12/12/08

LO SPRECO


Del doman non v’è certezza, ma alla fine la neve è arrivata. Nei suoi giorni migliori e in quantità che quasi se n’era perso il ricordo. Ci voleva. Pensavo non nevicasse più come una volta, e invece… Anche l’Andrea Tibu me l’ha fatto notare: “Dovrai correggere il tuo sito, adesso!” alludendo alla valenza eccezionale dell’evento e alla mia leggera presa per il culo nei suoi confronti dell’anno scorso. Ha ragione il Tibu, riconosco che la lotta contro l’algido elemento questa volta è stata quasi eroica e le squadre comunali hanno avuto il loro bel daffare per risolvere la complicata situazione. Anzi, da sole non ce l’avrebbero nemmeno fatta: per fortuna in soccorso è sopraggiunta anche la fida flotta Bortolas, che con sinergica azione ha risolto con celerità i disagi dell’importuna precipitazione. Perché dico importuna? Non siamo forse in dicembre e nel bel mezzo delle Dolomiti? Certo. Dico importuna perché ormai l’unica ragion d’essere della neve, nell’immaginario della maggioranza dei cervellini locali, è quella di far fare straordinari agli insostituibili Tibu & Marmo. E io fesso che pensavo essa fosse un preziosissimo dono di Domine Dio: per imbevere le falde acquifere, per rigenerare i suoli naturali, per ritemprare lo spirito, addirittura per sciare. Invece no, per i tanti illuminati di questo paese la neve non serve proprio a nulla. Non serve neanche per sciare; ché per gli sciatori si preferisce fabbricarne un surrogato fatto d’acqua ghiacciata nebulizzata (con l’aggiunta magari di qualche additivo chimico). Ma pensa te, chi l’avrebbe detto. Ecco perché il buon Ciro da Lago (o chi per lui), nei posterni delle Noalacce, ventiquattr’ore dopo la fine delle prime precipitazioni già stava armeggiando con la sua bella batteria di pompe e di cannoni. E sì, perché con un metro di bianca naturale, agli inizi di dicembre, non puoi mica essere sicuro di farla franca per tutta la stagione! Ohibò. La “vacca” è sempre in agguato e i cambiamenti climatici, conosciuti addirittura tra gli Orsi del fondovalle teserano, incombono come la mitica spada di Damocle anche sul Centro del fondo. Ecco il punto (il dito adesso è nella piaga). Quel Centro, per renderlo praticabile ai buontemponi che lo stondano gratis di domenica con gli sci, costa annualmente al Comune (dunque anche alla maggioranza del popolo che non lo stonda affatto) all’incirca 140.000 euro. Domanda: ma perché allora, dopo una nevicata di questa portata e un’altra alle viste, riattaccare i cannoni? È una pazzia, oltre che un delitto contro il patrimonio! Ma no, no, ora capiamo. È che a Tesero non ci si vuole proprio far mancare niente, e poiché di questi tempi vanno di moda i dissesti finanziari sarebbe stato stupido approfittare della favorevole contingenza meteorologica per risanare la nostra bad company! E poi è talmente raro che la neve nevichi che, per deformazione professionale, si preferisce produrla “da terra” ogni volta, a prescindere. Anche quando sulle piste ce ne sarebbe da vendere. E sennò che cosa vuoi che facciano tutti i giorni gli addetti del Centro? Li stipendiamo per cosa? Per contratto non sono mica tenuti a pensare quanto costi al popolo il loro pazzesco intrigare. Quindi, tranquilli. Nonostante la Provvidenza, che bontà sua, una tantum, ci aveva messo una pezza, anche quest’anno a pagare ci penserà Pantalone. E dato che è un pagare indiretto e unitariamente impercettibile, al singolo paesano (con rare eccezioni) poco gliene importerà. Fa specie però che con tutti i leghisti che ci sono in paese, sempre pronti a ululare, a coraggiosa distanza, Roma ladrona, non sia passato per la testa a nessuno di essi di guardare appena un po’ più sotto e almeno belare …Lago ladrina!

