11/12/08

SISTEMA FANTASMA


Un fantasma si aggira per la crisi, ed è il termine «sistema», con tutte le sue varianti: «sistemico», «di sistema». Come nelle sedute spiritiche gli ectoplasmi compaiono sempre al momento opportuno, così ora il «sistema» viene evocato a ogni piè sospinto dagli sciamani dell'economia. Chiamare in causa il «sistema» è un modo di dire che quel che accade in questi mesi non è colpa di nessuno. Così, il ministro del Tesoro Usa, Henry Paulson, parla di «rischi sistemici» per la finanza mondiale. E uno dei più importanti consiglieri di Barack Obama, Robert Rubin (egli stesso ex ministro del Tesoro sotto Bill Clinton) difende il suo operato a Citigroup - da cui ha ricevuto dal 1999 a oggi la modesta sommetta di 115 milioni di dollari - dicendo che ad affondare questa banca non sono state le sue scelte strategiche, bensì una «crisi sistemica». Il sistema diventa così il perfetto capro espiatorio: è anonimo, imprendibile, irraggiungibile, ci sovrasta come nuvola, ci permea come nebbia. La responsabilità del sistema assolve da ogni colpa quei banchieri, agenti di cambio, consulenti finanziari, operatori di borsa che ora l'opinione pubblica statunitense vorrebbe vedere processati per direttissima, condannati e rinchiusi in qualche carcere di massima sicurezza: la sete di vendetta brucia sempre di più nei confronti dei propri ex-idoli. La sinistra Usa fa già pressione perché con Obama il nuovo Senato costituisca subito una commissione d'inchiesta sull'operato dei grandi finanzieri. Ma gli stessi stregoni che lo evocano con le loro formule magiche, vogliono che il sistema mantenga il suo statuto fantasmatico. Infatti nessuno di loro trae la logica conseguenza delle proprie parole: se la crisi è «sistemica», tali dovrebbero essere anche i rimedi. E invece no. Nessun responsabile dell'economia afferma di voler «correggere il sistema». Non possono dirlo per la semplice ragione che tutti loro hanno contribuito a creare questo sistema: sia Paulson e Ben Bernanke (governatore della Federal Reserve) scelti da George Bush; sia Larry Summers (ex ministro del Tesoro sotto Clinton), Tim Geithner (governatore della Federal Reserve di New York), e Paul Volcker (ex governatore della Federal Reserve) scelti da Obama: sono proprio loro - chi prima, chi dopo - ad aver sregolato i mercati finanziari, allentato i controlli, incitato la finanza allegra. In questo senso, la scelta di Volcker richiama quella di Padoa Schioppa da parte di Romano Prodi: è il vecchio che avanza. Gli unici che osano dire «bisogna cambiare il sistema » sono due premi Nobel dell'economia, Paul Krugman e Joseph Stiglitz (nessuno dei due chiamato a far parte della squadra dei consiglieri di Obama). Stiglitz diceva pochi giorni fa in un'intervista a Repubblica che «bisogna riscrivere le regole del sistema ». Ma sono due opinionisti isolati, per quanto influenti. L'unica speranza è che la profondità stessa della crisi porti i paladini del laissez-faire a prendere misure di sinistra. Succede già: l'ultraliberista amministrazione Bush ha di fatto inaugurato un'era di nazionalizzazioni, ha adottato - senza dirlo - il modello Iri, quello delle banche a partecipazione statale. Ma, appunto, lo fa di nascosto, senza confessarselo. L'ideologia liberista è magari in crisi verticale, però non la soppianta nessun nuovo keynesismo: loro stanno perdendo, ma noi non stiamo vincendo (nel mondo reale i giochi non sono mai a somma zero). Il tentativo in corso da parte della squadra di Obama sta tutto qui: risolvere una crisi sistemica senza cambiare radicalmente sistema. Obama ha già più volte annunciato l'avvio di poderose opere pubbliche e il varo di una politica d'investimenti eco-tecnologici e non potrà non salvare l'industria dell'auto (fu così che Alfa Romeo finì in mano pubblica). Ma il tentativo della sua squadra è di contenere al massimo proprio i mutamenti «sistemici». Tutti attribuiscono la crisi alla deregulation , ma nessuno degli uomini di Obama parla di regulation . L'incentivo alla domanda è un classico strumento keynesiano, ma cercano di ottenerlo con i più ortodossi strumenti del monetarismo e della supply side economics : riduzione delle tasse e conio di carta moneta (infusione di liquidità nei circuiti finanziari e riduzione del tasso di sconto, ormai inferiore al tasso d'inflazione: cioè il denaro lo stanno regalando). Però nessuno osa affrontare i due nodi centrali della crisi: 1) sotto l'aspetto finanziario, l'anarchia globale dei mercati è insostenibile e - se gli stati nazionali non sono all'altezza - deve comunque esistere un sistema di regole internazionali che limiti l'arbitrio degli gnomi della finanza; 2) nell'economia reale, non è possibile pretendere consumi sostenuti se il nerbo della forza lavoro è malpagata e precaria, se è «flessibile». L'unico modo in cui questa magia vudù ha potuto avverarsi negli ultimi 30 anni è stato con un indebitamento crescente dei privati cittadini Usa e degli Usa nei confronti dell'estero. Senza parlare del modello di sviluppo da correggere in modo drastico perché - ora è comprovato - lo sviluppo non può consistere nella crescita illimitata dei consumi. Barack Obama ha di certo la migliore volontà del mondo. Però un sistema non si autoemenda da solo, non basta la crisi. Se non ci sarà una pressione dal basso, è quasi inevitabile che gli esponenti dell'ancien régime cerchino di limitare i danni, di traghettare il sistema per quei cinque anni che - a detta di tutti - saranno necessari per tornare a regime, se mai vi si tornerà. Come gli italici democristiani all'epoca di mani pulite, cercheranno di «passare la nottata». Ricordiamo che il New Deal non nacque - come Atena dalla testa di Giove - dalla mente illuminata di Franklin Delano Roosevelt, bensì dalla più grande ondata di movimenti popolari che la storia degli Stati uniti ricordi. Ma quest'ondata non è da escludere. Soprattutto se la situazione peggiora, come a ragione pronostica Obama. Se persino l'ultraliberista Bush è addivenuto alle partecipazioni statali, anche deregulators come Summers, Rubin, Volcker e Geithner potranno magari subire una metamorfosi e, novelle crisalidi, convertirsi alla socialdemocrazia. O almeno al capitalismo renano.

Marco D’Eramo

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