08/11/09

PSICOSI DELL'INFLUENZA, SPECCHIO DELLE SOCIETA'


Ventisei anni orsono si diffondeva una nuova pandemia per l'uomo, l'aids. In seguito, almeno quattro grandi allarmi sono stati lanciati, l'ultimo dei quali riguarda l'influenza detta «A» (H1n1). Queste patologie presentano diversi punti comuni: derivano da vettori sconosciuti - come l'Hiv per l'aids o la proteina prione dell'encefalopatia spongiforme bovina (Bse), prodotta dalla «malattia della mucca pazza» - o da mutazioni inattese di virus conosciuti; esse provengono tutte da epizootie (propagazioni di malattie animali); infine, tutte sono caratterizzate dal superamento della barriera immunitaria che separa le specie e dal fatto che diventano contagiose tra gli umani. D'altronde, esse presentano anche grandi differenze: l'aids ha ucciso venticinque milioni di persone a partire dal 1983 (di cui due terzi nell'Africa sub sahariana). In confronto, duecentoquattordici persone sono morte dal 1996 a causa delle variante umana della Bse, (di cui sessantotto nel Regno unito); la sindrome respiratoria acuta severa (Sars) ha fatto novecentosedici vittime tra il 2003 e il 2009 (la quasi totalità delle quali nell'Asia sud-orientale); alla fine del 2008, l'influenza aviaria (H5n1) contava solo duecentoquarantotto casi mortali, l'80% dei quali nell'Asia sud-orientale. Quanto all'influenza A, ormai estesa a tutto il pianeta - prodotta da una «mediazione» suina, come tutte le influenze pandemiche del passato - le si attribuiscono «solo» milleduecentocinquanta decessi (cifra incerta) dopo otto mesi, ossia nettamente meno del tasso medio di una influenza di stagione (trecentomila decessi annui nel mondo). Dato, questo, che non permette di far previsioni circa la sua letalità durante l'inverno, poiché i virus dell'influenza sono resistenti al freddo. Siamo quindi passati da un pericolo, rivelatosi massiccio e prolungato, a rischi potenziali, ricorrenti ma in apparenza deboli e questo rovesciamento va di pari passo con atteggiamenti molto diversi nel modo in cui sono trattati: per l'aids e la Bse, le opinioni pubbliche si sono preoccupate del modo in cui le autorità e tutte le parti coinvolte hanno sottovalutato i pericoli, dissimulato realtà inquietanti e cercato di differire il più possibile uno scandalo ineluttabile che chiamava in causa personalità di primo piano. In compenso, per la Sars, l'influenza aviaria e quella trasmessa all'uomo sotto la denominazione «A», si è verificato piuttosto l'inverso: le istituzioni sanitarie e i poteri pubblici sono sospettati di allarmismo. Si rimprovera loro di cogliere ogni occasione per allontanare l'attenzione dalla crisi economica, dimostrare il loro potere d'intervento, dispiegare una prevenzione sproporzionata nei confronti dei pericoli reali e, infine, testare le grandi linee di una gestione mondiale, assieme mercantile, autoritaria e igienista della salute, da tempo denunciata da Rony Brauman, in particolare attraverso campagne di vaccinazione obbligatoria, contestabili nei paesi poveri. Questa epoca sembra quindi offrirci l'occasione di evitare di cedere all'angoscia incontrollata, anche se i problemi non vanno sottovalutati, e di tentare di analizzare il fantasma del vero pericolo. L'amplificazione dei rischi di nuove epidemie è reale: secondo l'Oms, dal 1967 si sono scoperti trentanove agenti patogeni. La popolazione umana conosce una crescita rapida (quasi un miliardo di persone in più in dieci anni) e, soprattutto, una concentrazione urbana inedita: quasi quattro miliardi di individui vivono nelle città, ossia oltre il 50% della popolazione mondiale, e il 25% in grandi città, nelle quali molti vivono al di sotto della soglia di povertà (un miliardo di cittadini vive in tuguri, ottocentosessantadue milioni di persone non mangiavano a sufficienza nel 2008 , e due miliardi hanno carenze di micro nutrimenti e in proteine). I mezzi di comunicazione, di distribuzione, di diffusione si sono notevolmente sviluppati, provocando sia una maggiore propagazione dei vettori di malattie (le zanzare