L’Orco

11/12/08

SISTEMA FANTASMA


Un fantasma si aggira per la crisi, ed è il termine «sistema», con tutte le sue varianti: «sistemico», «di sistema». Come nelle sedute spiritiche gli ectoplasmi compaiono sempre al momento opportuno, così ora il «sistema» viene evocato a ogni piè sospinto dagli sciamani dell'economia. Chiamare in causa il «sistema» è un modo di dire che quel che accade in questi mesi non è colpa di nessuno. Così, il ministro del Tesoro Usa, Henry Paulson, parla di «rischi sistemici» per la finanza mondiale. E uno dei più importanti consiglieri di Barack Obama, Robert Rubin (egli stesso ex ministro del Tesoro sotto Bill Clinton) difende il suo operato a Citigroup - da cui ha ricevuto dal 1999 a oggi la modesta sommetta di 115 milioni di dollari - dicendo che ad affondare questa banca non sono state le sue scelte strategiche, bensì una «crisi sistemica». Il sistema diventa così il perfetto capro espiatorio: è anonimo, imprendibile, irraggiungibile, ci sovrasta come nuvola, ci permea come nebbia. La responsabilità del sistema assolve da ogni colpa quei banchieri, agenti di cambio, consulenti finanziari, operatori di borsa che ora l'opinione pubblica statunitense vorrebbe vedere processati per direttissima, condannati e rinchiusi in qualche carcere di massima sicurezza: la sete di vendetta brucia sempre di più nei confronti dei propri ex-idoli. La sinistra Usa fa già pressione perché con Obama il nuovo Senato costituisca subito una commissione d'inchiesta sull'operato dei grandi finanzieri. Ma gli stessi stregoni che lo evocano con le loro formule magiche, vogliono che il sistema mantenga il suo statuto fantasmatico. Infatti nessuno di loro trae la logica conseguenza delle proprie parole: se la crisi è «sistemica», tali dovrebbero essere anche i rimedi. E invece no. Nessun responsabile dell'economia afferma di voler «correggere il sistema». Non possono dirlo per la semplice ragione che tutti loro hanno contribuito a creare questo sistema: sia Paulson e Ben Bernanke (governatore della Federal Reserve) scelti da George Bush; sia Larry Summers (ex ministro del Tesoro sotto Clinton), Tim Geithner (governatore della Federal Reserve di New York), e Paul Volcker (ex governatore della Federal Reserve) scelti da Obama: sono proprio loro - chi prima, chi dopo - ad aver sregolato i mercati finanziari, allentato i controlli, incitato la finanza allegra. In questo senso, la scelta di Volcker richiama quella di Padoa Schioppa da parte di Romano Prodi: è il vecchio che avanza. Gli unici che osano dire «bisogna cambiare il sistema » sono due premi Nobel dell'economia, Paul Krugman e Joseph Stiglitz (nessuno dei due chiamato a far parte della squadra dei consiglieri di Obama). Stiglitz diceva pochi giorni fa in un'intervista a Repubblica che «bisogna riscrivere le regole del sistema ». Ma sono due opinionisti isolati, per quanto influenti. L'unica speranza è che la profondità stessa della crisi porti i paladini del laissez-faire a prendere misure di sinistra. Succede già: l'ultraliberista amministrazione Bush ha di fatto inaugurato un'era di nazionalizzazioni, ha