14/01/09

QUI RIPOSA IL CAPITALISMO (1667? - 2009)


A proposito della crisi economico-sistemica in atto un lettore ci trasmette il suo parere. Lo ringraziamo per il contributo.

Tutti ce lo dipingono così il “nostro” capitalismo: come un uomo sul letto di morte, in attesa che giunga la signora con mantello nero e falce a portarselo via. Alcuni incitano addirittura a staccare la spina. Ma in attesa che l’eutanasia diventi legale anche da noi, è meglio prendersi qualche momento di pausa per riflettere, perché magari c’è la possibilità di salvarlo il beneamato sistema; ciò però non va fatto semplicemente rimettendolo in piedi come era prima, magari imbottendolo di farmaci in modo da farlo “tirare avanti” ancora per un po’… Il capitalismo, o meglio questo capitalismo, va migliorato, corretto, insomma guarito completamente prima di venire dimesso; e la cura è a portata di mano, più di quanto lo si possa immaginare. Può anche essere che la crisi in corso, come tanti insinuano (o meglio sperano), sia solo una fase di recessione che, come affermava Schumpeter, è intrinseca in questo sistema economico e rappresenta soltanto un periodo di transizione, prologo di una successiva fase di innovazione tecnologica dei prodotti e del mercato; ma perché non approfittare dell’occasione per meditare sui difetti dell’attuale regime economico e sull’opportunità di renderlo migliore? Per riuscire nell’intento però sarebbe necessario fare esercizio di riflessione e di forte autocritica, pratica che purtroppo sembra essere caduta in disuso tra i più. Ed è così che la colpa della crisi ricade sul sistema in sé e non tanto sui suoi interpreti: tutti criticano aspramente lo stato delle cose in cui hanno creduto fino a ieri (peraltro senza proporre alcuna miglioria), salvo poi essere i primi a rigettarvisi nel momento in cui le acque si saranno calmate. Il dato di fatto è che il capitalismo, nella sua odierna interpretazione, non può funzionare; ci si può illudere che lo faccia per un periodo più o meno lungo, ma si è costretti a ricredersi nel momento in cui i suoi difetti emergono inesorabilmente. Tante sue lacune potrebbero esser menzionate, ma ci si può limitare ad alcuni esempi. Il primo fondamentale problema riguarda l’eccessiva centralità dell’individuo: infatti, per quanto possa sembrare contraddittorio, pur avendo portato alla globalizzazione dei mercati (che è in sé stessa criticabile) l’attuale sistema stimola uno sfrenato individualismo che conduce l’uomo a badare solo alla propria felicità (sistematicamente associata al possesso di denaro), tutt’al più prestando attenzione anche a quella di una cerchia ristretta di amici e/o famigliari. Ecco quindi che l’idea di collettività è completamente scomparsa, annullando il valore del prossimo e del diverso; se aggiungiamo anche la perdita di valori etici, il quadro da questo punto di vista diviene completo. In secondo luogo il capitalismo moderno non è più fondato sul lavoro e sulle capacità personali, ma solo sulla furbizia e la disonestà; lo scopo non è più il creare ricchezza per sé fornendo un servizio utile alla comunità (citando von Mises, “essendo in sé stessi fine e mezzo”), ma è ormai piuttosto l’arraffare quanto più denaro possibile imbrogliando e raggirando persone ed istituzioni; di questo se ne saranno certamente accorti anche gli imprenditori onesti, che tuttora interpretano nel giusto modo i principi del sistema. Se non bastasse, le aziende possedute da Tizio (il cui scopo è unicamente contare il denaro guadagnato alla fine dell’anno) sono amministrate da Caio (e questo è il caso dei manager indicati come i principali colpevoli della crisi), il quale cercherà soltanto di ottenere il massimo remunero per l’azienda (e possibilmente e preferibilmente anche per sé) senza curarsi del modo in cui tale guadagno è ottenuto. Queste prime due peculiarità portano inevitabilmente ad un’eccessiva e crescente disuguaglianza sociale. I Paesi occidentali poi, che dovrebbero essere paladini di libertà e democrazia, hanno sempre (ripeto, sempre) attuato una strategia volta a limitare la realizzazione di tali principi in giro per il mondo più che ad espandere la presenza dei principi stessi negli altri Paesi, dapprima con il colonialismo propriamente detto, sfrontato e spietato, poi con la politica della guerra, più subdola e meschina. E tutto questo per quale motivo? Non di certo per “donare” democrazia e libertà a popoli che ne sono privi, ma solo per mantenere lo status quo. Ultimo esempio in merito è l’escalation a Gaza, con l’aggiunta del fatto che in questo caso l’opinione pubblica occidentale, pur vivendo nei Paesi che sono tra i maggiori responsabili del conflitto, vede la guerra come se fosse una scaramuccia tra fazioni, liberandosi totalmente dal peso morale che invece su di essa dovrebbe gravare. Ed allora è il caso di essere sinceri e coscienti e chiederci: ma se questo è il prezzo che gli altri devono pagare, vale davvero la pena mantenere vivo il nostro sistema? Infine bisogna considerare che finora si è trattato l’ambiente che ci circonda come un bene senza prezzo, anche se a spese di esso si è creata molta ricchezza: insomma l’uomo ha sempre goduto di un capitale inestimabile chiamato Natura, pur senza assegnarvi il giusto valore; lo sfruttamento indiscriminato dell’ambiente conseguente al regime consumistico che si è instaurato ha portato ad un’insostenibilità profonda e a degli eccessi di cui ora ci si comincia a rendere conto. I segnali che l’ambiente ci manda possono diventare un’opportunità per correggere il tiro e riuscire a trovare la cura per questo moribondo, anche se purtroppo (e duole dirlo) sarà difficile invertire la rotta senza la promessa di un riscontro economico. Ecco allora che si rende necessario un profondo rinnovamento culturale, morale e sociale, nonché una nuova adozione di profondi valori etici, se si vuole che l’economia di mercato possa continuare ad esistere mantenendo ciò che in essa vi è di buono; ma probabilmente questa è pura illusione, ed allora è meglio sperare che questa crisi sia più aspra delle previsioni, aspettando che le condizioni del degente peggiorino e preparandone le esequie ...

