17/10/10

LA FINE DELLA SPERANZA E' L'INIZIO DELLA FINE


Cornelius Castoriadis soleva dire che viviamo in una «epoca di acque basse». L'espressione era ben trovata. L'Europa oggi sembra non avere alcun contenuto sostanziale. Non mira a nessun progetto comune, non vuol più avere nessun ruolo storico. Addirittura, nessuno è d'accordo nell'individuare ciò che la potrebbe definire. L'Europa si trasforma lentamente in un vasto caravanserraglio, senza storia, senza memoria e senza frontiere. Costituisce una sorta di massa inerte, ma agitata da tutte le parti. Vi si esiste senza viverci. Vi ci si muove incessantemente, ma per non andare da nessuna parte. Vi si osservano mille forme, che però non hanno contorni. Vi abbondano i poteri, ma non ha potenza. Tutti pretendono di essere differenti, ma l'indistinzione è la regola. Le immagini e i rumori si succedono sul registro dell'effimero e della superficialità. Puntano ad attirare l'attenzione, a distrarre, a far pensare ad altro, o più precisamente ad impedire di pensare. L'insignificante diventa legge generale. Viene da pensare al mondo descritto nel film dei fratelli Wachowski, Matrix. Ognuno vi considera vero quel che è inautentico, ognuno vi è manipolato nel momento stesso in cui si crede libero. Mai gli uomini hanno tanto creduto di fare quel che vogliono, mai sono stati assoggettati a così tante regole. Non sanno, del resto, cosa davvero vogliono, dal momento che è lo stesso sistema a modellare i loro desideri. La pubblicità, onnipresente, ripete instancabilmente il medesimo e unico messaggio, ovvero che la felicità risiede nell'acquisizione di oggetti, nell'accumulo delle cose. L'ideologia della merce, alla continua ricerca di nuovi sbocchi, generalizza il vuoto spettacolare-mercantile. Siamo alla reificazione dei rapporti sociali, al trionfo senza limiti della dialettica dell'avere sulla comunità dell'essere. Ogni giorno vengono distrutti migliaia di posti di lavoro, ma nessuno pensa a difendere qualcosa che non sia il proprio interesse personale. Le lotte sono esclusivamente di categoria, senza che alcunché le subordini a qualcosa di più generale. Gli scontenti si addizionano ma non si aggregano. Al sistema si rimprovera di distribuire male le cose, non di essere ormai capace solamente di produrre cose. La stessa vita politica è caratterizzata dalla neutralizzazione-privatizzazione, dalla sfiducia e dall'astensione. In regime di atomizzazione sociale, quando ogni esistenza individuale viene vissuta come un assoluto, le masse non racchiudono dentro di sé nessuna capacità di mobilitazione. Inerti e spugnose, svuotate di qualunque energia; pronte ad assorbire tutto, si sono trasformate in quelle «maggioranze silenziose» delle quali parlava Baudrillard, che sono maggioranza soltanto come silenzio. La più grande vittoria del sistema consiste nell'aver persuaso le menti non delle proprie qualità ma del proprio carattere fatale. Il sistema non pretende di essere perfetto, sostiene che non esistono alternative. Ma se non si può più sperare in un mondo migliore, non c'è più niente da fare. Così si generalizza quel «disagio della civiltà» di cui parlava Sigmund Freud. Il disagio deriva dal fatto che le persone sperimentano immense miserie in un mondo in cui viene loro ripetuto che non possono che essere felici. Tocqueville, come è noto, aveva previsto tutto ciò. E anche Nietzsche, quando evocava «l'ultimo uomo». Ma il peggio non è in questo. Il peggio è che il sistema non può più essere contestato, non più tanto perché rifiuta e sanziona la contestazione, ma perché la assorbe e la digerisce, immunizzandosi in tal modo contro di essa. Non sono più soltanto i falsi ribelli ad essere in discussione. Aggiungendosi ai "pentiti" e agli allineati, i falsi ribelli sono coloro che pretendono di prendersela con i tabù dominanti, quando invece da un bel pezzo non fanno altro che