25/09/10

IL TRENO DELL'AVISIO: IDEA BUONA, MA SERVE CULTURA


Gentile signor Girardi, con riferimento al collegamento ferroviario di Cembra, Fiemme e Fassa, proposto e sostenuto da Transdolomites, condivido a grandi linee il contenuto di un suo intervento che ho letto recentemente. Riguardo al tracciato ferroviario, che idealmente condivido appieno, ho dei dubbi in merito alla sua effettiva realizzazione. A mezza costa infatti, per quanto riguarda Fiemme (parzialmente) e Cembra (totalmente), l’unica possibilità di realizzarlo – raggi di curva permettendo – si avrebbe occupando le attuali sedi delle rispettive strade statali. L’ipotesi prevista dallo studio di massima Qnex è suggestiva ma tecnicamente molto, molto problematica. Spero naturalmente che queste mie perplessità possano venire smentite dai fatti, in un futuro non troppo lontano.
In quel suo scritto c’è però un punto che mi vede completamente dissenziente. Quello in cui lei sostiene che rispetto all’approccio modale (pubblico - privato / auto - ferrovia) non ci sarebbero differenze culturali tra gli italiani e le popolazioni del centro e nord Europa. Credo invece che ci siano eccome. Sommamente evidenti in queste nostre valli turistiche, ove l’ostentazione dello status symbol a quattro ruote è la cosa che più di ogni altra si vagheggia dai 18 anni sino alla tomba! Non solo: per quello status symbol, per quella sua ostentazione, per poterlo usare sempre, ovunque e comunque, si farebbero patti col diavolo. Questa purtroppo è la realtà dei fatti. Da dove le scrivo, a Tesero, quattro anni fa iniziai a “solleticare” l’amministrazione comunale con la speranza di farle aprire gli occhi sulla viabilità del centro storico, soffocato da un indecente carico d’auto e le cui carreggiate riescono a contenere a malapena i pazzeschi ingombri delle autovetture attualmente in circolazione. Proposi delle soluzioni per alleggerire quel traffico, in particolare suggerendo la trasformazione dei doppi sensi di marcia in sensi unici. Dimostrai, dati e distanze alla mano, l’assurdità dell’abuso di mobilità motorizzata privata interna al paese... Il confronto col Comune durò quasi due anni. Alla fine l’amministrazione si convinse della ragionevolezza delle mie argomentazioni e il 7 dicembre 2007 presentò il nuovo piano comunale della viabilità. Immediatamente però si scatenò la rivolta. Alcuni capipopolo infuriati, prima fecero sparire parte della nuova segnaletica verticale appena posizionata, poi avviarono una raccolta di firme finalizzata all’immediato ripristino del doppio senso di circolazione anche nel centro. L’arroganza e le minacce di insubordinazione di questa irriducibile frangia di auto-dipendenti, pur adducendo argomentazioni deboli e facilmente confutabili, sembrarono ad un certo punto far vacillare l’amministrazione comunale. L’attuale vice sindaco (che di quella modifica, all’interno della Giunta, era stato il più convinto sostenitore) resistette però tenacemente alla pressione popolare e, pur rabbiosamente, i “barricaderos” dovettero adeguarsi a quella nuova viabilità.
Adesso con la diluizione dei flussi auto la qualità all’interno del centro storico è migliorata, ma a distanza di quasi tre anni molti sono ancora quelli con il dente avvelenato, che in assenza di un costante, puntuale servizio di polizia urbana (che sfortunatamente puntuale e costante non è) sono tentati di usare e usano la viabilità come se nulla fosse stato modificato, circolando pericolosamente contromano nei sensi unici.
Il fatto qui appena accennato credo dimostri quanto sia difficile (forse impossibile) guarire da quella malattia tipicamente italiana chiamata sindrome da auto-dipendenza. Lo conferma anche il seguente commento anonimo al precendente post pubblicato: “fantascienza, troppo comodo girare in macchina”. Da noi, a differenza per esempio della vicina Svizzera, dove ogni abitante mediamente sale in treno ogni anno 47 volte, percorrendo 2103 chilometri in ferrovia, qualsiasi scusa è buona per far uso anarchicamente del mezzo privato. La politica dei trasporti perseguita nel Belpaese dal Dopoguerra in poi, suggerita da mamma Fiat, costruendo proprio intorno alla “macchina” un falso mito di libertà ha desensibilizzato la maggioranza della popolazione italiana rispetto alle gravi problematiche conseguenti l’abuso di automobile. Siamo dunque un popolo ammalato di auto-mobilità, in Europa il più ammalato di tutti. Perciò senza una