08/02/08

MENO AUTO, PIU' BICI...PITI!


Alla Conferenza sul Clima organizzata dalle Nazioni Unite a Bali è stata lanciata un’alleanza tra pedoni, ciclisti, disabili e passeggeri di mezzi pubblici. Il compito principale i questa alleanza sarà quello di fare lobby presso la classe politica per un trasporto più sostenibile: meno auto, più mobilità a propulsione muscolare.
“Il settore trasporti è uno dei maggiori responsabili del cambiamento climatico, per cui deve essere parte della soluzione”
, dichiara Manfred Neun, Presidente della European Cyclists Federation (ECF), Neun afferma ciò all’indomani della decisione della Commissione Europea di introdurre nuove leggi che stabiliscono multe per le emissioni di CO² per i produttori di automobili. La proposta è stata male accolta dal governo federale tedesco che protegge i produttori nazionali di automobili, i quali non hanno rispettato l’accordo stilato volontariamente nel 1998 dall’associazione europea di produttori di auto (ACEA) di raggiungere entro il 2008 il target di 140g/km. Questo fallimento rientra nel quadro generale dell’aumento di emissioni di biossido di carbonio proveniente dal traffico nell’Unione Europea del 26% dal 1990 al 2004.
Perciò ECF chiede un cambio paradigmatico nelle politiche dei trasporti: invece i aspettare nuove costose tecnologie che dovrebbero ridurre le emissioni di CO², i politici dovrebbero concentrarsi meno sull’auto e più sulla bicicletta: nel traffico urbano la bicicletta è il mezzo più efficiente: non inquina, non fa rumore e fa bene alla salute di chi ne fa uso.
La bici ha un enorme potenziale. Nell’Unione Europea una gran parte dei percorsi in auto sono brevi: il 50% inferiori a 5 km; se solo il 30% di quelli al di sotto dei 6 chilometri fosse sostituito dalla bici, questo porterebbe ad una diminuzione del 4% di CO². È un percorso obbligato, dato che l’Unione Europea ha preso nel 2007 l’impegno di ridurre le emissioni di almeno il 20% entro il 2020 (rispetto ai livelli del 1990).
Per fare pressioni per questo cambiamento, EFC ha lanciato con altri a Bali la “Global Alliance for EcoMobility”. Più di 30 multinazionali, aziende e associazioni degli utenti, governi locali ed agenzie delle Nazioni Unite si sono impegnate a promuovere insieme nelle città misure a favore di pedoni, ciclisti, disabili e mezzi pubblici.

