10/05/08

LA DOMENICA DELLE SALME


Tentò la fuga in tram
verso le sei del mattino
dalla bottiglia di orzata
dove galleggiava Milano
non fu difficile seguirlo
il poeta della Baggina
la sua anima accesa
mandava luce di lampadina
gli incendiarono il letto
sulla strada di Trento
riuscì a salvarsi dalla sua barba
un pettirosso da combattimento.
I polacchi non morirono subito
e inginocchiati agli ultimi semafori
rifacevano il trucco alle troie di regime
lanciate verso il mare
i trafficanti di saponette
mettevano pancia verso est
chi si convertiva nel novanta
era dispensato nel novantuno
la scimmia del quarto Reich
ballava la polka sopra il muro
e mentre si arrampicava
le abbiamo visto tutto il culo
la piramide di Cheope
volle essere ricostruita in quel giorno di festa
masso per masso
schiavo per schiavo
comunista per comunista.
La domenica delle salme
non si udirono fucilate
il gas esilarante
presidiava le strade.
La domenica delle salme
si portò via tutti i pensieri
e le regine del tua culpa
affollarono i parrucchieri.
Nell'assolata galera patria
il secondo secondino
disse a "Baffi di Sego" che era il primo
si può fare domani sul far del mattino
e furono inviati messi
fanti cavalli cani ed un somaro
d'annunciare l'amputazione della gamba
di Renato Curcio
il carbonaro
il ministro dei temporali
in un tripudio di tromboni
auspicava democrazia
con la tovaglia sulle mani e le mani sui coglioni
- voglio vivere in una città
dove all'ora dell'aperitivo
non ci siano spargimenti di sangue
o di detersivo -
a tarda sera io e il mio illustre cugino De Andrade
eravamo gli ultimi cittadini liberi
di questa famosa città civile
perché avevamo un cannone nel cortile.
La domenica delle salme
nessuno si fece male
tutti a seguire il feretro
del defunto ideale
la domenica delle salme
si sentiva cantare
- quant'è bella giovinezza
non vogliamo più invecchiare -.
Gli ultimi viandanti
si ritirarono nelle catacombe
accesero la televisione e ci guardarono cantare
per una mezz'oretta poi ci mandarono a cagare
-voi che avete cantato sui trampoli e in ginocchio
con i pianoforti a tracolla vestiti da Pinocchio
voi che avete cantato per i longobardi e per i centralisti
per l'Amazzonia e per la pecunia
nei palastilisti
e dai padri Maristi
voi avevate voci potenti
lingue allenate a battere il tamburo
voi avevate voci potenti
adatte per il vaffanculo -
La domenica delle salme
gli addetti alla nostalgia
accompagnarono tra i flauti
il cadavere di Utopia
la domenica delle salme
fu una domenica come tante
il giorno dopo c'erano segni
di una pace terrificante
mentre il cuore d'Italia
da Palermo ad Aosta
si gonfiava in un coro
di vibrante protesta.