adottato - senza dirlo - il modello Iri, quello delle banche a partecipazione statale. Ma, appunto, lo fa di nascosto, senza confessarselo. L'ideologia liberista è magari in crisi verticale, però non la soppianta nessun nuovo keynesismo: loro stanno perdendo, ma noi non stiamo vincendo (nel mondo reale i giochi non sono mai a somma zero). Il tentativo in corso da parte della squadra di Obama sta tutto qui: risolvere una crisi sistemica senza cambiare radicalmente sistema. Obama ha già più volte annunciato l'avvio di poderose opere pubbliche e il varo di una politica d'investimenti eco-tecnologici e non potrà non salvare l'industria dell'auto (fu così che Alfa Romeo finì in mano pubblica). Ma il tentativo della sua squadra è di contenere al massimo proprio i mutamenti «sistemici». Tutti attribuiscono la crisi alla deregulation , ma nessuno degli uomini di Obama parla di regulation . L'incentivo alla domanda è un classico strumento keynesiano, ma cercano di ottenerlo con i più ortodossi strumenti del monetarismo e della supply side economics : riduzione delle tasse e conio di carta moneta (infusione di liquidità nei circuiti finanziari e riduzione del tasso di sconto, ormai inferiore al tasso d'inflazione: cioè il denaro lo stanno regalando). Però nessuno osa affrontare i due nodi centrali della crisi: 1) sotto l'aspetto finanziario, l'anarchia globale dei mercati è insostenibile e - se gli stati nazionali non sono all'altezza - deve comunque esistere un sistema di regole internazionali che limiti l'arbitrio degli gnomi della finanza; 2) nell'economia reale, non è possibile pretendere consumi sostenuti se il nerbo della forza lavoro è malpagata e precaria, se è «flessibile». L'unico modo in cui questa magia vudù ha potuto avverarsi negli ultimi 30 anni è stato con un indebitamento crescente dei privati cittadini Usa e degli Usa nei confronti dell'estero. Senza parlare del modello di sviluppo da correggere in modo drastico perché - ora è comprovato - lo sviluppo non può consistere nella crescita illimitata dei consumi. Barack Obama ha di certo la migliore volontà del mondo. Però un sistema non si autoemenda da solo, non basta la crisi. Se non ci sarà una pressione dal basso, è quasi inevitabile che gli esponenti dell'ancien régime cerchino di limitare i danni, di traghettare il sistema per quei cinque anni che - a detta di tutti - saranno necessari per tornare a regime, se mai vi si tornerà. Come gli italici democristiani all'epoca di mani pulite, cercheranno di «passare la nottata». Ricordiamo che il New Deal non nacque - come Atena dalla testa di Giove - dalla mente illuminata di Franklin Delano Roosevelt, bensì dalla più grande ondata di movimenti popolari che la storia degli Stati uniti ricordi. Ma quest'ondata non è da escludere. Soprattutto se la situazione peggiora, come a ragione pronostica Obama. Se persino l'ultraliberista Bush è addivenuto alle partecipazioni statali, anche deregulators come Summers, Rubin, Volcker e Geithner potranno magari subire una metamorfosi e, novelle crisalidi, convertirsi alla socialdemocrazia. O almeno al capitalismo renano.