Antonella Valer

07/02/08

DISGREGAZIONE E RIFIUTI


Temo che l’emergenza rifiuti di Napoli non sia soltanto un problema di ordine pubblico o di nettezza urbana. In essa sono riconoscibili i caratteri di una sorta di metafora, se volete di una caricatura della situazione propria di tutta la nostra beneamata Italia. La quale dispone di un territorio ricco di bellezze naturali ma in gran parte montuoso, impervio, e soprattutto sovraffollato da una popolazione fitta concentrata in grandi città cresciute in modo disordinato, senza la sapienza di una cultura dell’ambiente che sapesse preservare spazi liberi; ma anche dispersa in una moltitudine di borghi collegati da una rete ingombrante ed intricata di strade asfaltate. La sua è un’economia diseguale ma con almeno una impronta comune derivata dalla dominante prassi del consumismo, che ignora la sobrietà ed è alimentata dallo spreco. Le nostre mamme si recavano nella bottega sotto casa con la borsa della spesa e comperavano lo stretto necessario per il fabbisogno della famiglia. Ora nei supermercati le esuberanti provviste sono disposte nelle borse di plastica. Se prendi un etto di prosciutto te lo avvolgono in tre o quattro fogli di carta e molti prodotti sono raccolti in scatolette di cartone e protetti da carta stagnola. Ciò che veramente serve è poca cosa, ed il residuo che non si utilizza - il così detto "umido organico" - potrebbe essere smaltito senza grandi problemi. Ma unito alla carta e cartoni, ai vetri, all’alluminio, alla plastica, a tutto il contorno di vana dissipazione che affluisce nelle case, forma una montagna di rifiuti che devono essere dispersi. Dove e come? Lo spazio da destinare a tale scopo è ormai quasi esaurito. In prossimità dei centri urbani, le ville, le periferie abitate, i capannoni industriali, le tangenziali ripudiano le discariche ed ancor più gli inceneritori. La soluzione del problema è dunque effettivamente difficile e diviene impossibile se concorrono altri fattori che in quel di Napoli sono presenti in misura accentuata, ma non sono assenti nel resto d’Italia. Il primo di tali fattori è costituito dal debole sentimento comunitario che ispira la nostra società. Uno per tutti, tutti per uno è un monito che ci è estraneo. Tutti invocano la discarica per i rifiuti, "ma non nel mio cortile". E’ una nostra peculiare attitudine lo spiccato individualismo, l’incapacità di mettersi insieme per cercare ed interpretare l’interesse comune. Con il risultato di avere una spropositata quantità di partiti che rendono ingovernabile la nazione, ed in economia una prevalente moltitudine di imprese medio-piccole, ciò che pregiudica la competitività del nostro sistema. Questo sfrangiamento della società costituisce poi l’ideale terreno di cultura della illegalità. La legge, espressione e tutela del bene comune, è oggetto di disprezzo e quindi di trasgressione. Il fenomeno a Napoli si chiama camorra ed in altre regioni è noto con altre denominazioni. Ma si ritrova dappertutto ove vi siano da lucrare privati profitti a carico della comunità, manipolando pubbliche gare o appalti pubblici, con forme e modalità fantasiose e stupefacenti. Al punto di trasformare la "monnezza" in oro. Infine una efficienza causale decisiva è quella rappresentata dalla debolezza della politica. La politica in tutte le sue espressioni. Le leggi contengono affermazioni di principio valide, regole severe, che poi sono sfibrate da eccezioni, da ipotesi subordinate, da cavilli che nella pratica della burocrazia e nella applicazione degli organi amministrativi finiscono per prevalere. I partiti, il governo e l’opposizione, non offrono alla cittadinanza soluzioni dei problemi della comunità per chiedere su di esse il consenso. Al contrario, mirano a propiziarsene il favore assecondando le inclinazioni più disgreganti che allignano nei vari gruppi territoriali o di mestiere.