Fabrizio De André


INTERVISTA A SERGE LATOUCHE


"Lo sviluppo sostenibile? Una chimera. Siamo tutti a bordo di quella che lo studioso Bernard Hours ha chiamato 'un'ambulanza mondiale', con le Ong e i vari movimenti umanitari in veste di soccorritori al capezzale dei Paesi poveri. E tutti insieme, infermieri e pazienti, corriamo dritti verso il precipizio, ossia la totale consumazione delle risorse naturali. Ci salveremo solo se sapremo scendere in tempo, abbandonando per sempre la macchina dello sviluppo". - Vincenzo R. Spagnolo: Dunque, professor Latouche, lei sostiene che persino l'idea stessa di sviluppo e' in crisi.- Serge Latouche: Senza dubbio. La crisi della teoria economica dello sviluppo, iniziata negli anni Ottanta, si e' ormai aggravata. Con la caduta del muro di Berlino aziende e mercati avevano annunciato ufficialmente che il pianeta si era unificato. Poi l'avvento della globalizzazione ha mandato in frantumi il quadro statale delle regolamentazioni, permettendo alle disuguaglianze di svilupparsi senza limiti e segnando la comparsa del cosiddetto "trickle down effect", ossia la distribuzione della crescita economica al Nord e delle sue briciole al Sud. Dal 1950 la ricchezza del pianeta e' aumentata sei volte, eppure il reddito medio degli abitanti di oltre cento Paesi del mondo e' in piena regressione e cosi' la loro speranza di vita. Si sono allargati a dismisura gli abissi di sperequazione: le tre persone piu' ricche del mondo possiedono una fortuna superiore alla somma del prodotto interno lordo dei 48 Paesi piu' poveri del globo. In simili condizioni, lei comprende che non e' piu' di attualita' lo sviluppo, ma solo piccoli aggiustamenti strutturali. Che passano sotto il nome di "sostenibilita'" e sono invece una spaventosa mistificazione. - Vincenzo R. Spagnolo: Perche', professore? - Serge Latouche: Perche' tutte le varie espressioni "sviluppo sostenibile", "vivibile" o "sopportabile" sono solenni imposture: negli ultimi due secoli, lo sviluppo e' sempre stato contrario all'idea di sostenibilita', poiche' ha cinicamente imposto di sfruttare risorse naturali e umane per trarne il massimo profitto. Oggi il vecchio concetto e' stato rivestito con una patina d'ecologia, che tranquillizza l'Occidente e nasconde la lenta agonia del pianeta. Lo sviluppo cambia pelle, insomma, ma resta se stesso. In Africa, in nome dello sviluppo, i fedeli musulmani della localita' di Kulkinka, nel Burkina Faso, hanno deciso che alleveranno maiali. Niente e' proibito, se porta lo sviluppo. E non serve da freno la morale, ne' la cultura. Il "pensiero unico" del mercato annulla perfino le identita' nazionali: desideriamo gli stessi beni e quindi siamo tutti uguali. Senza contare i danni che il progresso tecnologico causa all'intero pianeta. La concorrenza e il libero mercato hanno effetti disastrosi sull'ambiente: niente limita piu' il saccheggio delle risorse naturali, la cui gratuita' spesso permette di abbassare i costi. - Vincenzo R. Spagnolo: Un quadro davvero sconfortante, professor Latouche. Non teme le accuse di catastrofismo? - Serge Latouche: No, perche' quello che dico e' sotto gli occhi di tutti: la concorrenza esacerbata spinge i Paesi del Nord a manipolare la natura con le nuove tecnologie e quelli del Sud ad esaurire le risorse non rinnovabili. In agricoltura, l'uso intensivo di pesticidi e irrigazione sistematica e il ricorso a organismi geneticamente modificati hanno avuto come conseguenze la desertificazione, la diffusione di parassiti, il rischio di epidemie catastrofiche. Il collasso del pianeta si avvicina, insomma, ma invece di lavorare a un'alternativa che eviti la fine delle risorse naturali, si continua a ragionare su correttivi piu' o meno efficaci, sulla "sostenibilita'" appunto. Ma cosi' si confonde il morbo con la cura. - Vincenzo R. Spagnolo: Quale'e' la cura, allora, a suo parere? - Serge Latouche: C'e' un vecchio proverbio che suona piu' o meno cosi': "se hai un martello conficcato in testa, tutti i tuoi problemi avranno la forma di chiodi". Dobbiamo levarci dalla testa il martello dell'economia, decolonizzare il nostro immaginario dai miti del progresso, della scienza e della tecnica. Far tramontare l'onnipotenza dell'"assolutismo razionale" che crede di poter assoggettare ogni cosa al suo volere, e sostituirlo col ragionevole, che si adegua alle mutate condizioni della natura. Questo e' il primo sforzo a livello concettuale. Concretamente, poi, bisogna proseguire nell'opera di contrasto della "megamacchina" dello sviluppo. - Vincenzo R. Spagnolo: E come? Con