07/03/09

PROFONDO ROSSO A EST


I numeri della crisi sono tutti lì, impietosi. Peggio del peggiore degli incubi per tutti quei cittadini dei paesi dell'ex blocco sovietico che, dopo il crollo del muro di Berlino e il disfacimento dell'Urss, avevano riposto le loro speranze di una vita migliore nel libero mercato, abbracciando la filosofia del neoliberismo rampante senza se e senza ma. Oggi quelle speranze sembrano infrangersi una ad una sotto i colpi della crisi finanziaria globale, e la via d'uscita è sempre più lontana. L'elenco è impressionante e molti di questi paesi fanno parte dell'Unione Europea. Il primo a suonare il campanello d'allarme è stata l'Ungheria. Nell'ottobre del 2008, Europa e Fondo monetario internazionale (Fmi) hanno concordato con Budapest un prestito di 25,1 miliardi di dollari per evitare la bancarottta. La crescita economica oggi segna un -3,5%. Piena recessione, dunque, dovuta al collasso dell'export verso l'Europa occidentale. In Bulgaria, nei primi due mesi del 2009 i sindacati stimano abbiano perso il posto di lavoro più di 50.000 persone. Il sistema finanziario della Repubblica Ceca, invece, è stato poco coinvolto nella fase iniziale della crisi finanziaria globale. Ma la sua economia è fortemente legata all'export (quasi il 70% del Pil). Il risultato è che nel solo mese di gennaio 45.000 posti di lavoro sono andati in fumo, portando il tasso di disoccupazione al 6,8%. Quanto alla Repubblica Slovacca, la produzione industriale è crollata a dicembre del 16,8% su base annua. Il dato peggiore degli ultimi 10 anni. Il governo slovacco prevede un ulteriore peggioramento della situazione con il crollo dell'export verso i paesi dell'Europa occidentale. In Polonia (per ora unico paese dell'Europa dell'Est ad aver evitato il peggio) la crescita economica è scesa dal 6,7% nel 2007 al 4,8 nel 2008. E gli esperti prevedono un crollo del Pil nazionale per il 2009 che dovrebbe attestarsi intorno all'1,4%. Anche la Romania ha chiesto aiuto all'Europa e all'Fmi. L'export verso occidente è crollato e molte industrie hanno annunciato il taglio di posti di lavoro. Altro paese sull'orlo del baratro è la Serbia che sta negoziando con l'Fmi un prestito di 2 miliardi di euro per aprile. Nel 2008 la crescita economica era stata del 5,5%. Belgrado prevede una contrazione per il 2009 di 5 punti percentuali. Ma la Banca centrale ha fatto sapere che il paese si trova già in recessione. Decisamente preoccupante la situazione dell'Ucraina. La produzione industriale è crollata di un terzo su base annua, mentre la produzione mineraria e metalmeccanica si è ridotta della metà in un anno. Il sistema bancario è al collasso. Tre tra le più grandi banche del paese sono state messe sotto amministrazione controllata e la moneta nazionale è colata a picco. L'Fmi ha promesso un prestito di 16,4 miliardi di dollari. Ma a complicare le cose ci si mette la fragilità delle istituzioni di governo e le beghe politiche interne, tanto che l'Fmi si è rifiutato di sborsare una seconda tranche d'aiuti. Non meno preoccupante la situazione delle Repubbliche Baltiche che dopo anni di crescita al ritmo del 10-11% annuo sono piombate nel giro di pochi mesi a crescita zero, come la Lituania e l'Estonia. Mentre la Lettonia, il cui governo ha dato le dimissioni dopo le massicce manifestazioni di protesta dello scorso gennaio, oltre la crisi finanziaria deve affrontare anche lo scoppio della bolla immobiliare. E infine la Russia che per la prima volta dopo 10 anni di crescita, nel 2009 vedrà la sua economia contrarsi del 2,4% e scivolare verso la recessione. A gennaio 300.000 russi hanno perso il lavoro. Il numero dei disoccupati in un anno è salito a 6,1 milioni di unità: l'1.6% in più rispetto al mese precedente.

m.ca. – il manifesto 06/03/09

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