Renato Ballardini

04/02/08

RAPPORTO SER/T 2008


Il tradizionale rapporto annuale del SerT (Servizio Tossicodipendenze) di Trento è un malloppo di 180 pagine, strapieno di cifre, tabelle, grafici. Un mare magnum di dati a volte prevedibili, altre volte sconcertanti, all’interno del quale è però difficile orizzontarsi per capire se le cose vanno bene o male. La sua funzione, del resto, è quella di uno strumento di lavoro per gli operatori e di rendiconto dell’attività svolta. Non è un resoconto giornalistico.
Vi leggiamo ad esempio che poco meno di uno studente trentino su tre, nello scorso anno, ha avuto a che fare coi derivati della cannabis almeno una volta. E già spuntano delle domande.
Farsi una canna all’anno, è significativo, è preoccupante, è cosa che merita di entrare in una statistica? E a che punto sono gli studi sulla pericolosità o meno di quella sostanza?
E qualcosa di simile potremmo chiederci quando apprendiamo che in Trentino sono 220.000 "le persone di età compresa fra i 15 e i 54 anni che fanno uso di alcol una o più volte all’anno" (già, perché il rapporto si occupa anche di alcol e tabacco). In un bicchiere all’anno, e fosse anche di più, che male c’è?
Per non soffocare il lettore sotto una montagna di cifre, ci siamo limitati a presentarne una minima parte, quelle che ci sono parse più significative, nella scheda a pag. 18; qui basti dire che la situazione, in Trentino, è leggermente migliore rispetto ai dati regionali e nazionali, soprattutto per la maggiore percentuale di "utilizzatori problematici" di sostanze (cioè, di tossicodipendenti veri e propri) entrati in contatto col SerT e quindi assistiti sia dal punto di vista sanitario che sociale e psicologico.
Qualche dato va comunque fornito subito, per dare un’idea dell’entità del problema. I consumatori (anche molto occasionali, come s’è detto) di cannabinoidi sono stimati in 23.600, 11.500 quelli di cocaina, un migliaio quelli di allucinogeni e stimolanti e 540 quelli di eroina. Cifre che non vanno però sommate, in quanto sono numerosi coloro che assumono due o più sostanze. Ad abbassare il livello di allarme va comunque detto che i "consumatori problematici" sono stimati in circa 1.800, 1.019 dei quali sono in trattamento al SerT.
Pochi, tanti? Rispetto alla situazione nazionale, in Trentino la cannabis è un po’ meno presente, la cocaina ha un consumo quasi doppio, mentre gli assuntori di stimolanti e di eroina sono circa la metà. Differenze che dipendono in larga misura dalla situazione del mercato, cioè dalla possibilità o meno di reperire questa o quella droga.
Un altro dato è importante, anche per valutare la pericolosità delle varie droghe: malgrado la sproporzione nel consumo delle diverse sostanze, con cannabis ed eroina ai due estremi, i relativamente pochi consumatori di quest’ultima rappresentano però l’88% degli utenti del SerT, contro un 4% che ha problemi coi cannabinoidi, e il 55% degli ospiti delle comunità (dove c’è anche un 28% di alcolisti).
ll dott. Raffaele Lovaste, direttore del SerT, ci spiega anzitutto il perché di una statistica dove compare anche il Il ragazzo che si è fatto una singola canna nel corso di 12 mesi, o la casalinga che ha bevuto alcolici solo la notte di Capodanno: "Per il nostro lavoro è importante conoscere la base di partenza del fenomeno: certo che un bicchiere a pasto non è problematico, ma è comunque dal consumo di vino che nasce l’alcolismo, e lo stesso vale per la tossicodipendenza". Quanto alla presunta innocuità della cannabis, c’è una precisazione da fare: "Da un po’ di tempo la situazione è cambiata: il principio attivo, che in passato era presente in questa sostanza nella misura del 5%, adesso arriva fino al 30%; chi ne fa un uso regolare rischia di sviluppare, nel breve periodo, dei disturbi nella memoria, e a lungo termine delle patologie di tipo psichiatrico. Ma il punto della questione va molto al di là del problema sanitario".