lo strumento del boicottaggio? - Serge Latouche: Ho poche speranze sul successo finale delle pratiche di boicottaggio delle multinazionali. Anche se hanno dato frutti di recente, come nei casi della Shell in Germania e della Del Monte in Kenya, non hanno verdi prospettive: i grandi gruppi economici stanno infatti reagendo rapidamente, formando cartelli in settori vitali come quello farmaceutico, agroalimentare o delle comunicazioni per impedire ai consumatori qualsiasi alternativa. Io stesso, nelle scorse settimane, volevo boicottare il gruppo Total-Fina, proprietario della petroliera Erika che ha causato il disastro delle maree nere sulle spiagge della Bretagna, e mi sono ritrovato impotente in autostrada a dover fare benzina ai loro distributori, perche' erano gli unici nel raggio di migliaia di chilometri. Insomma e' giusto far diventare, come scrive l'economista italiano Antonio Perna, un "bisogno" la scelta etica del consumatore, ma non basta. E' necessario, aggiungo io, affiancare alla guerra di trincea il concetto di "nicchia", un luogo cioe' dove progettare una seria alternativa da estendere poi a grandi settori della societa'. Io studio da anni certe economie cosiddette "informali", che sono in realta' veri e propri laboratori del dopo-sviluppo. - Vincenzo R. Spagnolo: Si riferisce al tipo di societa' basata sulle relazioni interpersonali descritta nel suo libro L'altra Africa?- Serge Latouche: Esattamente. Anche se, di fronte alla evidenza dei successi di certi "imprenditori a piedi scalzi", gli occidentali continuano scioccamente a pensare a quella africana come a un'accozzaglia di "straccioni" che sopravvive in attesa di accedere alla terra promessa della modernita', dell'economia ufficiale e del vero sviluppo. In realta' le migliaia di piccole imprese e il colorato insieme di mestieri (dalle intrecciatrici di strada ai bana-bana, commercianti ambulanti che vendono alle donne senza frigorifero olio "sfuso" o sacchetti di latte in polvere) non possono essere etichettati semplicemente come "naufraghi dello sviluppo". Essi sopravvivono perche' hanno prodotto un tipo di societa' basata non sui rapporti economici ma sul valore delle relazioni sociali e sulla logica del dono. Intendiamoci, parlo di una societa' non assolutamente affrancata dal mercato ma che, comunque, non obbedisce supinamente alla logica mercantile. In questo tipo di societa', che io chiamo vernacolare, ciascuno investe molto nei legami interpersonali, da' in prestito denaro, beni materiali e perfino tempo o lavoro. Lo fa senza pensare a un tornaconto immediato, perche' reputa importante crearsi un gran numero di "cassetti", per usare un'espressione della periferia di Dakar, cioe' di persone debitrici a cui attingere in caso di bisogno. Un po' come le esperienze che noi occidentali stiamo riscoprendo e che vanno sotto il nome di "banca del tempo" o "local exchange trade systems" (sistemi di scambio locale). - Vincenzo R. Spagnolo: Ci sono segnali di speranza quindi? - Serge Latouche: Oltre alla presenza di nuovi modelli di societa', mi conforta che le coscienze di alcuni Paesi si stiano lentamente risvegliando. Lo mostrano ad esempio i recenti fatti di Seattle. Il gigantesco baraccone del "Millennium Round" messo su' dalla World Trade Organization non e' crollato solo per le forti proteste di piazza delle organizzazioni non governative. E' fallito, ed e' cio' che piu' conta, anche per il dissenso dall'interno dei rappresentanti di molti Paesi in via di sviluppo, alzatisi dai tavoli delle trattative perche' indignati dall'incredibile arroganza delle nazioni occidentali. - Vincenzo R. Spagnolo: Secondo molti commentatori, anche gli attacchi lanciati tempo fa dagli hackers ai grandi siti web commerciali come Amazon o Yahoo! potrebbero essere una forma di protesta contro la globalizzazione e i suoi nuovi strumenti, come internet appunto. Qual e' il suo giudizio su questo tipo di protesta? - Serge Latouche: Credo che il pensiero unico del mercato sia da sempre onnivoro e tenda a occupare ogni possibile spazio. Ha fatto cosi' anche con internet, nata per le comunicazioni in ambito militare e fra gli studiosi e ora, per una di quelle finte della storia di cui parlava Hegel, trasformatasi nel piu' potente veicolo delle merci sul pianeta. Pero' i fatti di questi giorni dimostrano come la rete sia ancora un luogo con ampi spazi di liberta'. D'altronde, neanche le proteste di Seattle sarebbero state possibili senza il coordinamento fra associazioni e Ong di tutto il mondo, iniziato anni fa proprio su internet.


