31/01/09

AMAZZONIA ARROSTO


Nell'umanità varia e un po’ smandrappata che partecipa al Forum sociale mondiale di Belem spiccano per contrasto gli efficientissimi militanti di Greenpeace. Puntuali come un orologio svizzero hanno sfornato l'ultimo rapporto sulla deforestazione dell'Amazzonia. Tema obbligato, per ragioni geografiche. E, a onor del vero, ampiamente documentato. Il rapporto "Amazzonia arrosto" si concentra sull'allevamento bovino, principale motore della deforestazione nel Mato Grosso. Otto mappe, ricavate dalle immagini prodotte dal satellite Modis, sono la spina dorsale di un rapporto da leggere e, soprattutto, da guardare sul sito www.greenpeace.org. Il Brasile possiede la mandria bovina più grande al mondo e, dal 2003, è il primo esportatore di carne bovina. Il 40% dei capi bovini si trova nell'Amazzonia Legale Brasiliana che include l'intera foresta amazzonica di pertinenza del Brasile e alcune aree di savana del Mato Grosso. Nel 1990 nell'Amazzonia Legale erano allevati 26 milioni di capi bovini. Nel 2003 erano saliti a 64 milioni. Nel 2006 l'allevamento bovino occupava il 79,5% dei suoli già in uso nell'Amazzonia Legale. Lo stato del Mato Grosso, che possiede la mandria bovina più grande del Brasile, dal 1988 registra il tasso di deforestazione più alto. Export, prezzi, allevamento e deforestazione viaggiano di conserva. Nel Mato Grosso sono già stati distrutti circa 185 mila Km quadrati di foresta (un'area pari a due volte l'Ungheria). Le infrastrutture (strade, macelli, centri abitati) funzionano come volani e moltiplicatori della deforestazione. Le mappe evidenziano macelli «non registrati» al Servizio d'ispezione federale e strade che «ufficialmente» non esistono. Queste ultime permettono agli allevatori di accedere a remote aree forestali che a volte distano centinaia di chilometri dai macelli. Il Brasile è al quarto posto nella classifica globale dei paesi produttori di gas serra. La deforestazione e il cambio d'uso dei suoli forestali causa il 75% delle emissioni del Brasile. Il 59% di questa percentuale proviene dalla deforestazione della regione amazzonica. L'ultima parte del rapporto elenca le buone ragioni della campagna "deforestazione zero". Ne ricordiamo qualcuna. L'Amazzonia conserva tra gli 80 e i 120 miliardi di tonnellate di carbonio. Se tutta l'Amazzonia andasse in fumo, finirebbe in atmosfera una quantità di gas serra pari a cinquanta volte quella prodotta dagli Stati Uniti in un anno. L'ecosistema Amazzonia rende possibile l'esistenza di 40 mila specie di piante, 427 mammiferi, 1.294 tipi di uccelli, 378 rettili, 427 anfibi, 3.000 specie di pesci. Nell'Amazzonia dimorano 20 milioni di persone. Di queste, 200 mila sono indigeni appartenenti a 180 gruppi etnici diversi. La foresta pluviale per loro è casa, rifugio, fonte di cibo, baricentro spirituale. Scorrono nell'Amazzonia il 20% dei corsi d'acqua del globo. L'umidità trattenuta dall'Amazzonia viene spostata dai venti su altre parti del Brasile e del Sud America; la diminuzione della copertura forestale fa diminuire le precipitazioni sul centro e sul sud est del Brasile, riducendo la produttività agricola. Greenpeace in coda impartisce una sfilza di ordini a Lula. Citiamo quello che ci pare meno irrealistico: al prossimo vertice di Copenhagen il Brasile sostenga un protocollo sul clima che includa un fondo internazionale per la Riduzione delle emissioni provenienti da deforestazione e degradazione (Redd) che preveda meccanismi finanziari credibili per la protezione delle foreste. L'ordine, per noi, è di mangiare meno carne.

Manuela Cartosio

1 commento:

  1. Ed in più il Brasile è fra i maggiori produttori mondiali di biocombustibile, proclamandosi così come un Paese "verde", non contando che la produzione di bioetanolo comporta deforestazione, portando ad un debito di carbonio invece che alla limitazione delle emissioni.

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