Un non-economista di professione

2 commenti:

  1. Egregio non economista di professione,
    Innanzitutto complimenti per il tuo post. Ciò che scrivi è in gran parte condivisibile. Ma chi sei? Perché ti nascondi dietro a quest'etichetta anonima? La tua in fondo è un opinione ragionevole. Tuttavia permettimi di porti alcune domande.
    Dici che vi è oggi un'eccessiva centralità dell'individuo. Vero. Però chi dice che sia solo un male? Se la guardi in un'ottica storica infatti, la valorizzazione dell'individuo ha avuto effetti fenomenali; cito a memoria e rapidamente: maggiore dignità e rispetto della donna, maggiore tutela dei diritti umani, maggiore benessere per un maggior numero di persone. Vuoi forse dire che il capitalismo dell'800 è migliore di quello "ruggente" degli anni '90 (vera culla ideologica della presente crisi)? Perché, la massima felicità individuale, non può avere effetti positivi sulla collettività? Davvero credi che il povero o il diverso o il disabile stavano meglio quando il capitalismo non c'era o era in catene?
    Secondo problema. Dici che il capitalismo moderno è fondato sulla furbizia e sulla disonesta. Beh, questa forse è l'immagine del capitalismo italiano! Il capitalismo moderno secondo me è sempre di più fondato sulle capacità personali (e sempre meno sul censo e sull'eredità; meno che in Italia ovviamente!) ed è questa la ragione della crescente disuguaglianza. Ciò non esclude avanzamenti spettacolari nel nostro modo di vivere e di estenderlo ad un sempre maggiore numero di persone.
    Terzo, benché io condivida con te l'idea che il mondo sia Occidente-centrico e che colonialismo e guerre (e aggiungerei aiuti finanziari) abbiamo sempre consentito di mantenere il "Sud" in povertà. Non sono d'accordo che ciò si perpetri ancora oggi. La globalizzazione (che tu critichi) e il liberalismo in particolare hanno scardinato questo sistema. Ora il Sud compete con il Nord e talvolta, vince. Senza la necessità intrinseca del capitalismo di espandersi su nuovi mercati (Marx), ciò sarebbe stato impensabile. Ci sono dei pro e dei contro, ovviamente. E qui mi sfugge il legame della crisi del capitalismo con la situazione di Gaza, puoi spiegarmelo?
    Rimangono tre problemi:
    I valori, sono cambiati o non ci sono più? Di chi è colpa? Del capitalismo? Tu dici di si; io non sono convinto.

