03/02/10

L’ULTIMA REGALIA


Nel mentre negli ambienti politico-affaristici di valle da un po’ di tempo si parla a ruota libera di vivibilità, di benessere, di trasporti ecologici, di paesaggio come spazio di vita (e chi più bugiardo è più ne aggiunga) tra pochi giorni arriverà nell’aula consiliare di Tesero, per la solenne approvazione definitiva, l’ennesima revisione del piano di fabbricazione. Sarà l’ultima regalia di questa amministrazione in nome, si dice, del superiore interesse della collettività. Ma quale superiore interesse? Quello di tutti o quello di alcuni soltanto? In sostanza, depurato il tutto della solita aulica retorica, che ogni nuovo P.d.F. si porta appresso e che nulla traduce nella realtà delle cose, saranno aperte o ri-aperte nuove zone di espansione, per concedere a un esiguo numero di nuovi privilegiati di costruirsi la villa e a una non meglio precisata cordata imprenditoriale di costruire un “piccolo” complesso alberghiero (di 12.000 e rotti metri cubi!) in località Noalacce (centro del Fondo).
Dietro questo periodico ripetersi della solenne concessione pubblica di nuovo territorio a fini abitativi non c’è affatto, evidentemente, un superiore interesse collettivo. Anzi, da questa nuova modifica urbanistica, la comunità, nel suo complesso considerata, trarrà casomai un peggioramento della qualità della vita. Usare circonlocuzioni non fa capire e, in questo caso, le cose vanno dette con termini appropriati: questo è semplicemente un atto arbitrario. Più o meno, è sempre stato così; nel senso che la concessione all’edificazione da parte dell’autorità amministrativa pro tempore, ancorché legittima, è sempre e comunque un atto discutibile e opinabile. Ma l’arbitrio si fa via via più stridente e intollerabile, man mano che, procedendo nel tempo, più si concedono nuove aree naturali a nuove fabbriche, più le complicate interconnessioni socio-ambientali necessiterebbero di un sempre maggior approfondimento. Invece, purtroppo, anziché diventare prioritari nell’analisi, tali “effetti collaterali” finiscono per essere “derubricati” come semplici variabili residuali e, in ogni caso, mai discriminanti. A questo punto la domanda che si fa sempre più impellente, e alla quale non si vuole rispondere, è dunque: sin dove si vuole arrivare?
Come qui già abbiamo scritto, la pressione edificatoria che si è registrata in questi ultimi anni e attualmente in corso non ha paragoni nemmeno col periodo cruciale risalente agli anni ’70 – ’80 del secolo scorso e ha messo a nudo l’incapacità (o la mancanza di volontà) dell’Amministrazione di ascoltare le ritrosie sempre evidenti che spingevano verso un uso più parsimonioso del territorio.
Si sa che la casa è il bene primario per eccellenza, che da noi addirittura pretende di sostituire il logoro status symbol rappresentato dall’automobile. Farne di essa una reggia principesca è pertanto nelle aspirazioni di molti e sta nella pazzia dei tempi che viviamo. Chi non vorrebbe poter trascorrere le serate in compagnia, tra fumanti braciole e vino buono, nel giardino del proprio ‘castello’, a un passo dai prati in fiore, rimirando la luna e il firmamento tutto, nel silenzio di una notte incantata? E poiché il perverso e diffuso giro speculativo, procedente a questi ritmi vertiginosi da oltre vent’anni, ha prodotto una pletora di piccole o piccolissime ditte artigiane nel settore edilizio che lavorano per il 50% al nero, alle quali, pertanto, rimane un’incredibile disponibilità di liquidità (sottratta alla fiscalità generale) da poter reinvestire, la voglia di nuovo cemento è forte e in parecchi potrebbero economicamente soddisfarla. Tutto ciò sta nella logica perversa di questa economia locale. Che però l’autorità preposta alla concessione del privilegio non capisca che il tempo di dire stop al consumo territoriale è abbondantemente arrivato non è ammissibile, e nemmeno che l’idea invalsa tra la popolazione di avere la villa con vista panoramica, perché così fan molti, possa far da alibi a una miope e irresponsabile politica del lasciar fare.
Ci si alza la mattina con una strana voglia di gratificare gli eredi (il figlio ventenne piuttosto che il nipote) si va in Comune con due righe scritte sulla carta a quadretti, pretendendo l’inserimento del miglior terreno di proprietà disponibile, sicuri che al resto poi ci penserà il Comune. E che gli altri (cioè la collettività) naturalmente vadano a farsi fottere!! Come se le ottime ragioni degli altri appunto (che ci sono eccome) non esistessero. Perché l’inurbamento non è una questione privata: ogni nuova casa comporta la dequalificazione di quella che la precede nello spazio e nel tempo. Se si continua a espandere, per di più senza una visione complessiva delle interazioni, procedendo a casaccio, l’ultimo beneficiario godrà sì di un privilegio ma peggiorerà al contempo la condizione di chi l’ha preceduto, con effetto a cascata, via via che si scende.
E’ indecente che si continui a concedere con questa leggerezza nuove aree di fabbricazione, anche a chi già ha disponibilità immobiliari altrove e potrebbe tranquillamente rinnovare quel patrimonio ad uso personale anziché, come sempre più spesso accade, cederlo alla speculazione.
Ma è difficile per l’Amministrazione contrastare quest’andazzo. Ci vorrebbe una forte convinzione da parte di tutto il Consiglio. Ci vorrebbe etica, sì proprio etica, e preveggenza. Qualità rare. Si preferisce pertanto procedere senza meditare su queste fondamentali questioni. E così, dopo la scontata prossima approvazione del piano, le ruspe si mangeranno un’altra parte del paesaggio, dell’incontaminato. Nuove infrastrutture e nuovi insediamenti. Nuove case ad Arlasa, al Pèoco, ai Piani da Fia, a Stava, a Caltresa.
Siamo ormai alla metastasi, ma i dottori non se ne sono ancora accorti.
La modifica del P.d.F. che sta per essere approvata conferma una volta di più l’assoluta insignificanza della cosiddetta programmazione urbanistica. Si procede attraverso contrattazione privata tra committenti e sindaco, con pezze d’appoggio giustificative (leggi relazioni urbanistiche) prodotte da “professionisti di chiara fama”, contestabili anche dal primo passante della strada. Siamo all’arbitrio, appunto. Non c’è la volontà di dire finalmente basta. Il territorio è considerato alla stregua di una merce qualsiasi, a disposizione dei più furbi e più danarosi. Altro che sapienza teserana… Questa è scaltrezza napoletana! E’ questo il rispetto per un bene così vitale e indispensabile? Dove sono finite le analisi, le valutazioni dei nuovi flussi di traffico che saranno generati, le considerazioni paesaggistiche? Il Pèoco, la più bella finestra sul paese, zona chiusa da oltre 20 anni, riaperta all’assalto delle ruspe e del mattone. Ma si può continuare a procedere con questa miope visione? In quanti apriranno bocca in Consiglio? Staremo a vedere.

L’Orco

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