Vincenzo R.Spagnolo

07/05/08

QUANDO ESSERE VECCHI SIGNIFICAVA SAGGEZZA


La vecchiaia non è solo un destino biologico, ma anche storico-culturale. Quando il tempo era ciclico e ogni anno il ritmo delle stagioni ripeteva se stesso, chi aveva visto di più sapeva di più. Per questo "conoscere è ricordare", come annota Platone nel Menone, e il vecchio, nell´accumulo del suo ricordo, era ricco di conoscenza. Oggi con la concezione progressiva del tempo, non più ciclico nella sua ripetizione, ma freccia scagliata in un futuro senza meta, la vecchiaia non è più deposito di sapere, ma ritardo, inadeguatezza, ansia per le novità che non si riescono più a controllare nella loro successione rapida e assillante. Per questo Max Weber già nel 1919 annotava: «A differenza delle generazioni che ci hanno preceduto, oggi gli uomini non muoiono più sazi della loro vita, ma semplicemente stanchi». Per questo la vecchiaia è dura da vivere, non solo per il decadimento biologico e il condizionamento storico-culturale, ma anche per una serie di destrutturazioni che qui proviamo ad elencare. La prima è tra l´Io e il proprio corpo: non più veicolo per essere al mondo, ma ostacolo da superare per continuare a essere al mondo, per cui a far senso non è più il mondo, ma il corpo che la vecchiaia trasforma da soggetto di intenzioni a oggetto d´attenzione. Siccome poi nessuno riesce a identificarsi con un vecchio, anzi tutti si difendono spasmodicamente da questa identificazione, si crea quella seconda destrutturazione tra l´Io e il mondo circostante che impoverisce le relazioni e rende convenzionale e perciò falsa l´affettività. Nel vecchio, infatti, l´amore, che Freud ha indicato come antitesi alla morte, non si estingue. E con "amore" qui intendo eros e sessualità, di cui c´è memoria, ricordo e rimpianto. I vecchi cessano di essere riconosciuti come soggetti erotici e questo misconoscimento è la terza destrutturazione che separa il loro Io dalla pulsione d´amore. Nel suo disperato tentativo di opporsi alla legge di natura, che vuole l´inesorabile declino degli individui, chi non accetta la vecchiaia è costretto a stare continuamente all´erta per cogliere di giorno in giorno il minimo segno di declino. Ipocondria, ossessività, ansia e depressione diventano le malefiche compagne di viaggio dei suoi giorni, mentre suoi feticci diventano la bilancia, la dieta, la palestra, la profumeria, lo specchio. Eppure nel Levitico (19,32) leggiamo: «Onora la faccia del vecchio», perché se la vecchiaia non mostra più la sua vulnerabilità, dove reperire le ragioni della pietas, l´esigenza di sincerità, la richiesta di risposte sulle quali poggia la coesione sociale? La faccia del vecchio è un bene per il gruppo, e perciò Hillman può scrivere che, per il bene dell´umanità, «bisognerebbe proibire la chirurgia cosmetica e considerare il lifting un crimine contro l´umanità» perché, oltre a privare il gruppo della faccia del vecchio, finisce per dar corda a quel mito della giovinezza che visualizza la vecchiaia come anticamera della morte. A sostegno del mito della giovinezza ci sono due idee malate che regolano la cultura occidentale, rendendo l´età avanzata più spaventosa di quello che è: il primato del fattore biologico e del fattore economico che, gettando sullo sfondo tutti gli altri valori, connettono la vecchiaia all´inutilità, e l´inutilità all´attesa della morte. Eppure non è da poco il danno che si produce quando le facce che invecchiano hanno scarsa visibilità, quando esposte alla pubblica vista sono soltanto facce depilate, truccate e rese telegeniche per garantire un prodotto, sia esso mercantile e politico, perché anche la politica oggi vuole la sua telegenìa. La faccia del vecchio è un atto di verità, mentre la maschera dietro cui si nasconde un volto trattato con la chirurgia è una falsificazione che lascia trasparire l´insicurezza di chi non ha il coraggio di esporsi con la propria faccia. Se smascheriamo il mito della giovinezza e curiamo le idee malate che la nostra cultura ha diffuso sulla vecchiaia potremmo scorgere in essa due virtù: quella del "carattere" e quella dell´"amore". La prima ce la segnala Hillman ne La forza del carattere (Adelphi): «Invecchiando io rivelo il mio carattere, non la mia morte», dove per carattere devo pensare a ciò che ha plasmato la mia faccia, che si chiama "faccia" perché la "faccio" proprio io, con le abitudini contratte nella vita, le amicizie che ho frequentato, la peculiarità che mi sono dato, le ambizioni che ho inseguito, gli amori che ho incontrato e che ho sognato, i figli che ho generato. E poi l´amore che, come ci ricorda Manlio Sgalambro nel Trattato dell´età (Adelphi), non cerca ripari, non si rifugia nella "giovinezza interiore" che è un luogo notoriamente malfamato, ma si rivolge alla "sacra carne del vecchio" che contrappone a quella del giovane, mera res extensa buona per la riproduzione. «L´eros scaturisce da ciò che sei, amico, non dalle fattezze del tuo corpo, scaturisce dalla tua età che, non avendo più scopi, può capire finalmente cos´è l´amore fine a se stesso». Una sessualità totale succede alla sessualità genitale. Qui si annida il segreto dell´età, dove lo spirito della vita guizza dentro come una folgore, lasciando muta la giovinezza, incapace di capire. Forse il carattere e l´amore hanno bisogno di quegli anni in più che la lunga durata della vita oggi ci concede per vedere quello che le generazioni che ci hanno preceduto, fatte alcune eccezioni, non hanno potuto vedere, e precisamente quello che uno è al di là di quello che fa, al di là di quello che tenta di apparire, al di là di quei contatti d´amore che la giovinezza brucia, senza conoscere.

