30/12/08

DROGA, DALLA NATURA ALLE NEVROSI D'OGGI


Gli uomini si drogano da millenni: per lenire il dolore e la fatica. La natura è un incredibile bazar di erbe analgesiche e/o allucinogene, funghi dell'oblio, umori eccitanti, la liceità di questo genere di pratiche non è stata mai troppo discussa fìnchè si trattava di aiutarsi a reggere l’inumana sofferenza di campare. Il contadino boliviano denutrito masticava foglie di coca per sopportare meglio la sua soma quotidiana, mica per il gusto di sballare nel weekend. La faccenda si è fatta molto più complicata dacché le droghe, al pari di tante altre cose, da laborioso espediente per tirare avanti (o da viatico per certi tranfert di tipo culturale e religioso) sono diventate un comfort voluttuario, uno sfizio, una merce di consumo. Così come gli obesi e i bulimici sono coloro che hanno perduto il valore d'uso di proteine e calorie (e di proteine e calorie possono anche morire), i drogati sono coloro che assumono alcune particolarissime sostanze non più per saltuaria necessità ma per ossessione culturale o per dipendenza psicologica. E a volte ne muoiono, e più spesso si distruggono la salute: fisica, mentale e anche economica. La dipendenza dalle droghe è diventato un gravissimo problema sociale, perché mina e invalida individui quasi sempre giovani, e perché alimenta a dismisura il mercato nero e la criminalità. Questo problema ha generato, tra gli altri inconvenienti, anche una vera e propria forma di panico che non aiuta (è il mio parere) a risolverlo. Alle droghe si attribuiscono poteri demoniaci che finiscono per esaltarne, anche contro la volontà dei demonizzatori, il potere di suggestione sugli spiriti più fragili. La loro potenza, in qualche caso già devastante, è amplificata dall'aura di peccato e di proibito che le circonda. Quando fumai, a quindici anni, il mio primo e penultimo spinello, rimasi profondamente deluso dal suo piccolo effetto inebriante, e sopratutto rimasi infastidito dall'estasi semi-sacerdotale nella quale fingevano di sprofondare coloro che me lo avevano offerto. Più che da quella droga, mi allontanai da quei “drogati” il cui eccesso di devozione alla sostanza e ai suoi poteri mi parve ridicolo e imbarazzante. Più tardi lessi la testimonianza di un grande poeta, Ungaretti, che raccontava, molto divertito, di avere fumato cannabis in America, e di averla trovata infinitamente meno eccitante della sua propria “droga autogena”, la poesia che gli ravvivava il cervello. Non voglio dire che le droghe non siano pericolose. Alcune lo sono molto, e bruciano la testa di chi le usa. Ma tutte, indistintamente, lo sarebbero di meno se le si ridimensionasse sulla base di ciò che esse sono: sostanze naturali e chimiche che possono procurare, caso per caso, sostanza per sostanza, effetti piacevoli e contro-effetti spiacevolissimi. La distinzione tra droghe “pesanti” e “leggere” (i derivati dalla cannabis) mi pare utile soprattutto perché aiuta a sciogliere quel groppo uniforme e oscuro che chiamiamo “la droga” e comincia a definire razionalmente “le droghe”, differenziandole per qualità e per pericolosità. Naturalmente, in materia, ci sono posizioni differenti. Molti proibizionisti vengono da una dura e rispettabile milizia nel campo della lotta alle tossicodipendenze e quando parlano li ascolto con interesse (tranne i fanatici che hanno in tasca la ricetta magica). Mi pare, però, che tra i vantaggi dell'atteggiamento antiproibizionista ci sia una maggiore propensione a razionalizzare il problema, sfrondandolo degli anatemi moralistici e da quell’alea di colpa e di perdizione che attira i deboli e i suggestionabili come il nettare fa con le api. I fiori del male, alla fine, sono pur sempre fiori, non spiriti maligni. La droga, anzi le droghe, sono un problema di farmacopea impazzita, e di bulimia dei consumi, non di posseduti dal demonio da esorcizzare a suon di sberle. Ai giovani andrebbe spiegato che è un problema di autostima, di controllo di sé, di intelligenza e rispetto dei limiti, non di senso di colpa da alimentare. Che di quello - il senso di colpa - siamo già tutti drogati a morte.


Michele Serra

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