Cioè?
"L’attenzione dell’opinione pubblica e dei mass media si rivolge ai morti per overdose, alle conseguenze della tossicodipendenza sull’ordine pubblico, ai sequestri di stupefacenti... E si trascura il problema culturale, il clima complessivo che rende possibile questa situazione. Ci focalizziamo su chi è arrivato al punto di chiedere un trattamento anziché su quelli – molto più numerosi – che comunque fanno uso di stupefacenti".
Insomma, è un problema culturale: è più trendy farsi una riga di coca, anziché sciare. C’è una spinta all’efficientismo, alla prestazione, alla performance tale da trascurare i rischi che pure si conoscono, e superare quella disapprovazione nei confronti degli stupefacenti che emerge evidente dalle statistiche. "Si dice: ‘Occupiamoci di questi giovani’. E invece no, dovremmo occuparci degli adulti ‘significativi’ di questi ragazzi, dei modelli che hanno davanti a sé, degli stili di vita che gli vengono proposti".
I giovani faticano a proiettarsi nel futuro, tendono a vivere un’eterna dilatazione del presente, ciò che conta è l’oggi. Da qui deriva una difficoltà a compiere delle scelte di vita, difficoltà aggravata dal rarefarsi della dimensione collettiva e dal potente martellamento dei messaggi pubblicitario-televisivi. E naturalmente fenomeni come la precarietà del lavoro accrescono questa difficoltà nel progettare.
"Più o meno finite le ideologie tradizionali – prosegue il direttore del SerT - sono sorte tante micro-ideologie di gruppo. Abbiamo il giovane che per cinque giorni la settimana va a lavorare: normalmente, senza trasgressioni, come gli viene richiesto. Poi, al sabato, questa persona si trasforma: da rappresentante del mondo del lavoro, eccolo diventar parte del popolo dell’happy-hour, della birra, dello sballo".
La ricetta è banale quanto difficile: bisognerebbe dare a questi giovani degli ideali, fare in modo che non seguano pedissequamente le mode, i messaggi pubblicitari.
"Si noti quanti spot pubblicizzano dei prodotti farmaceutici. Il messaggio che arriva, e che ormai si è imposto, è il seguente: al minimo malessere fisico, prendi una pasticca che ti passa: ‘Perché rinunciare a un’ora di tennis per un mal di testa?’. Si è ormai affermata l’idea di poter regolare i propri stati d’animo utilizzando delle sostanze chimiche. Dovremmo invece convincerci che non possiamo governare tutto, che dobbiamo accettare i nostri limiti. Non è un caso se una consistente percentuale di tossicodipendenti utilizza più sostanze: prendono la coca per eccitarsi, poi, se l’effetto è eccessivo, cercano di calmarsi con l’eroina".
Se le cose stanno in questi termini, è tutto un sistema economico e culturale che bisognerebbe trasformare, e un efficace contrasto alla tossicodipendenza appare molto problematico...
"Certo. Ma sta di fatto che la diffusione della tossicodipendenza dipende sostanzialmente da due fattori: la situazione del mercato, cioè la facilità di procurarsi sostanze nel territorio, e poi – soprattutto – il clima culturale di cui si diceva. Se non cambia quello...".
Allora c’ è da stare poco allegri.
"Non è detto. Forse sta maturando nella società il bisogno di qualcosa in cui credere: c’è disagio, richiesta di far parte di qualcosa di più grande che non sia solo la propria singola vicenda individuale".