sono ottimi clienti delle compagnie aeree) che una maggiore efficienza nella risposta. Già nel 1918, l'influenza detta «spagnola» (che presenta anche i sottogruppi H1n1), probabilmente portata... dalla Cina da un battaglione americano, mise solo quindici giorni per fare il giro degli Stati uniti (grazie alle navi, agli autobus e ai treni) e due mesi per diffondersi sui campi di battaglia. Alla fine l'influenza spagnola uccise almeno trenta milioni di persone nel mondo (e forse molte di più), tra cui quasi la metà in Cina e in India. Ciononostante, non conviene dipingere la situazione a tinte fosche. Come rileva lo storico della medicina Patrick Zylberman, «disponiamo di conoscenze scientifiche sul virus (...), di antivirali e di vaccini. Gli antibiotici permettono di trattare le superinfezioni. Per non dire della sorveglianza epidemiologica, predisposta dal 1995, e dei piani di risposta epidemica previsti, anche se tutto non è perfetto». Contrariamente all'inizio del secolo scorso, nonostante la prostrazione della crisi economica, il periodo attuale non conosce più le carestie a ripetizione o gli stati di spossamento associati alle guerre su grande scala, sicché le infezioni incontrano maggiori difficoltà a superare le difese immunitarie; inoltre, la maggioranza degli abitanti del pianeta ha accesso all'acqua corrente, nonostante gravi disparità. Guardando indietro, ricorderemo che la virulenza delle grandi pesti della metà del XIV secolo (oltre cinquanta milioni di morti) derivò da un insieme di fattori scatenanti: proliferazione di animali portatori, legata a una «politica umana» (come la distruzione dei gatti, ritenuti animali diabolici!), spinta demografica, concentrazione di popolazioni nelle città, cattivo stato fisiologico dovuto alla miseria, stato di belligeranza generale e cronica, ecc. L'incapacità di trattare il problema alla radice La malattia, indotta dalla logica del vivente, ha saputo adattarsi all'era tecnologica. Da tempo immemorabile, l'efficacia dei meccanismi della selezione funziona a nostro svantaggio nell'aggirare gli antibiotici o altri progressi della medicina: negli Stati uniti, uno stafilococco dorato su due non è più sensibile all'eritromicina, alla meticillina, alla penicillina o alla tetraciclina; in Francia, la metà degli pneumococchi resiste alla penicillina, ecc. Questo fenomeno rende più aleatorio il trattamento di affezioni post-influenzali e spiega in parte le notevoli differenze nella «letalità» di H1n1 da un paese all'altro. Non c'è bisogno di una teoria del complotto (che assegna intenzioni assassine alle istituzioni che favoriscono e organizzano le vaccinazioni, ad esempio) per ammettere che le strategie umane per sradicare malattie, obiettivi a dir poco positivi che fanno onore alle scienze mediche, si sono scontrate senza averlo veramente previsto, con i meccanismi degli adattamenti batterici e virali al lavoro da miliardi di anni. Appoggiata dai medici, la smania del pubblico per gli antibiotici ha conosciuto restrizioni - spesso più teoriche che pratiche - solo di recente. Bisognava che si verificasse questo aumento delle resistenze perché si avvertisse la necessità di elaborare linee di azione molto più specifiche. A sua volta l'uomo deve rispondere a questa sfida, il che può implicare un ritorno al vaccino (che ignora la resistenza poiché rafforza le difese), o un passaggio alle terapie geniche. Per quanto riguarda l'influenza (sorvegliata dall'Oms fin dalla creazione dell'organizzazione, nel 1948), la mutazione è stata integrata nella logica che porta a vaccini efficaci in ampie percentuali. Essa può essere prevista per le nuove forme. Secondo vari specialisti degni di considerazione - come Robert Webster, Kawaoka Yoshihio, Albert Osterhaus, Claude Hannoun o Desmond O'Toole - il vero rischio delle influenze recentemente uscite dalla «fucina asiatica» (vale a dire da una vasta regione del mondo in cui una densa popolazione rurale vive in promiscuità con allevamenti suini e aviari) sta in una combinazione di tratti genetici dell'H1n1 (grande contagiosità-bassa mortalità) e dell'H5n1 (bassa contagiosità-forte mortalità). La sua probabilità è bassa, ma se si avverasse, esisterebbe il pericolo - anche se incerto - di un collegamento dei due caratteri tipici che porterebbe a una forte mortalità per un numero elevatissimo di persone, soprattutto per le popolazioni dell'Asia sud-orientale. Si capiscono quindi l'inquietudine crescente degli Stati, la cui prima responsabilità è di tutelare la propria popolazione, e l'appello sempre più energico delle istituzioni internazionali, preoccupate dalla rapida circolazione delle malattie (cinquemila aerei di linea che si spostano costantemente, centinaia di bambini riuniti nelle scuole, ecc.). Tuttavia, se dobbiamo riconoscere un maggiore senso delle responsabilità condivise, abbiamo anche il diritto di analizzarne gli aspetti inevitabilmente problematici. Ad esempio, oramai, per essere in grado di neutralizzare l'epidemia dovuta a un batterio, a una influenza o a un raffreddore diventato pericoloso, bisognerebbe probabilmente attuare un insieme di misure vincolanti: quarantene e chiusure di frontiere, divieti di riunione, obbligo di restare a casa, cure obbligatorie, ecc. Le popolazioni occidentali hanno perso l'abitudine alle misure coercitive di massa come le mobilitazioni generali e tendono a percepire il regolamento collettivo dei comportamenti come altrettanti attacchi alle libertà individuali. Altro aspetto del problema: più che intenzionati a frenare l'apparizione di situazioni favorevoli all'emergenza di nuove malattie, i governi sembrano propensi a intervenire a posteriori attraverso controlli o campagne di vaccinazione consigliati o imposti alle persone. Questa relativa incapacità di trattare il problema alla fonte non è recente: le autorità europee o americane non hanno saputo padroneggiare le tecniche di preparazione dei prodotti della trasfusione di sangue che, oggi lo sappiamo, contribuirono all'emergenza dell'aids. Né furono più efficienti quando si trattò di rendere più sicura la produzione delle farine animali; la loro assunzione da parte dei bovini ha favorito il passaggio dei prioni, possibilmente provenienti da animali di altre specie. Gli ultimi tre grandi allarmi hanno tutti chiamato in causa l'estensione dell'allevamento industriale delocalizzato del pollame e dei suini senza che vi sia stato un miglioramento della profilassi, sia in Cina sia in Messico o in Malesia, o persino in paesi «sviluppati». Ma il maiale (o il cinghiale, la cui presenza esplode in Francia) dispone di recettori dei virus aviari e umani e può fare da fucina per combinare i due: un milione e mezzo di decessi gli furono imputati nelle pandemie di origine aviaria nel 1957 (A/H2n2) e 1968 (A/H3n2) responsabile, senza che nessuno ne parli, di trentaduemila morti in Francia, ossia due volte di più della canicola del 2003). Non si può escludere che lo iato tra un basso livello di prevenzione generale e una maggiore pressione esercitata a valle sul comportamento del pubblico abbia facilitato la visione liberale e il «lasciar fare» che sono prevalsi nel mondo dopo gli anni '80. Specialista delle malattie infettive e membro della Académie de Médecine, il professore Marc Gentilini si indigna: «Il peso che viene attribuito all'influenza A è indecente nei confronti dell'insieme della situazione sanitaria nel mondo. È una pandemia dell'indecenza. Quando considero la situazione del pianeta, mi vergogno di vedere quanto si fa per evitare questa influenza di cui sappiamo poco», mentre la malaria uccide un milione di persone «nell'indifferenza quasi generale». Per non parlare di malattie come il diabete, esempio ormai canonico in «rischiologia» per richiamare un pericolo maggiore e quasi ignorato dal grande pubblico: dell'ordine di quattro milioni di decessi ogni anno, la sua letalità, essenzialmente attribuibile ai modi «moderni» di vita, è in costante aumento. Nella valutazione delle fobie, non tutte le patologie sono uguali - né, soprattutto, le popolazioni che ne sono affette. Perché