Marco D’Eramo

08/12/08

LA SCELTA NEO-CONTADINA


Il Sistema attuale capitalista avanzato-consumista, eco-sociodistruttivo non è recuperabile dall’interno: è strutturalmente votato alla catastrofe. Non è possibile né opportuno combatterlo e sconfiggerlo militarmente, né è sufficiente, coerente, efficace, combatterlo puramente su un piano culturale di informazione continuando nei fatti ad alimentarlo con la nostra vita sul piano economico-materiale strutturale. Cultura e informazione sono, sì, aspetti importanti che non possono essere ignorati, ma alla fine un’alternativa dovrà essere praticata concretamente e sarà solo quello che potrà, al “dunque”, cambiare le cose. È assolutamente necessario cominciare a realizzarla nei fatti in prima persona. Bisogna avere il coraggio della “povertà di spirito” (nel senso evangelico del termine): tagliare le chiacchiere e cominciare a fare qualcosa di radicalmente concreto. Non stare a sentire chi dice “non è così semplice”, “non si può risolvere tutto così”, ecc. Non si risolverà certo tutto così, senz’altro. Ma sarà anche sempre meglio che star a disquisire e rimarcare “distinguo” o immaginare scenari futuri all’ultima moda mentre si continua ad alimentare nelle piccole cose della propria vita il disastro incombente. Diciamo pure la verità: quanti brillanti intellettuali ecologisti, attivisti di sinistra, politicamente corretti e quant’altro, se (per pura ipotesi) anche sapessero con certezza matematica che bisogna vestire tute da lavoro e zappare, accontentarsi di passare le serate davanti al camino, come unica possibilità per salvare il pianeta, semplicemente lo farebbero e quanti invece troverebbero infiniti argomenti giustificativi per mantenere la gratificazione che gli dà il loro status ed allontanare il momento di comportarsi secondo quanto coerentemente dovrebbe discendere da ciò che dicono? Allo stesso modo non è neppure il caso di stare ancora a sentire chi dice che andando in campagna ci si sottrae alle proprie responsabilità verso la società o l’umanità o comunque i propri simili in senso ampio. Vale un discorso analogo: molti di coloro che oppongono questa obiezione chiamano “lottare” il loro puro e semplice esprimere opinioni, peraltro in un contesto democratico in cui questa è una facoltà del tutto priva di rischi. Spesso neanche ci si accorge che nella storia contemporanea, alla progressiva tolleranza del potere per le posizioni politico-culturali anche le più eccentriche, è andato di pari passo lo scivolamento del piano sul quale si prendono le vere decisioni che contano, dalla politica all’economia (materia riservata agli specialisti) e, per quanto concerne l'aspetto che più riguarda il popolo, dalla partecipazione democratica alle tendenze nel consumo. In questo contesto si possono tranquillamente manifestare pubblicamente le prese di posizione più eterodosse: servono a suscitare applausi o fischi (buoni entrambi per l’audience) nei talk show televisivi, tanto, a parte un po’ di colore, che ci sta sempre bene (nella migliore tradizione del panem et circenses), lasciano esattamente il tempo che trovano. Perché di parole, opinioni, informazioni ne abbiamo così tante che non è più lì che prendono forma le cose. Il neo-contadino (n-c), invece, ben lungi dal voler ignorare il proprio coinvolgimento nel percorso umano su questa Terra, si prende, a ben vedere, la responsabilità suprema, perché dedica tutta la propria vita, non solo nel tempo, ma nella molteplicità degli aspetti, a realizzare concretamente una soluzione alternativa sperimentandone su di sé la praticabilità nel contesto dato in cui si trova. Senza aspettare “il sol dell'avvenire”. La differenza però, dal suo punto di vista, è che oggi le vere questioni all’ordine del giorno non sono quelle correntemente presenti nelle notizie