sfondare porte aperte ed esibire insolenze calcolate, adatte tutt'al più a far loro attribuire la redditizia posizione di buffone di corte o di opposizione di sua maestà. (Eppure, in ogni società, è facile individuare dove si trovano i veri tabù: sono quelli la cui rimessa in discussione scatena azioni giudiziarie). Il dramma è, semmai, che la vera rivoluzione non trova più nessun punto d'appoggio, nessun agente storico che le consenta di incarnarsi. Ci sono sempre, certo, dei veri ribelli, ma essi vivono in solitudine, o rinchiusi in cerchie marginali che non hanno più alcuna presa sul mondo. Il sistema dominante ingoia tutto, si nutre di tutto. Un «Picasso» in altri tempi era un quadro, oggi è un'automobile. Guy Debord lo si espone alla Biblioteca nazionale di Parigi, i manifesti del maggio Sessantotto servono alle pubblicità commerciali e si fabbricano dei loghi utilizzando il volto di Karl Marx, di James Dean o di Che Guevara. La straordinaria capacità del sistema di recuperare a proprio profitto quasi ogni cosa pone direttamente una domanda: che cosa è irrecuperabile? Ma l'enigma del soggetto storico persiste tal quale. Non si tratta certo di rimpiangere i "grandi racconti" della modernità, che hanno fatto di gran lunga il loro tempo. Bisogna però pur constatare che il deficit di senso — la scomparsa dei "punti di riferimento" — che i nostri contemporanei percepiscono confusamente è prima di tutto la conseguenza del crollo di tutti i progetti collettivi. Quel che fa difetto è l'orizzonte di senso creato da valori condivisi, la chiara consapevolezza che il vivere assieme è portatore di un destino comune. L'esistenza individuale trova il modo di realizzarsi soltanto collocandosi all'interno di un orizzonte di senso comune. E la reciprocità fra i singoli individui ad aprire lo spazio di ciò che è comune, inteso come il luogo di un reciproco riconoscimento. L'essenza della vita comune non è generica, ma storica: costituisce il sito della storia, il luogo della messa in comune (koinonía), ciò a partire dal quale la storia avviene. Ebbene, mentre l'Europa esce dalla storia, il resto del mondo è scosso da sommovimenti e soprassalti, che lasciano prevedere sismi in arrivo. Le onde d'urto si propagano da un continente all'altro, mentre le minacce si accumulano. Le scadenze ecologiche si precisano un po' più ogni giorno, il sistema finanziario mondiale si mantiene ormai in uno stato di imponderabilità, la crisi sociale si generalizza, gli squilibri demografici si accentuano, un nuovo ordine geopolitico del mondo va disegnandosi.«La fine della speranza è l'inizio della morte», diceva il generale de Gaulle. La disperazione è sicuramente una sciocchezza, ma il fatto che sia una sciocchezza non rassicura affatto. Non basta ricordare che la storia è, per definizione, sempre aperta per potersi convincere che tutto finirà con l'aggiustarsi. Innanzitutto, la storia non è aperta su qualunque sviluppo, perché vi sono dei processi che non possono che giungere al termine. Inoltre, può anche essere aperta al peggio. Ciò che conta, in queste condizioni, è prestare attenzione ai segni premonitori. Quando la storia risorge, lo fa in forme sempre inedite, destinate a deludere i nostalgici che sognano un semplice ritorno al vecchio ordine delle cose. Noi stiamo andando verso queste cose inedite. Non sappiamo che cosa saranno, e non le faremo accadere. Accadranno da sé. La vera scossa sistemica sarà interna al sistema, ma esterna alla volontà degli uomini che, in ogni caso, non conoscono mai la storia che fanno. La storia non è tanto aperta quanto piuttosto imprevedibile. Tutto ciò che nella storia ha fatto rumore è stato preceduto da un grande silenzio. Kata-strophè vuol dire rovesciamento. Anche nelle epoche di acque basse la marea, un giorno, finisce con l'arrivare.

Alain De Benoist

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