione, dalla propria singola, particolare condizione di favore.” E’ proprio da questa sindrome che si deve rifuggire. Una sindrome che prospera anche in Trentino, grazie alla convinzione che l’Italia sia un’altra cosa, che l’Autonomia, come una sorta di Superman, ci possa preservare. Ma difendersi dal corpo di cui si è parte è impossibile, come lo è pretendere di interpretare le parole dello Statuto per chiamarsi fuori, troppo spesso, dalle difficoltà economiche, sociali e politiche in cui stiamo navigando. Se esiste una possibilità di salvezza per l’Italia, e per il nostro Trentino, questa potrà concretizzarsi solo se riconosceremo i valori di quella premessa agli articoli (il 4 e l’8) dello Statuto. Articoli che possiamo paragonare ai principi fondamentali della Costituzione, nei quali si ribadiscono unità e uguaglianza, dai quali dobbiamo ripartire, con fede sincera, per ricostruire identità e certezze.
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Apprendo dalla stampa locale di essere un’utile idiota. Lo stile di Lorenzo Dellai, per cui chi non è in linea con il suo pensiero diventa- ipso facto- poco degno di considerazione è francamente fastidioso. L’autonomia di cui è fiero difensore, costruita grazie all’assenza di avversari e al succedersi di governi di destra e di sinistra troppo distratti per guardare alle periferie del Nord e del Sud del Paese, è quella di chi cerca di occupare ogni spazio possibile:università, giustizia,scuola, organi di controllo contabile, enti intermedi costosi ed inutili come le Comunità di Valle. Con il supporto di risorse economiche abbondanti, utilizzate in modo non sempre condivisibile. Gian Antonio Stella è in buona compagnia quando critica, in modo molto soft e con grande tatto, un modello politico diverso da quello originariamente ipotizzato, oggi poco sostenibile. Sono con lui Massimo Mucchetti e Tito Boeri, per restare nell’ambito degli editorialisti del Corriere della Sera. E davvero sarebbe interessante sapere che ne sarebbe del nostro Paese ( nostro, caro Dellai, perché il Trentino è Italia, a tutti gli effetti) se ogni realtà regionale affermasse, circa le proprie risorse economiche: “sono soldi nostri, decidiamo soltanto noi”. Quello che altrove verrebbe bollato come leghismo da condannare, qui viene promosso al rango di “autonomia” da chi guida la politica locale. Stella è credibile e serio, non fazioso, estraneo a logiche di potere e il Corriere della Sera uno dei maggiori quotidiani italiani. Se l’Italia è in difficoltà lo è ogni suo territorio, anche il Trentino. E i cittadini, senza auto blu straniere, senza tessere gratuite per l’autostrada, senza diaria detassata e con gli stipendi (quando ci sono) bloccati, se ne stanno accorgendo. Forse, diminuendo “l’ebrezza da euro-autonomia”, considerando invece il vero valore di quell’autonomia che i padri statutari avevano in mente, potrebbe accorgersene anche chi ha la responsabilità del governo provinciale.


Giovanna Giugni – Tratto da Chinonrisica 08/01/2012

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