d'attualità o nel quotidiano dibattito politico e culturale rispetto alle quali ha un interesse molto relativo. Il passaggio storico nel quale ci troviamo coinvolge fenomeni di una tale portata che mettono all'ordine del giorno né più né meno che alcune tra le domande da sempre fondamentali per l’umanità, ovvero quelle che riguardano il nostro posto sulla Terra ed il senso del nostro vivere. Noi siamo di fronte alla possibilità reale di stravolgimenti climatico-ambientali (con tutte le conseguenze sociali, sanitarie, economiche, belliche ecc.) epocali e stiamo normalmente a discutere di banalità, pettegolezzi o quantomeno argomenti molto secondari. Ciò dipende probabilmente dal fatto che su questi troviamo il modo di esercitarci dialetticamente e fare la nostra figura, mentre davanti a ciò che davvero incombe su di noi non sappiamo cosa dire. Al punto che preferiamo non parlarne. Al massimo come informazione, interpretazione di dati, sì. Ma sul perché andiamo avanti spediti pur sapendo verso quale disastro stiamo correndo? La vera questione all’ordine del giorno oggi è proprio l’assenza delle questioni di fondo che pure sono qui davanti ai nostri occhi, appena velate dai fatti in cui ci si mostrano, dal dibattito, dalla discussione tra le persone, dalle motivazioni che ispirano i nostri sforzi. Corriamo in una automobile che sfreccia verso il precipizio e stiamo discutendo di che marca è migliore la benzina o se ci piace più il modello coupé o la berlina. Possibile a nessuno venga in mente di frenare, tirare il freno a mano, spegnere il motore e chiedersi un momento dove stiamo andando e perché? Se ha un qualche senso parlare di “fine della Storia” non è certo a causa delle elucubrazioni di Fukuyama, ma perché, con ogni evidenza, oggi l'essere umano si sta dimostrando un bambino che gioca con una bomba, e una bomba più grande di lui. È perché è arrivato il momento di tirare le fila della Storia, prima che sia troppo tardi: capire veramente cosa ci muove, capire veramente dove stiamo andando e perché. Agli dèi e agli ideali non ci crediamo più. Bene; ma non è il caso di continuare a trastullarci con i loro surrogati né di annegare in un nichilismo non dichiarato per non voler fare i conti con noi stessi ed il percorso che ci ha portato fino a qui. Se il n-c si sottrae alle schermaglie politiche d’attualità, ciò è precisamente rivendicato, perché oggi è il momento di interrogarsi e praticare, sperimentare soluzioni, sulle questioni di fondo. Come possiamo trovare il modo di viverci bene su questo pianeta. Bene per noi e per gli altri e per il pianeta stesso. C'è qualcuno che lo può insegnare? Forse sarà bene che cerchiamo di trovarne il modo noi, direttamente, perché le menti più raffinate preferiscono discuterne - e del resto non hanno mica studiato tanto per poi mettersi a zappare! Non è che io voglia sminuire l’importanza del ragionare sulle cose né del conoscerle: non starei a scrivere tutte queste cose forse anche noiose se fosse così. Dico solo che bisogna anche agire. Anzi, prima agire, e poi parlarne. Allora, non è un male se l’agire del n-c si svolge fuori dalla mischia, in zone “marginali”, di campagna: lì non verrà notato e il nuovo sistema di vita che costruirà avrà il tempo di crescere indisturbato, prenderà piede e metterà radici come il germe di un’economia auto-prodotta. Così non sarà più solo “ai margini”, ma sarà proprio dal di fuori del Sistema che continuerà a costruire una realtà di cui si potranno vedere le caratteristiche, in certa misura, oggettivamente diverse dal mondo che la circonda. Da questo “fuori” il n-c aspetta il momento in cui il Sistema crollerà da sé. Oppure in cui si accorgerà di dover fare una metamorfosi, se si vorrà salvare. Questa metamorfosi avviene attraverso una serie numerosissima di scelte individuali che