imponente operazione culturale disintossicante non sarà possibile guarire. È fondamentale quindi agire su più livelli. Quello modale e infrastrutturale ovviamente, ma contestualmente anche quello culturale, in sinergia tra scuola ed amministrazioni pubbliche. Perché nel caso in questione, Metroland o Treno dell’Avisio che sia, con quel po’ po’ di impegno finanziario che l’ente pubblico dovrà sobbarcarsi, non ci si può permettere il rischio di trovarsi poi con i treni vuoti. Diversamente, operando unicamente sul primo livello, ci si potrà solo illudere che una faraonica realizzazione (Metroland), o una meno onerosa e più capillare alternativa (quella di Transdolomites da lei proposta e coraggiosamente portata avanti) possano rappresentare la soluzione del problema.
Ma c’è un però, un grave però… Perché al netto dell’enfasi e della propaganda, proprio gli amministratori provinciali e comunali (rare eccezioni a parte) non credono affatto alla prospettiva di una modalità di trasporto di tipo ferroviario nelle valli dell’Avisio. Metroland, probabilmente, è e resterà soltanto una “provocazione” pubblicitaria politicamente corretta. Una soluzione verso la quale una provincia d’eccellenza, almeno sulla carta, come quella trentina, non poteva non dimostrare interesse. Un’idea, forte favorevole ad un sistema di trasporto moderno e ecologico, che era bene proporre, far circolare su media e depliant e far finta di condividere. Ma che poi, quando essa è andata a cozzare contro l’autenticità e l’insistenza dell’iniziativa di Transdolomites s’è “sgonfiata”, palesando la convinzione pressoché nulla di questa nostra classe dirigente. Il poco ascolto che la politica locale e provinciale le hanno concesso è in parte conseguenza dell’inadeguatezza del personale politico e delle modalità di selezione dello stesso. È il limite (e che limite) della cosiddetta democrazia. Per cui quasi sempre ci si ritrova “comandati” da persone che non sanno e non conoscono alle quali l’insipiente “volontà popolare” dà il diritto-dovere di decidere. Una classe politica poco illuminata, che “per necessità” non sa e non può dispiegare le ali e volare alto. Che si arrabatta cercando di favorire Tizio e di non pestare i piedi a Caio all’interno di un provincialismo asfissiante e bottegaio permettendo così a sé medesima (questo alla fine è ciò che conta, altro che no) di assicurarsi e mantenere la “cadrega”. Per superare il livello terra-terra della politica locale, maestra inarrivabile nell’uso degli specchietti per le allodole (leggansi, tanto per restare in tema, le belle iniziative delle giornate ecologiche a base di polenta e lüganeghe ovvero l’appassionante dilemma tra autobus a idrogeno o autobus a carbone…), serve onestà, cultura e convinzione. Occorre una classe politica nuova, con idee nuove che almeno sappia copiare, semplicemente copiare, ciò che a proposito di mobilità si fa da anni in quasi tutta Europa. Questa classe politica non c’è e non la si vede neppure all’orizzonte. Chissà che le prossime nuove assemblee elettive delle Comunità di Valle, come auspica Adriano, non sortiscano novità rilevanti. Sulla base di come sin qui si è selezionato il “materiale” politico c’è da dubitarne. Ma, per chi crede e ha fede, i miracoli sono pur sempre possibili. Chissà, magari... Vedremo.
Cordiali saluti.

A.D.


2 commenti:

  1. Mi piace sentire i commenti di chi visita luoghi vicino a noi ( Svizzera,Austria,Germania e nord Europa)lodando la vivibilità e la sostenibilità di quei luoghi senza traffico,dove si cammina in mezzo alla strada respirando "aria",dove la mancanza del caos regala tranquillità all'animo,dove tutto sembra migliore,dove i bambini possono ancora giocare in strada....e poi?
    Si torna al paesello e a bordo della propria vettura,si porta e si va a ritirare il bambino all'asilo ( nelle nostre metropoli...) o a scuola, si va dal panettiere o alla coop,oppure a sorseggiare un caffè...
    Senza attendere i politici che non abbiamo, cominciamo dalle piccole cose, diamo il buon esempio e facciamolo capire anche ai nostri figli, forse loro crescendo con un punto di vista diverso dal nostro potranno riappropriarsi del mondo e renderlo o mantenerlo...vivibile e a misura d'uomo.poche cose ma essenziali.
    Saluti

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  2. Certo. E' proprio come sostiene adriano: veder fare; saper fare!

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