21/04/09

CALCIO, IN CAMPO SCENDE L'ODIO RAZZISTA


Mario Balotelli gioca nell'Inter. Ha la pelle nera e la cittadinanza italiana. Contro di lui - sabato sera - si è scatenata gran parte della tifoseria juventina armata di cori e di insulti razzisti. "Non ci sono negri italiani". Immediata la risposta del giudice sportivo: "La Juve giocherà la sua prossima partita a porte chiuse". Concorda Massimo Moratti e insieme a lui Platini - presidente dell’Uefa - che da tempo invoca misure più severe per punire le escandescenze razziste negli stadi. Ma serviranno le norme o la cultura? Il pareggio dell’Inter contro la Juventus a Torino spegne ogni residua illusione bianconera di riaggancio e, di conseguenza, ribadisce l’inattaccabilità del primato nerazzurro. Ma, ciò constatato, non è su questo che segue dibattito sui demeriti degli uni e sui meriti degli altri e così via. Lo strascico più vistoso di un confronto che per tradizione non si esaurisce col fischio di chiusura si chiama Mario Balotelli. Non ha ancora 19 anni, ma già numeri da fuoriclasse che gli valgono il soprannome di SuperMario. Ha la pelle nera e la cittadinanza italiana, come il nome, perché qui è nato (a Palermo, figlio di emigranti ghanesi) e cresciuto (adottato a tre anni da una famiglia di Brescia). Altri segni particolari sono un caratterino esuberante e l’incedere un po’ bullesco, cosa che raramente lo rende simpatico a chi ci gioca contro. Cosicché gli avversari più navigati sono soliti provocarlo, stimolandolo a dar fuori di testa e farsi espellere, più che tentando di intimorirlo, impresa considerata impossibile. E fin qui ci può anche stare. In fondo il calcio, si sa, non è sport da boy scout. Non ci sta, però, che dagli spalti si levino cori razzisti. A SuperMario non è la prima volta che capita di subire quegli insopportabili «buuuh», perché questa insana abitudine (che definire «idiozia» è riduttivo e insanamente quasi assolutorio) è assai diffusa negli stadi italiani ma non solo. Però sabato sera, a Torino, quel tipo di gazzarra si è manifestata in modo più eclatante di altre volte e, come un mefitico contagio, dalla curva degli ultrà ha preso a rimbalzare tra diversi settori dello stadio, con ululati intercalati da slogan che non vale la pena divulgare, perché vista l’aria che tira (non solo negli stadi, va sottolineato), anziché come cattivi esempi molti potrebbero prenderli come spunti da sviluppare. Balotelli, secondo propria indole, non si è fatto intimorire e quando gli è capitata la palla buona l’ha messa dentro senza esitare, dando il vantaggio all’Inter. Dicono gli avversari che facesse il cattivello a gioco fermo, quando l’arbitro era rivolto altrove. Mourinho, dal canto suo, dice di averlo sostituito a un certo punto perché gli juventini in campo continuavano a provocarlo. Il che, mixato coi cori dagli spalti rischiava di produrre un cocktail nervoso esplosivo per il suo baby-fenomeno, fino a lì capace di far perdere il controllo al bianconero Thiago, espulso per doppio fallo di quelli detti «di frustrazione» (il secondo dei quali su di lui), ma di mantenere il proprio. Massimo Moratti, che tra tutti i presidenti è il più papà, non c’era, ma ha visto la partita e sentito la colonna sonora. Poi ha ascoltato «certi commenti televisivi», come li ha definiti lui senza fare i nomi degli interpreti, e infine è sbottato. «Se fossi stato allo stadio – ha detto – sarei sceso in campo e avrei ritirato la squadra». Peccato che non ci sia stato. Un gesto del genere avrebbe creato certo uno choc, ma anche assunto una valenza esemplare e dato una scossa a quella sorta di torpore preoccupante che Moratti riconduce ai termini più appropriati: «assuefazione al razzismo». Giustamente il patron interista non sorvola su un «caso» che molti archivierebbero volentieri sotto la voce «sfottò», magari un po’ eccessivo, pure antipatico ma sostanzialmente innocuo. Sull’argomento, Platini, presidente dell’Uefa, è tutt’altro che morbido e da tempo invoca misure più severe per punire le escandescenze razziste negli stadi, dando licenza all’arbitro di interrompere le partite ogni qualvolta si manifestino. Potere ancora negato in Italia a chi deve salvaguardare la regolarità del gioco. Il quale può solo prendere nota e compilare referti, in seguito ai quali si penalizzano le società con multe ridicole. Chi non è incline a sminuire il problema (non solo estetico) posto dagli imitatori del verso della scimmia ogni qualvolta un ragazzo di colore ha il pallone tra i piedi, invoca anche multe ben più salate delle attuali, squalifiche dello stadio in cui le gazzarre vanno in scena, penalizzazioni di punti e quant’altro possa contribuire a mettere la sordina ai cori osceni e a stimolare le società a spargere semi di civiltà sulle loro tifoserie. Il giudice sportivo ha anticipato di 24 ore il proprio lavoro, condannando la Juventus a giocare la prossima partita casalinga a porte chiuse «per la gravità del fatto e per la pervicace reiterazione di tali deplorevoli comportamenti, che nulla hanno a che vedere con la passione sportiva». Sottolineando l'aggravante "dell'assenza di qualsiasi manifestazione dissociativa da parte di altri sostenitori ovvero di interventi dissociativi da parte della società". Tra gli slogan dedicati a SuperMario ce n’è uno che magari è meno virulento degli altri ma più di tutti mortifica il civile buon senso. Rimpalla da un po’ anche tra siti Internet e recita così: «Non ci sono negri italiani». A chi ci si identifica basterebbe far vedere e rivedere a sfinimento, come in un «trattamento» alla "Arancia meccanica", la foto della nazionale francese campione del mondo del ’98, in cui più della metà erano ragazzi di colore. Balotelli non è il primo "italiano" a vestire l’azzurro (Under 21 nel suo caso), prima c’erano già stati Ferrari e Liverani. Di lui però si parla molto di un approdo alla nazionale maggiore, in vista del Mondiale in Sudafrica dell’anno prossimo. Alla luce del suo caratterino, che anche Mourinho fa fatica a incanalare in traiettorie proficue per lui e per la squadra intera, Lippi, già alle prese con la spina-Cassano, non si pronuncia ancora ma lo osserva di sottecchi. Diventasse un emblema di una lotta davvero seria al razzismo negli stadi, avrebbe una ragione in più per smussare qualche spigolo caratteriale e gli azzurri si ritroverebbero in organico una potenziale star del prossimo Mondiale. Un Eusebio, o anche «solo» un Drogba italiano, finalmente.

Roberto Duiz

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