Umberto Galimberti

DITECI CHE NON E' VERO


Anche Marcelletti? Non ci credo. Ma quale Marcelletti, il chirurgo del cuore che guariva i bambini e campeggiava con i suoi baffoni rassicuranti sulle copertine dei settimanali per famiglie? Truffa, peculato, concussione. Hanno pure rintracciato le immagini discinte di una minorenne sul suo telefono cellulare. Il cellulare di un uomo forte e coraggioso, che divise l’Italia cercando di dividere due gemelli siamesi. Ti dico che non ci credo. Di più: non voglio crederci. Non me lo posso permettere. Siamo alla deriva, come dice il titolo del nuovo libro degli autori della Casta: persino quella, un tempo sacra, dei medici colleziona ormai scandali a cadenza settimanale. E a chi si rifiuta di urlare che il mondo è solo buio, buio e pattumiera, non resta che aggrapparsi ai pochi lampioni rimasti. Veronesi, appena «vaffato» da Grillo. E poi Marcelletti, il salvatore dell’infanzia... Come dici? Si sarebbe fatto dare delle mazzette dai genitori dei suoi piccoli pazienti per garantire loro una sistemazione migliore in ospedale? E avrebbe versato quei soldi nella sua onlus di bimbi cardiopatici, salvo prelevarli da lì per sovvenzionarsi cene e viaggi di piacere? Non può essere. È un complotto. I magistrati sono in malafede. Anzi, sono stati turlupinati. Qualcuno ha servito loro questa bella polpetta avvelenata. Quante volte Marcelletti aveva lamentato il nepotismo e gli intrighi della classe medica? Qualche collega geloso gliel’avrà fatta pagare, è chiaro. Pure le foto della ragazzina sul cellulare, dai... Ma se fosse vero? Se fosse vero, allora non è vero più niente. Dimmi tu in cosa dovremmo ancora credere, se fosse vero. Nelle partite di calcio truccate? Nei ciclisti dopati? Nei finanzieri indebitati? Nei truffatori patentati? Ho fame di esempi positivi, ma se ogni persona nasconde un segreto violento che contraddice la sua storia, a chi appenderò il mio bisogno di affidarmi o almeno di fidarmi? Forse diventerò come quel tipo che non credeva più a nulla e a nessuno, ma talmente a nessuno che quando l’altoparlante della stazione annunciava l’arrivo del suo treno, lui non ci saliva sopra perché era convinto che volessero fregarlo, facendolo salire sul treno sbagliato. Che brutta vita, però. E allora, Marcelletti o non Marcelletti, bisogna continuare a fidarsi. Anzitutto di se stessi. Della propria capacità di giudizio. Tornando ad allenare la «pancia»: l’istinto infallibile con cui nasciamo, ma che si arrugginisce in fretta, perché questa maniera di vivere così cerebrale, così cinica e alla fine così credulona ci insegna fin dall’infanzia a disprezzarlo.