QT 01/2008



03/02/08

L'OSPITE INQUIETANTE


Un libro sui giovani: perché i giovani, anche se non sempre ne sono consci, stanno male. E non per le solite crisi esistenziali che costellano la giovinezza, ma perché un ospite inquietante, il nichilismo, si aggira tra loro, penetra nei loro sentimenti, confonde i loro pensieri, cancella prospettive e orizzonti, fiacca la loro anima, intristisce le passioni rendendole esangui.
Le famiglie si allarmano, la scuola non sa più cosa fare, solo il mercato si interessa di loro per condurli sulle vie del divertimento e del consumo, dove ciò che si consuma non sono tanto gli oggetti che di anno in anno diventano obsoleti, ma la loro stessa vita, che più non riesce a proiettarsi in un futuro capace di far intravedere una qualche promessa. Il presente diventa un assoluto da vivere con la massima intensità, non perché questa intensità procuri gioia, ma perché promette di seppellire l’angoscia che fa la sua comparsa ogni volta che il paesaggio assume i contorni del deserto di senso.
Interrogati non sanno descrivere il loro malessere perché hanno ormai raggiunto quell’analfabetismo emotivo che non consente di riconoscere i propri sentimenti e soprattutto di chiamarli per nome. E del resto che nome dare a quel nulla che li pervade e che li affoga? Nel deserto della comunicazione, dove la famiglia non desta più alcun richiamo e la scuola non suscita alcun interesse, tutte le parole che invitano all’impegno e allo sguardo volto al futuro affondano in quell’inarticolato all’altezza del quale c’è solo il grido, che talvolta spezza la corazza opaca e spessa del silenzio che, massiccio, avvolge la solitudine della loro segreta depressione come stato d’animo senza tempo, governato da quell’ospite inquietante che Nietzsche chiama “nichilismo”.
E perciò le parole che alla speranza alludono, le parole di tutti più o meno sincere, le parole che insistono, le parole che promettono, le parole che vogliono lenire la loro segreta sofferenza languono intorno a loro come rumore insensato.
Un po’ di musica sparata nelle orecchie per cancellare tutte le parole, un po’ di droga per anestetizzare il dolore o per provare una qualche emozione, tanta solitudine tipica di quell’individualismo esasperato, sconosciuto alle generazioni precedenti, indotto dalla persuasione che – stante l’inaridimento di tutti i legami affettivi – non ci si salva se non da soli, magari attaccandosi, nel deserto dei valori, a quell’unico generatore simbolico di tutti i valori che nella nostra cultura si chiama denaro.
Va da sé che quando il disagio non è del singolo individuo, ma l’individuo è solo vittima di una diffusa mancanza di prospettive e di progetti, se no addirittura di sensi e di legami affettivi, come accade nella nostra cultura, è ovvio ce risultano inefficaci le cure farmacologiche cui oggi si ricorre fin dalla prima infanzia o quelle psicoterapeutiche che curano le sofferenze che originano nel singolo individuo.
E questo perché se l’uomo, come dice Göthe, è un essere volto alla costruzione di senso (Sinngebung), nel deserto dell’insensatezza che l’atmosfera nichilista del nostro tempo diffonde il disagio non è più psicologico, ma culturale. E allora è sulla cultura collettiva e non sulla sofferenza individuale che bisogna agire, perché questa sofferenza non è la causa, ma la conseguenza di un’implosione culturale di cui i giovani, parcheggiati nelle scuole, nelle università, nei master, nel precariato, sono le vittime.
E che dire di una società che non impiega il massimo della sua forza biologica, quella che i giovani esprimono dai quindici ai trent’anni, progettando, ideando, generando, se appena si profila loro una meta realistica, una prospettiva credibile, una speranza in grado di attivare quella forza che essi sentono dentro di loro e poi fanno implodere anticipando la delusione per non vedersela di fronte?
Non è in questo prescindere dai giovani il vero segno del tramonto della nostra cultura? Un segno ben più minaccioso dell’avanzare degli integralismi di altre culture, dell’efficientismo sfrenato di popoli che si affacciano nella storia e con la nostra si coniugano, avendo rinunciato a tutti i valori che non si riducano al valore del denaro.
Se il disagio giovanile non ha origine psicologica ma culturale, inefficaci appaiono i rimedi elaborati dalla nostra cultura, sia nella versione religiosa perché Dio è davvero morto, sia nella versione illuminista perché non sembra che la ragione sia oggi il regolatore dei rapporti tra gli uomini, se non in quella formula ridotta della “ragione strumentale” che garantisce il progresso tecnico, ma non un ampliamento dell’orizzonte di senso per la latitanza del pensiero e l’aridità del sentimento.

INCANTO NOTTURNO

INCANTO NOTTURNO
Sara

LE OCHE E I CHIERICHETTI

LE OCHE E I CHIERICHETTI
Bepi Zanon

TESERO 1929

TESERO 1929
Foto Anonimo

PASSATO

PASSATO
Foto Orco

ANCORA ROSA

ANCORA ROSA
Foto Archivio

VIA STAVA ANNI '30

VIA STAVA ANNI '30
foto Anonimo

TESERO DI BIANCO VESTITO

TESERO DI BIANCO VESTITO
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LA BAMBOLA SABINA

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LA VAL DEL SALIME

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SEBASTIAN E IL BRENZO DI BEGNESIN

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