    L'ambiente e le risorse scarse. Come portiamo un sempre crescente numero di persone (siamo 7-8 miliardi, ragazzi!) alla felicità, senza leggere Schopenhauer, e senza distruggere il pianeta? Come ne usciamo? Probabilmente, con il capitalismo!
    La società o collettività. E' davvero morta, impotente, insieme di anime solipsistiche autointeressate? Forse, si dovrebbe chiedere ai migliaia di tossicodipendenti, a chi soffre di disturbi psichici (dall'ansia alla depressione). Da cosa nasce il disagio? Sarà forse quella vergogna prometeica di cui parlava Gunter Anders al cospetto della massima concupiscenza umana che era la macchina? Forse si, e qui chiudo il pc.
    Ma non prima di attendere tue risposte,

    Un economista (non di professione)

    RispondiElimina
  2. Vedo che il post ha stimolato un'attenta ed intelligente riflessione e ne sono contento (dopo tutto è questo lo scopo dei blog).
    A dispetto del tono volutamente provocatorio che ho usato nel pezzo, devo dirti che credo profondamente nel capitalismo, ma questo non può impedirmi di criticare gli aspetti che di esso non condivido. E penso che tutti dovrebbero interrogarsi su come affrontare questa crisi correggendo il sistema.
    Penso che sia giusto dare la possibilità a tutti di sfruttare le proprie capacità, ma credo che ci siano due errori di fondo: primo, la società in cui viviamo ci fa credere che per essere felici basti avere denaro; secondo, la disuguaglianza che si viene a creare diviene enorme (a mio parere troppo grande).
    Quanto alla disonestà, ammesso e non concesso che come dici tu sia diffusa solo in Italia, è giusto che un uomo (i finanzieri in questo caso) possa scommettere sopra la testa di persone meno abbienti riducendole sul lastrico solamente perché più capace (o semplicemente perché ha più conoscenze)?
    Venendo alla perdita di valori etici, non ho affatto detto che il capitalismo ne sia la causa, anche se il rispetto del prossimo è probabilmente scemato anche grazie al capitalismo stesso. Tant'è che considero questo sistema realmente efficace solo in Paesi in cui dei profondi valori sono radicati in ogni individuo (e i valori non discendono necessariamente dalla religione, sia chiaro, l'Italia ne è la dimostrazione). La mia idea è che la felicità individuale sarebbe più autentica se accompagnata da un livello di felicità medio più alto.
    Nel nominare la situazione a Gaza non volevo collegarla alla crisi del sistema, ma ad uno dei suoi difetti: credi davvero che se le parti in causa siano diverse e il conflitto si svolgesse altrove il mondo occidentale si comporterebbe nello stesso modo?
    Passando all'ambiente: è vero, probabilmente la via di uscita sta nel capitalismo, ma in questo caso l'inversione di rotta necessaria è obbligatoria! Cifre alla mano, considerando che altri Paesi stanno crescendo fortemente, la situazione non è affatto rosea e l'attuale regime di spreco porterebbe a fare i conti con situazioni che neanche le più grandi menti saprebbero affrontare in tempi utili.

    Per via del nome, non ritengo necessario specificarlo quando gli argomenti sono di natura generale. Mancando di fantasia per un nomignolo, ho deciso di adottare quello.

    Saluti

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