Massimo Gramellini

06/05/08

GOMALAN BRASS - SEMPLICEMENTE FORMIDABILI


“È un gran gruppo che, oltre al virtuosismo dei singoli componenti, esprime una musicalità fuori dal comune”: a tessere le lodi del Gomalan Brass Quintet è nientemeno che Zubin Metha, uno dei numerosi, illustri direttori d’orchestra (insieme a Muti, Abbado, Chung, Sinopoli, Giulini, Maazel e altri) con i quali il gruppo ed i suoi componenti hanno avuto modo di collaborare. Unico complesso da camera italiano di ottoni, il Gomalan Brass Quintet si è formato nel 1999 e, nonostante la recente costituzione, si è internazionalmente imposto per l’originalità del suo approccio musicale: a soli due anni dalla sua fondazione, si è aggiudicato il primo premio al Concorso Internazionale Città di Passau (in Germania), uno dei più prestigiosi riconoscimenti a livello mondiale. Una scelta di grande livello, quindi, per il concerto di apertura della stagione 2006/2007 degli Amici della Musica A.Schmidt, eccezionalmente in programma presso l’Auditorium della Banca Popolare Italiana di via Polenghi Lombardo, la splendida sala, con straordinarie condizioni di acustica, progetta da Renzo Piano. Il Gomalan Brass Quintet ha all’attivo una pubblicazione discografica edita dalla casa americana Summit Records, da molti considerata come la più autorevole al mondo per quanto riguarda gli ottoni. Diverse emittenti radiofoniche hanno già trasmesso concerti e brani del Gomalan Brass Quintet, fra cui Rai RadioTre, Radio Vaticana e RadioCanada, la radio Nazionale canadese. Marco Pierobon (tromba), Marco Braito (tromba), Nilo Caracristi (corno), Gianluca Scipioni (trombone) e Oswald Prader (tuba) sono tutti strumentisti di primissimo ordine e grazie alle loro qualità possono permettersi libertà interpretative che sfociano nel gioco, nell’ironia, nell’irriverenza, sempre e comunque nel segno del buon gusto. I loro concerti, oltre ad offrire esecuzioni tecnicamente impeccabili, sono dei veri e propri show che coinvolgono inevitabilmente il pubblico in un effervescente happening sonoro.
Marco Braito (tromba) Diplomato al Conservatorio di Bolzano con Igino Ferrari, si è perfezionato alla Scuola di Alto Perfezionamento Musicale di Saluzzo (CN) con Pierre Thibaud e Vincenzo Camaglia. Primo Premio all'unanimità al Conservatorio Nazionale Superiore di Musica di Parigi nella classe del maestro Pierre Thibaud. Ha collaborato con l'Orchestra del Teatro Regio di Torino, Orchestra Nazionale della Rai, e per due anni è stato Prima Tromba ospite al Teatro San Carlo di Napoli. Dal 2000 al 2003 è stato Prima Tromba e Solista dell'ORT (Orchestra della Toscana). Attualmente è Prima Tromba dell'Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI.
Nilo Caracristi (corno) Diplomato al Conservatorio di Trento con Jiri Sedlak, si è perfezionato in Italia con Guido Corti, a Chicago con Dale Clevenger e Arnold Jacobs e ad Oslo con Froydis Ree Wekre. Nel 1991 è stato premiato al concorso internazionale di Porcia (PN) e nel 1997 ha vinto il Primo Premio al concorso internazionale di Asti. Ha collaborato con l'orchestra del Teatro alla Scala, del Maggio Musicale Fiorentino, della Radio Svizzera Italiana di Lugano, con la Haydn di Bolzano e Trento e i Solisti Veneti. Nel 1996 è stato primo corno ospite al Teatro Comunale di Cagliari e dal 1997 al 1999 è stato Primo Corno al Teatro San Carlo di Napoli. Attualmente è Terzo Corno dell'Orchestra dell'Arena di Verona.
Gianluca Scipioni (trombone) Diplomato al Conservatorio di Roma con Gianni Mazzoni, si è perfezionato alla Scuola di Musica di Fiesole e successivamente a Chicago e New York con Rex Martin, Arnold Jacobs e Joseph Alessi. Ha ottenuto la Virtuosité al Conservatorio di Losanna nella classe di Roger Bobo. Nel 1993 si è aggiudicato il secondo premio al concorso internazionale Rovere d'Oro (IM). Ha collaborato regolarmente come Primo Trombone con l'Orchestra del Teatro alla Scala, con le Orchestre Sinfoniche della Rai di Torino e Santa Cecilia di Roma. Attualmente è Primo Trombone dell'orchestra del Teatro Regio di Torino.
Oswald Prader (tuba) Diplomato presso la Musikhochschule di Francoforte con David Glidden, si perfeziona con Robert Tucci, Michael Lind e Tom Walsh. Ha fatto parte per tre anni consecutivi dell'Orchestra giovanile dell'Unione Europea (EUYO). Ha fatto parte dell'Orchestra dell'Opera di Francoforte per la stagione 2001-2002. Collabora con l'Opera di Karlsruhe, l'Opera di Hannover e con le Orchestre della Radio di Francoforte (HR), di Stoccarda (SWR) e della Radio Bavarese (BR) in Germania. In Italia collabora con le Orchestre dell'Accademia di Santa Cecilia a Roma e del Teatro Regio di Torino. Attualmente si perfeziona presso la Musikhochschule di Monaco con il professor Josef Steinbòck ed è tubista al teatro di Meiningen.
Marco Pierobon (tromba) Diplomato al Conservatorio di Bolzano con Otto Rabensteiner, si è perfezionato presso la Scuola di Musica di Fiesole con Roger Bobo e Vinko Globokar e successivamente con Giancarlo Parodi. Primo Premio ai concorsi internazionali Rovere d'Oro (IM) e Aqui Musica (AL), oltre ad aver vinto il concorso presso le orchestre di Bolzano e San Remo. Dal 1997 al 1999 ha fatto parte dell'Orchestra Toscanini di Parma, quindi dal 1999 al 2002 è stato Prima Tromba e Solista dell'Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino. Attualmente è Prima Tromba dell'Orchestra dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia a Roma e collabora come Acting Principal Trumpet con la Chicago Symphony Orchestra.