mai l'influenza aviaria o quella suina hanno suscitato una forte mobilitazione dei responsabili sanitari, mentre la semplice gastroenterite (batterica o soprattutto virale) uccide quasi un milione di bambini e seicentomila persone ogni anno nei paesi poveri, senza che se ne preoccupino gli amatori di grandi inquietudini? Relativamente benigna in Francia, essa ha ormai superato la soglia epidemica, perché certe forme sono indotte da batteri resistenti e altre da virus che potrebbero mutare... Sfoderare, facendo leva sulla paura, i discorsi della scienza e della responsabilità politica in fatto di salute per mobilitare meglio le popolazioni contro pericoli talvolta ancora potenziali, comporta conseguenze negative. Ripetuti con tutti i mezzi «pedagogici», questi discorsi finiscono per combinarsi con un insieme di orientamenti ansiogeni che contribuiscono all'esplosione di camportamenti esplicitamente «paranoici». Quelli che approfittano della paura sono attivi in questa deriva: «Aiuto, l'influenza è in arrivo!» proclama Santé Magazine, il 12 dicembre 2008. Come questo fabbricante di mascherine contro l'influenza il cui slogan pubblicitario su internet è: «Non aspettate che sia troppo tardi». Ma quando si insiste troppo circa i pericoli presentati come apocalittici, si rafforza l'ansia dei più manipolabili (i sondaggi indicano che le categorie inferiori hanno paura della influenza A più dei quadri superiori e li si porta a immaginare il peggio: i discorsi di panico si moltiplicano, portati in particolare - più o meno apertamente - da gruppi settari pronti ad accusare i «padroni del mondo» di voler deliberatamente farci ammalare, con il pretesto di curarci: su Solari.com, Catherine Austin Fitts (vicesegretario di stato per l'abitare nel primo mandato di George W. Bush) prevede, con tristezza e orrore, che l'influenza e i suoi vaccini saranno usati per far diminuire la popolazione umana, ormai «fuori controllo». Il tema della vaccinazione, libera o obbligatoria, è stato oggetto di paure popolari fin dall'inizio del XIX secolo. Sebbene il vaccino abbia incontestabilmente salvato o prolungato milioni di vite, ha anche provocato effetti «iatrogeni», come tutte le tecniche di cura. Oggi queste tendono a combinarsi in un rifiuto culturale globale degli interventi collettivi sul corpo umano: l'impianto sottocutaneo di micro-chip elettroniche è eretto a «marchio del diavolo», anche se viene usato di raro (e disapprovato). Nonostante ciò, si può trovare su internet la combinazione sistematica del rifiuto del vaccino e del micro-chip, per una reazione esagerata al «governo mondiale» demonizzato e sospettato di voler ridurre e asservire la popolazione del pianeta - il tutto in riferimento all'Apocalisse biblica. In entrambi i casi, è il fatto di bucare la pelle che costituisce il nucleo di questo fantasma (mentre l'antibiotico, forse perché spesso somministrato per via orale, non suscita questa reazione). Come se la scoperta di Louis Pasteur circa la nostra condizione di specie sottomessa in quanto tale alla contaminazione tra tutti i suoi membri, fosse resa tanto più insopportabile in quanto riaffermata dalla società che si permette di inseguire gli organismi patogeni «per effrazione» nel corpo di ciascuno. Il fantasma della «purga demografica» In fin dei conti, il rischio maggiore non è sempre quello al quale si pensa di più. La deriva delle nostre società verso l'ossessione securitaria può essere un rischio, e tra i più gravi, in particolare perché impedisce ogni politica sanitaria ragionevole e concertata. Un clima di diffidenza generalizzata spiega in parte le difficoltà di una informazione aperta sulle realtà epidemiologiche e sulle soluzioni terapeutiche o le campagne di polizia sanitaria. Il fatto che queste difficoltà alimentino di ritorno voci assurde fa parte del problema. Allo stesso modo, una crescente interpenetrazione tra le questioni di salute pubblica, le politiche sociali ed economiche, addirittura le problematiche strategiche e geopolitiche, favorisce l'ordine autoritario e