25/01/09

J.S.B. CONCERTI BRANDEBURGHESI


Nell’estate del 1720 Bach incontra nella località termale di Karlsbad Christian Ludwig, margravio di Brandeburgo, che gli chiede di scrivere una serie di composizioni per la propria cappella. Ma, al ritorno a casa, un’amara sorpresa attende il Maestro di Eisenach: l’amata moglie Maria Barbara è morta improvvisamente durante la sua assenza. Per il musicista è un colpo durissimo, destinato a segnarlo nel profondo. Nonostante il lutto, e tenendo conto che egli ha da provvedere a quattro figlioli in tenera età, Bach si getta a capofitto nel lavoro. Il progetto è creare entro breve tempo una serie di Concerts avec plusieurs instruments (come specificherà sul manoscritto originale il titolo in francese dell’opera) per il margravio, i quali in effetti verranno ultimati entro l’inverno del 1721 e saranno poi noti come Concerti Brandeburghesi. Denominazione peraltro arbitraria, dovuta al primo biografo di Bach, Philipp Spitta, che li associò alla sede del margravio, presso la quale essi però con tutta probabilità non furono eseguiti integralmente nemmeno una volta, causa la loro complessità, coniugata alla non eccellenza dell’orchestra di corte. Bach vivente, i Concerti Brandeburghesi purtroppo non conobbero quindi notorietà alcuna. Scivolati ben presto nell’oblio e riscoperti fortunosamente solo nel secolo successivo da parte di Mendelsshon, essi furono dati alle stampe esattamente cent’anni dopo la morte del compositore; ma almeno a partire da tale data la loro fama aumentò sempre più sino ai giorni nostri, tanto da venire oggi (giustamente) considerati tra i capolavori bachiani. In queste composizioni Bach, pur ispirandosi soprattutto ai concerti grossi italiani, non si fa però ingabbiare entro alcun modello compositivo tradizionale. I Brandeburghesi rappresentano perciò una novità assoluta che travalica, svecchia e rompe ogni schema. Qui il concerto solistico si affianca e si ibrida rispetto a quello cosiddetto grosso. Come ha sottolineato a suo tempo Alberto Basso, Bach propone agli orchestrali un vero e proprio “campionario” di acrobazie virtuosistiche e di innovazioni tecnico-stilistiche, attraverso un’inedita creazione musicale che – osserva con felice sintesi ermeneutica Paule du Bouchet – unisce insieme: “stile italiano, gusto francese, austerità tedesca, polifonia e omofonia, movimenti di danza e strutture contrappuntistiche”. Il Primo Concerto brandeburghese (l’unico in quattro movimenti, a differenza degli altri concerti: tutti tripartiti) di gusto francese, è caratterizzato da una struttura cosiddetta “di gruppo” che contrappone a sei fiati sei archi (oltre al clavicembalo) e vede come strumento principale il corno da caccia. Il Secondo, che risente l’influenza vivaldiana, ha come primo attore la tromba, ma prevede al contempo il felice gioco dialettico tra il “concertino” (insieme solistico di alcuni strumenti) e il resto dell’orchestra. Nel Terzo, eminentemente contrappuntistico, Bach fa intervenire i soli archi, in un disegno polifonico che non comporta preminenze solistiche, sebbene tra di essi si noti la presenza del clavicembalo. Nel Quarto, che potremmo rubricare come concerto grosso, due flauti e un violino dialogano giustapponendosi ai “tutti”; anche se nella fuga finale il violino emerge virtuosisticamente. Il Quinto Concerto brandeburghese resta senza dubbio il più celebre, popolare e amato dei sei. Oltremodo nota è l’impegnativa cadenza clavicembalistica alla fine del primo orecchiabilissimo movimento (è la prima volta nella storia della musica in cui tale strumento appare come solista in un concerto). Infine il Sesto, concepito per soli archi (ma sono assenti i violini) e basso continuo, appare quasi una sorta di sestetto cameristico dall’atmosfera intensamente espressiva, ma icastica ed eterea, quasi. Trevor Pinnock, alla guida dell’eccellente European Brandemburg Ensemble, torna a misurarsi coi Brandeburghesi dopo la sua acclamata edizione di circa 25 anni fa per la gioia dei melomani. Il risultato è un doppio CD all’insegna della correttezza filologica, contraddistinto da notevole bravura interpretativo-esecutiva e da grande affiatamento strumentale all’interno dell’ensemble che fan risaltare il fascino senza età di questi concerti bachiani davvero rivoluzionari. Non posso concludere questa breve presentazione senza citare la sua testimonianza in merito alla scelta di misurarsi con questa partitura in modo diverso rispetto alla volta precedente: “Mentre nel 1982 ero pieno del più grande rispetto per la disciplina e l’ordine di Bach, oggi apprezzo il suo senso dell’audacia e della sovversione musicale. Desideroso di evitare qualsiasi concezione limitativa dello stile dell’epoca, ho invitato strumentisti di diversi paesi e di diverse generazioni ad unirsi al mio nuovo viaggio esplorativo”. Un viaggio e un approdo musicale che mi paiono davvero riusciti.

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