sono già qualcos’altro mentre sono ancora parte di ciò che c’era prima. È il processo naturale con cui avviene l’evoluzione delle specie, come quando un bruco diventa una farfalla. Ed è il processo che compie man mano il n-c e, attraverso molti come lui, forse la società stessa potrebbe farlo. Indubbiamente durante l’evoluzione molte specie anche si estinguono, e non c’è il lieto fine assicurato per nessuno (neanche per i più forti). Ma una cosa è certa: quando il bruco sente il momento di trasformarsi in farfalla, che quello è ciò che va fatto, non si mette lì a distinguere se è opportuno, se è realistico, se progressista, da conservatori o utopistico ecc… ecc… Si mette lì e realizza la sua trasformazione. E, se la sua intuizione è stata corretta, tutta la Natura lo sostiene. Questo non vale solo per il bruco attuale, risultato di millenni di un processo metamorfosale collaudato, ma anche per quei “proto-bruchi” che per primi hanno sentito di rispondere alle condizioni ambientali in questo strano modo. Hanno cominciato a mettersi lì e costruirsi il bozzolo: l’hanno semplicemente fatto. E continuando per alcune generazioni hanno realizzato su sé stessi una nuova forma del vivere, che funziona bene nel contesto del pianeta, tanto che ancora i loro discendenti vivono così. Non credo che quei primi bruchi avessero un programma chiaro di ciò che andavano a fare: hanno solo sentito chiaramente che ciò andava fatto in quel momento e semplicemente l’hanno fatto. Non è che avessero lo scopo di diventare farfalle: ci sono diventati rispondendo alla situazione. La nostra vita è qui ed ora: non dobbiamo sacrificarla in nome di qualche ideale astratto o in vista di un domani teorico. La via per la quale togliamo sostegno al Sistema, la nostra soluzione sul piano politico, deve essere anche la nostra via di salvezza sul piano esistenziale, deve restituirci senso nell’atto stesso del percorrerla. E deve rendere le nostre personali vite più degne di essere vissute per come noi stessi le percepiamo. La nostra vita è inoltre tutto ciò che abbiamo come individui ed è la nostra autentica realtà vissuta: è a partire da questa che possiamo fare qualcosa di concreto, di percepibile, di verificabile. La strada per la quale possiamo costruire una soluzione sia per noi stessi come singoli/famiglie/piccoli gruppi che per la società in generale deve viaggiare sul piano degli elementi basilari, costituenti iniziali, della società ovvero ancora su la nostra vita come individui in primo luogo e poi nell'ambito della cerchia di relazioni alla nostra diretta portata. Si tratta necessariamente di una portata molto limitata, ma è altresì quella che ci dà una misura di realismo e di realtà, all’interno della quale ben vediamo come le chiacchiere stiano a zero. Qualcosa di percepibile, che ci dà il passo al quale dobbiamo camminare, lento, ma possibile, che ci mostra pure che pian piano andiamo avanti. E che anche ci permette di mostrare qualcosa di concreto agli altri; qualcosa di vissuto e di praticabile. Lo stile di vita da seguire deve essere tale che, se per pura ipotesi teorica tutti vivessero così, possiamo immaginare che ci sarebbe da vivere dignitosamente bene per ognuno ed il pianeta e la natura, così come la conosciamo oggi, potrebbe continuare a vivere senza traumi per un tempo indefinito. Questo è un buon metro di giudizio di massima per valutare quello che stiamo facendo ed anche quale sia un livello accettabile di tecnologia (e ricambio di attrezzi tecnologici) e di consumi. Un sistema di vita che corrisponda a questi requisiti - certo non il solo che abbia umanamente dignità e valore, non è di questo che si sta parlando - forse l’unico che davvero ci rientra del tutto, è certamente quello che si incentra sull'agricoltura contadina, agricoltura di sussistenza o