il ricorso al segreto. È tanto più urgente fornire al pubblico gli strumenti che gli consentiranno di formarsi le proprie opinioni su basi serie - pur capendo e rispettando le emozioni e le angosce, che non sono mai messe in causa. Anche se i fautori della «imposizione forzata della scienza» avranno forse ragione sul piano dell'urgenza, e addirittura della democrazia sanitaria, non potranno negare il fatto che questi fantasmi contengono una parte di verità. Più la società umana si comporterà come un bacino unico per pandemie anch'esse moltiplicate, e più saremo alle prese con una autorità che pretende di rappresentare questa specie: un bio-potere universale in un certo senso più preciso di quanto aveva rilevato Michel Foucault. Ecco, dunque, una contraddizione irriducibile con la quale ci tocca vivere ormai: accettare la nostra realtà biologica ma nello stesso tempo pretendere di essere rispettati come soggetti politici e privati, come esseri singoli. La necessità di procedere ad arbitraggi tra questi due aspetti opposti ci porterà a tollerarne le conseguenze (talvolta mortali). Ad esempio, possiamo decidere, in quanto popoli, di preferire un certo numero di morti sulla strada anziché tollerare la presenza di spie elettroniche nelle nostre automobili, o di affrontare coraggiosamente una epidemia di influenza invernale anziché essere costretti a vaccinarci. Ma sarebbe lamentevole, addirittura sciocco, dover subire, come in Nigeria, una riapparizione folgorante della poliomielite presso i bambini, solo per una nostra diffidenza paranoica nei confronti dei «vaccinatori-avvelenatori». Sarebbe anche poco ragionevole aspettare passivamente che si verifichi un eventuale «matrimonio» dei virus H5n1 e H1n1, con il rischio di veder falcidiare buona parte della nostra popolazione nel pieno vigore degli anni. In compenso, il diritto di mettere in questione l'obbligo di vaccinazione potrebbe essere accettato in caso di patologie mal definite, o per tecniche che gli esperti contestano. Per quanto riguarda infine la denuncia di intenzioni di manipolazione dei virus allo scopo di renderli ancora più letali (ad esempio nel quadro di un «bioterrorismo» privato o statale), occorre prima di tutto sottolinearne il carattere irrealistico: non che assemblaggi di virus patogeni siano tecnicamente irrealizzabili in laboratorio (cosa che si fa quotidianamente a scopi terapeutici o sperimentali); ma queste manipolazioni avrebbero scarse probabilità di ottenere l'efficacia di una mutazione naturale. Del resto, le disseminazioni accidentali di organismi modificati «si spengono» in genere in contesti quasi sempre sfavorevoli. Di più, per riuscire a fabbricare la malattia esattamente adeguata agli interessi di questo o quel gruppo o stato terrorista, ci si dovrebbe in precedenza sottoporre a un numero sufficiente di fallimenti sperimentali a grandezza naturale, allertando in questo modo tutti i servizi segreti del mondo! Insomma, chi nutre le intenzioni più nere nei confronti della nostra specie farebbe meglio ad affidarsi alla natura, in un quadro di sovrappopolazione, piuttosto che accanirsi in tentativi rischiosi. Prestare ai funzionari nazionali o internazionali intenzioni oscure, o addirittura criminali al punto di preparare - con la connivenza dei laboratori farmaceutici - un genocidio mondiale nell'intento di far calare la popolazione «eccedente», è non solo una perfetta assurdità ma una incitazione all'odio, un invito al linciaggio. Nella loro immensa maggioranza, i medici, i ricercatori e i funzionari sanitari che lavorano nel difficile campo delle epidemie odierne, e che sono in grado di intervenire in procedure di polizia sanitaria, sono persone dedite alla causa che onora la loro professione: proteggere e salvare. Sanno inoltre di essere i primi a rischiare la propria sicurezza nel momento in cui un timore irrazionale s'impadronisce della popolazione. Quindi sbaglieremmo se affrontassimo i fantasmi solamente come paure che camuffano dubbi utili, inquietudini legittime o risentimenti ammissibili. Dobbiamo