13/12/09

HOPE-LESS-NHAGEN


Hopenhagen è lo sponsor che si sono inventati in Danimarca in occasione della conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico, per richiamare la speranza che un accordo vero sia raggiunto nella capitale danese, il quale permetta finalmente la svolta ecologica che il mondo ambientalista – e l’industria del rinnovabile – si aspettano. Stando alle dichiarazioni delle ultime settimane però, Hopenhagen è diventata Hopelessnhagen: la speranza, cioè, si è fatta fievole, quasi è svanita. Perché?
Il primo argomento scottante riguarda la necessità (o meno) di ridurre le emissioni di gas serra. Le Nazioni Unite, tramite il loro apposito organismo, l’IPCC, sostengono la tesi che il cambiamento climatico sia effettivamente provocato dall’uomo, e che da esso possa anche essere neutralizzato. Questa posizione è sostenuta, ovviamente, anche dall’industria del rinnovabile e da altre aziende che, in contraddittoria sintonia con il sistema che a questo ci ha portato, utilizzano i prodotti “verdi” per potenziare la propria posizione nel mercato, puntando più ad un improbabile consumismo sostenibile che ad un più intelligente non consumo. Altri invece, i cosiddetti “climate change skeptics”, sostengono che il cambiamento climatico sia dovuto a cause tutt’altro che antropologiche, derivando invece, per esempio, dall’attività solare o dall’impatto di raggi cosmici creati da fenomeni astronomici fuori dalla nostra portata. Peraltro, la critica dei suddetti scettici raramente si accompagna ad una giustificazione scientifica. Anche quando tale argomentazione è stata presentata, mai, almeno fino ad ora, è sembrata solida e convincente.
Intanto le lobby del petrolio e del carbone inviano decine di delegati nei parlamenti del mondo occidentale per convincere la classe dirigente a non promuovere un accordo significativo al vertice ONU, organizzando anche campagne pubblicitarie volte a plasmare il pensiero dell’opinione pubblica in tale direzione. Una parte della classe politica si è subito gettata a capofitto in tale campagna, che fa della disonestà intellettuale il proprio motore primo e del profitto a breve termine il proprio fine. Un esempio lampante è rappresentato dal partito repubblicano statunitense, che tramite alcuni suoi membri sostiene la miope tesi che un’eventuale svolta verde sarebbe dannosa per l’economia – soprattutto a causa di un taglio di posti di lavoro. Dov’è il buon senso? Il bisogno di sviluppare nuove tecnologie ed implementare quelle esistenti, secondo i saccenti senatori repubblicani, porterebbe ad una sicura contrazione dell’occupazione – semplicemente irrazionale!
Ma il punto è un altro: al di là di discussioni più o meno dotte sulla veridicità degli studi presentati dalla IPCC, tra l’altro minata dal recente furto di e-mail ai danni degli studiosi dell’organizzazione, che rivelerebbe un ipotetico trucco usato per mascherare alcuni dati, ciò che tutti dovremmo chiederci è se il problema stia veramente nelle dispute sull’effetto serra o piuttosto nel rapporto che l’uomo ha avuto con il pianeta negli ultimi due secoli. La gente dovrebbe imparare a domandarsi se lo sfruttamento indiscriminato delle risorse che è stato portato avanti finora è razionale o meno, indipendentemente dal fatto che provochi il riscaldamento dell’atmosfera. Il concetto di sostenibilità dovrebbe, nella coscienza dei cittadini, andare oltre a quello di contrasto dell’effetto serra, portando ad un atteggiamento intrinsecamente rispettoso delle risorse del pianeta, senza bisogno di altri spauracchi. Il semplice fatto che il nostro pianeta dispone di risorse finite, dovrebbe logicamente portarci a ragionare in tal modo.
Oltre che sulla riduzione di emissioni di CO2, poi, un forte disaccordo è presente sui cosiddetti fondi per adattamento e mitigazione, che i Paesi sviluppati dovrebbero mettere a disposizione di quelli in via di sviluppo per facilitarne l’adattamento ai cambiamenti climatici già in atto e contribuendo ad una loro crescita sostenibile. In poche parole, i Paesi emergenti e quelli più poveri pretendono che l’Occidente saldi il suo debito di carbonio per mezzo di una compensazione. Insomma, vogliono che il mondo sviluppato riconosca che il suo sviluppo si è basato su un’economia che ha creato dei danni all’intero pianeta. L’alternativa alla compensazione sarebbe lasciare che i Paesi in via di sviluppo portino avanti una crescita dettata meramente da criteri economici, con conseguenze imprevedibili.
Solo considerando queste prime e semplici sfumature, si capisce quanto il problema sia complesso e quanto sia improbabile che un accordo venga raggiunto nei prossimi giorni. Alcuni affermano che la democrazia non potrà mai portare ad una decisione importante in merito, in quanto il periodo di tempo verso cui essa dovrebbe rivolgersi va ben oltre quello di un normale mandato legislativo e, si sa, la classe dirigente normalmente ritiene la poltrona più importante dell’effettiva soluzione del problema, soprattutto quando essa richiede scelte impopolari. (Anche se, siamo poi sicuri che sarebbero così impopolari??) Questo tema è affrontato da pochi, ma potrebbe essere più rilevante di ciò che si pensa. Per questo le considerazioni dei paragrafi precedenti sono fondamentali. Le alternative sono tre. 1) Non agire puntando tutto sul fatto che la scienza può sbagliare. 2) Superare il problema in maniera non democratica, sperando che una classe dirigente dittatoriale – ma saggia – si instauri. 3) Spingere al cambiamento con una democrazia che parta dal basso, e cioè con l’adozione di una coscienza verde e responsabile collettiva.
Quale sarebbe la scelta più sensata? Probabilmente la terza. Ma potrebbe essere troppo tardi. Intanto tutti stanno passivamente a guardare cosa succede a Copenhagen, sperando che il lume della ragione (o lo spirito santo, per alcuni) riesca ad intrufolarsi nella conferenza. Ed è una sconfitta per l’umanità vedere come una scelta così determinante debba essere affidata a un pugno di politici, quando dovrebbe semplicemente essere dettata dal senso comune. D’altronde, Bertrand Russell profeticamente diceva che “… uno dei mali della nostra epoca consiste nel fatto che l’evoluzione del pensiero non riesce a stare al passo con la tecnica, con la conseguenza che le capacità aumentano, ma la saggezza svanisce. Riflettendo un po’ sui comportamenti nostri e di chi ci circonda, non si riesce proprio a dargli torto.

A. Jorden

(ringraziamo l'autore, A.Jorden, esperto in energie alternative e fonti rinnovabili, che in esclusiva firma il suo primo post e inizia la sua collaborazione al blog)

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