comunque di piccola scala. Non a caso il sistema di vita col quale la gran parte dell'umanità ha sempre vissuto e con cui vive anche oggi in realtà, se consideriamo la totalità del mondo, ed è probabilmente per questo che ancora il pianeta riesce a sopportarci. Già oggi non potrebbe più essere così se tutti gli umani fossero passati alla modernità industriale/consumistica. Sebbene si possano immaginare altri stili di vita o tipi di sostentamento che non siano quello contadino anch'essi eco-compatibili (per esempio quelli basati sulle produzioni artistico-culturali o artigianali o di tipo ascetico-filosofico-religioso), questi lo sono solo se limitati a più o meno piccole minoranze di individui all'interno di una società. Ma nessuna società nel suo complesso può sussistere vivendo o incentrandosi su queste basi. Queste minoranze specializzate hanno bisogno di coloro che gli forniscano ciò che non producono e che gli è invece basilarmente necessario, tanto che non potrebbero vivere senza, mentre ciò che esse danno in cambio non lo è altrettanto. Un contadino può anche, nel tempo libero, suonare o dipingere, ma chi è professionalmente artista non produce il proprio cibo. Una società (ma oggi come oggi bisogna parlare di umanità dato che l'economia è globalizzata ed il suo impatto ambientale avviene su scala planetaria), o una parte considerevole di essa, che volesse trarre il proprio sostentamento solo dall'arte o dalla cultura, avrebbe necessariamente bisogno di un'altra parte, pure considerevole, che dovrebbe fare in misura maggiore tutti i lavori fisici atti a soddisfare i bisogni materiali della prima. Questa si troverebbe così a essere dominante e sfruttatrice per il tempo che sottrae all'altra se non anche per il denaro: la parte sfruttata rimarrebbe confinata nell'ambito del proprio ruolo di lavoro fisico e non potrebbe accedere alle produzioni della parte “culturale” neppure in modo passivo. Ne seguirebbe un distacco sempre più netto delle due parti, che finirebbero per ruotare ognuna dentro al proprio mondo, per quanto bene il lavoro fisico possa venir pagato. A questo va aggiunto che, se si volesse alleviare significativamente la fatica fisica di questa massa di lavoratori ed attuare uno spostamento crescente di persone verso occupazioni più culturali, sarebbe allora tutto l'ambiente naturale a non poterlo sopportare dato l'enorme impiego di macchine ed energia che sarebbe necessario. Consideriamo dunque le cose a livello di massa: pensando ad uno stile di vita/occupazione lavorativa che possa essere ecosotenibile nel senso detto sopra anche se esteso a livello della generalità degli individui di una società, questo è solo quello contadino (e non genericamente “agricolo”, ma contadino, cioè su piccola scala - ed, ovviamente, biologico). Va da sé, come già detto, che questo non significa pensare che una società dovrebbe, né potrebbe, essere composta esclusivamente da contadini al 100%, questo è chiaro. Ma una società è agricola (come anche industriale, o di terziario avanzato, o pastorale-nomade, o neo-contadina) quando la grande maggioranza, la generalità delle persone vive nel modo corrispondente al modello produttivo che la caratterizza o in modo variamente influenzato da questo e quando, di conseguenza, tale è il settore economico portante per questa società. Settore che dà anche l'impronta al modello culturale. Ciò significa altresì che tale stile di vita si pone come quello più comune, più normale, alla portata di tutti, attraverso il quale la maggioranza degli individui possono vivere di occupazioni condivise e riconosciute come normali, cercandovi soddisfazioni normali mettendo a frutto capacità ed aspirazioni normali, dove per “normale” si intende ciò che è comunemente diffuso nella considerazione e nelle aspettative delle persone.