anche considerarli, talvolta, come desideri innominabili, che vengono tanto più facilmente attribuiti al «nemico». Come ad esempio la denuncia indignata, su alcuni blog, di una presunta intenzione genocida legata a un «surplus demografico». Non si tratta in questo caso di un oggetto di paura ma piuttosto di un desiderio molto diffuso, sebbene dissimulato e ipocritamente attribuito a un mitico personaggio malefico. Ammettiamo un istante che, per citare Claude Lévi-Strauss, questo desiderio sorga «come un'acqua perfida da una umanità satura del proprio numero e della complessità sempre più grande dei problemi, come se il suo derma fosse stato irritato dallo sfregamento dovuto a scambi materiali e intellettuali accresciuti dall'intensità delle comunicazioni». Possiamo, ciononostante, immaginare di augurare una vasta «purga demografica» come soluzione all'interminabile crisi economica, a maggior ragione se fosse l'effetto naturale di una «buona influenza»? Possiamo «sentire» gli argomenti che vanno in questo senso: l'Inghilterra democratica moderna, «madre dei Parlamenti», è infatti nata da condizioni sociali radicalmente migliorate in seguito alla Grande Peste del 1350 (aumento dei salari dei sopravvissuti, regresso del servaggio, calo della rendita fondiaria, ecc.). Tuttavia, questo tipo di ragionamento è poco attendibile sotto diversi aspetti, anche a prescindere dal cinismo disumano che dissimula: una diminuzione brusca della popolazione aggraverebbe la crisi economica in corso, provocherebbe il crollo delle produzioni, dei posti di lavoro e dei redditi, imporrebbe regimi autoritari. Sarebbe assurdo imputare questo obiettivo agli «orrendi capitalisti» che hanno invece costantemente bisogno di nutrirsi di ogni genere di sviluppo e di aspirare a una «ripresa» sempre più forte. Un ritorno ai tempi oscuri della storia Ma l'attrazione per una malattia mortale «salvatrice» non si presenta mai apertamente per ciò che è: sembra respinta con sacro orrore sull'immagine caricaturale dell'élite internazionale o degli «Illuminati», questi nuovi mostri e serial killers immaginari della storia mondializzata. L'8 aprile 2009, la giornalista austriaca Jane Burgermeister ha sporto querela presso il procuratore di Vienna contro le società Baxter AG, Baxter International e Avir Green Hills Biotechnology AG, «per aver sviluppato, fabbricato e diffuso un'arma biologica di distruzione di massa sul suolo austriaco, dal dicembre 2008 al febbraio 2009, con l'intento di provocare una pandemia mondiale di influenza aviaria, e per trarre profitto da questa pandemia, in violazione delle leggi sul crimine organizzato e sul genocidio». Ella dichiara di avere poi querelato un certo numero di responsabili internazionali e di dirigenti politici, ma anche gli «Illuminati» e il gruppo di Bilderberg, «per aver appoggiato deliberatamente una campagna di vaccinazione che permette in realtà di inoculare alle popolazioni un "misto" di virus aviari e suini allo scopo di uccidere un gran numero di persone. Accelerata e allargata via internet, la diffusione delle voci più infondate e folli, che accusano alla rinfusa l'Oms, Barack Obama, David Rockefeller o George Soros, mobilita le pulsioni di morte che vivono oggi in ogni soggetto di questa società mondiale opprimente e pericolosa, incerta e disorientata. Essa si riallaccia inoltre a fenomeni di agitazione demagogica (già legati talvolta alle epidemie di cui si accusavano gli stranieri e gli ebrei), e rinnova, a livello del web, la capacità dei media classici di gettare l'opinione pubblica nell'infatuazione o la diffidenza. Come ricorda Pascal Froissart a proposito delle teorie sulla cospirazione, il «diritto al dubbio» è importante, addirittura «sano»; ma, quando si trasforma nell'obbligo di essere terrorizzato, si entra in un'altra logica, quella dei tempi oscuri della storia.

Denis Duclos (antropologo, direttore di ricerca al Cnrs. I suoi studi vertono in particolare sulle “grandi paure” delle società)

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