04/05/08

GIORNATA ECOLOGICA - NOTE A MARGINE


Si è conclusa con un successo di partecipazione notevole la seconda edizione della giornata ecologica organizzata dal Comune di Tesero celebrata domenica 20 aprile u.s. che ha coinvolto, oltre a “semplici” cittadini e maestranze comunali, un considerevole numero di volenterosi affiliati ai principali sodalizi locali. L’iniziativa, curata in particolare dal vice sindaco Giovanni Zanon, s’inserisce in quell’insieme di manifestazioni che da un paio d’anni l’Amministrazione sta encomiabilmente portando avanti per sensibilizzare l’opinione pubblica sulle problematiche ambientali e per cercare di far capire quanto incidano i comportamenti individuali, virtuosi o viziosi che siano, moltiplicati per enne singoli comportamenti, nel peso complessivo delle interazioni uomo-territorio. Sono iniziative che proposte una tantum naturalmente non modificano nella sostanza le cose ma che hanno comunque indubbio valore simbolico. Onore al merito dunque ai partecipanti e agli amministratori che hanno dedicato la loro giornata festiva alla pulizia e al recupero di immondizie varie colposamente abbandonate nelle periferie del paese.
Ci è giunta voce che nell’occasione taluni partecipanti hanno stigmatizzato l’assenza del sottoscritto e compagni (nel corrente linguaggio locale denominati Quei là: no i gh’èra Quei là!!). Un’assenza, immaginiamo, sgradita a quelli che, pur a distanza di anni, non riescono a tollerare il fatto che i Verdi ( – Quei là – da sempre a tutte le latitudini dello Stivale i meno amati dagli italiani) “possano avere il coraggio” di disertare appuntamenti di questo genere. Come se da Quei là, da tempo spariti a furor di popolo dal panorama politico non solo locale, si pretendesse sempre e comunque l’obbligo della firma! Ed infatti, qualche giorno fa, puntualmente, un noto pompiere di Tesero, l’amico Peppì, ci ha severamente rimproverato tacciandoci di incoerenza. Noi (Quei là), che negli anni “ruggenti” le giornate ecologiche organizzammo ripetutamente senza che alcuno se ne compiacesse e Radio Fiemme ne esaltasse il merito, di ciò non possiamo che sorridere. Allora (esattamente come in quest’ultima occasione) il nostro intento era solo quello di sensibilizzare e di coinvolgere la maggior parte possibile di compaesani. Ricordo che tra le tante località del paese ripulimmo le sponde del Rio Stava, Saltojo, Roncosogno e le adiacenze del lago di Lagorai, riportando poi a casa il raccolto alla bell’e meglio con mezzi nostri e soltanto per quella più lontana “operazione”, dopo un’insistita richiesta, anche con un mezzo comunale. Ma a differenza di oggi quelle intraprese venivano considerate dai più semplicemente matità da additare al pubblico ludibrio, per cui il successo pedagogico e mediatico cui miravano fu, in definitiva, molto modesto. Sta proprio qui il centro della questione che rivela il senso più importante dell’iniziativa e grazie al quale anche i più ostinati detrattori degli insopportabili Verdi capiranno che la nostra presenza in quest’ultima recente occasione non era affatto importante. Perché la giornata ecologica più che una valenza pratica deve averne soprattutto una pedagogica. Serve proprio a quelle persone che delle questioni ambientali non se ne curano e dunque è opportuno oltre che doveroso che ad essa partecipi proprio la parte di cittadinanza culturalmente più disinformata rispetto a queste importanti tematiche. Più grande è il coinvolgimento di quella parte di popolo e meglio è. Ragionando, la nostra assenza non avrebbe dovuto perciò scandalizzare né Peppì, né alcun altro. Anzi, (considerata l’idiosincrasia profonda che gran parte dei teserani nutre ancora nei nostri confronti), siamo certi avrà contribuito a far partecipare un maggior numero di persone e ad ottenere un miglior successo della manifestazione.