Sergio Cabras

07/12/08

L'IPOCRISIA DEL CORRIERE DELLA SERA


Blandamente criticato da Stampa e Corriere della Sera per una misura in fondo marginale come l’aumento dell’Iva a Sky (che non è come dice Veltroni, una Tv per tifosi squattrinati - quelli vanno allo stadio, in curva - ma per gente benestante) Silvio Berlusconi ha affermato che i direttori di questi due giornali dovrebbero cambiare mestiere. Il presidente del Consiglio ha detto testualmente: “In tanti dovrebbero cambiare mestiere, direttori di giornali e politici, ho visto che la Stampa ha titolato Berlusconi contro Sky, ho visto le vignette del Corriere della Sera, ma che vergogna... dovrebbero avere tutti più rispetto per se stessi e fare un altro mestiere”. Ha ragione: se non per la Stampa senz'altro per il Corriere della Sera. Ma in senso diametralmente opposto a quello che gli dà il premier. La responsabilità del Corriere della Sera un giornale dalle grandi tradizioni liberali e che si presenta tutt’oggi come liberale, è di aver non solo avallato ma sostenuto in questi decenni, attraverso i suoi principali editorialisti, Ernesto Galli della Loggia e Angelo Panebianco (nelle cronache è stato invece più equilibrato) le posizioni e le azioni illiberali del Cavaliere. Il duopolio Rai-Fininvest (poi Mediaset) è il contrario di un assetto liberal-liberista perché, come insegnano al primo anno di Economia, e come scrivevano i padri di questo sistema, Adam Smith e David Ricardo, ammazza la concorrenza che è l’essenza stessa del liberal-liberismo e la cui mancanza è particolarmente grave nel settore dei media televisivi che sono il ganglio vitale di ogni moderna liberaldemocrazia. Un colossale conflitto di interessi che si espande dal comparto televisivo a quello editoriale, immobiliare, finanziario, assicurativo e arriva fino al calcio, e di cui ci si accorge solo quando tocca anche i propri interessi (che è il caso di Sky). Le leggi “ad personas”, per salvare gli amici dalle inchieste giudiziarie, e “ad personam”, per salvare se stesso, il “lodo Alfano”, ledono un altro principio fondante di una liberaldemocrazia: l’uguaglianza di tutti i cittadini da vanti alla legge. Ma più gravi ancora sono state, a mio avviso, le continue e devastanti aggressioni alla Magistratura italiana, la sua delegittimazione. In terra di Spagna, davanti a tutta la stampa internazionale, allibita, Berlusconi dichiarò che “Mani pulite”, cioè inchieste e sentenze della magistratura del suo Paese, di cui pur era premier, erano state una “guerra civile”. Non c'è stata volta in cui Berlusconi o i suoi amici politici sono stati raggiunti da provvedimenti giudiziari che i Pm e i giudici non siano stati accusati di “uso politico della giustizia”, un reato gravissimo peraltro mai dimostrato, fino ad affermazioni generiche ma non meno gravi: “i giudici sono antropologicamente dei pazzi”, “la magistratura è il cancro della democrazia”. E così adesso anche Paolo Mieli si becca della “toga rossa”. E ben gli sta. E anche all'inaudito volgare e violento attacco di Berlusconi, il Corriere ha reagito con un corsivetto tremebondo e una cronaca in cui la metteva sull'umorale. Questo atteggiamento supino del Corriere, il più importante quotidiano italiano, non ha fatto il bene del Paese né dello stesso Presidente del Consiglio. Lasciatagli passare, passo dopo passo, ogni cosa, il Cavaliere, che antropologicamente non conosce il senso del limite, si sente ormai autorizzato a tutto. Recentemente ha avuto la protervia di accusare le Reti televisive nazionali che pur controlla per i 3/4 di “denigrarlo”, di “insultarlo”, di essere “disfattiste” (bruttissima parola di fascistica memoria), di parlar troppo della crisi economica e quasi quasi di esserne la causa. Presidente del Consiglio, padrone assoluto del Parlamento, padrone del centrodestra, se si eccettuano la Lega e l’Udc di Casini che ha avuto il coraggio morale di smarcarsi, padrone del sistema televisivo, ricco più di Creso, Silvio Berlusconi è ormai il padrone pressochè assoluto del Paese. E nessuno può più fermarlo. Una situazione che con la liberaldemocrazia non ha nulla a che vedere. E il Corriere della Sera ne è per la sua parte, che è una notevole parte, corresponsabile.



Massimo Fini

INCANTO NOTTURNO

INCANTO NOTTURNO
Sara

LE OCHE E I CHIERICHETTI

LE OCHE E I CHIERICHETTI
Bepi Zanon

TESERO 1929

TESERO 1929
Foto Anonimo

PASSATO

PASSATO
Foto Orco

ANCORA ROSA

ANCORA ROSA
Foto Archivio

VIA STAVA ANNI '30

VIA STAVA ANNI '30
foto Anonimo

TESERO DI BIANCO VESTITO

TESERO DI BIANCO VESTITO
Foto Giuliano Sartorelli

LA BAMBOLA SABINA

LA BAMBOLA SABINA
Foto Euro

LA VAL DEL SALIME

LA VAL DEL SALIME
Foto Euro

SEBASTIAN E IL BRENZO DI BEGNESIN

SEBASTIAN E IL BRENZO DI BEGNESIN
Foto di Euro Delladio

MINU

MINU
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