euro



CAPITO NIENTE


Se qualcuno di voi deambulasse per il Lombardo Veneto alla ricerca dei trecentomila martiri (in fila per sei col resto di due) che Bossi ha minacciato di far scendere dalle montagne «coi fucili caldi» a difesa del Fe-de-ra-li-smooooo, gli suggerirei di rientrare immediatamente alla base. Il capo della Lega è manesco soltanto a parole. E sono parole, per fortuna, che in vent’anni di maltrattamento continuo del vocabolario non hanno mai prodotto neppure un fatto. Non dico un pugno, ma neanche una spinta. La platea naturale di Bossi sono i bar di provincia immortalati dai libri di Stefano Benni. Quelli dove il bullo del paese passa le ore a titillare il vassoio delle patatine, raccontando agli astanti sempre le stesse storielle, ogni volta dilatando i numeri e gli aggettivi. L’Umberto in versione Osama Boss Laden non è mica l’algido Alemanno, che misura anche i respiri, e quando dice una cosa esiste il sospetto fondato che la farà. E’ un burbanzoso Varesotto con la testa finissima ma l’eloquio roboante: così scostato dalla realtà da risultare innocuo. Indignarsi a ogni piè sospinto per i suoi modi inurbani, lanciando allarmi democratici contro l’equivalente di un rutto, non presenta alcuna utilità. Più interessante sarebbe accorgersi che i suoi elettori parlano come lui e quindi lo capiscono molto meglio della sinistra e dei giornalisti, non necessariamente di sinistra, che in questi vent’anni della Lega non abbiamo mai capito un… volevo dire: niente


Massimo Gramellini

INCANTO NOTTURNO

INCANTO NOTTURNO
Sara

LE OCHE E I CHIERICHETTI

LE OCHE E I CHIERICHETTI
Bepi Zanon

TESERO 1929

TESERO 1929
Foto Anonimo

PASSATO

PASSATO
Foto Orco

ANCORA ROSA

ANCORA ROSA
Foto Archivio

VIA STAVA ANNI '30

VIA STAVA ANNI '30
foto Anonimo

TESERO DI BIANCO VESTITO

TESERO DI BIANCO VESTITO
Foto Giuliano Sartorelli

LA BAMBOLA SABINA

LA BAMBOLA SABINA
Foto Euro

LA VAL DEL SALIME

LA VAL DEL SALIME
Foto Euro

SEBASTIAN E IL BRENZO DI BEGNESIN

SEBASTIAN E IL BRENZO DI BEGNESIN
Foto di Euro Delladio

MINU

MINU
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