02/12/08

ALFABETIZZARE AI MEDIA: LO “SCHERMO UNIVERSALE” SFIDA LA DEMOCRAZIA


La singolarità della nostra situazione è definita dal fatto che gli sviluppi delle tecnologie della comunicazione hanno già prodotto una regressione collettiva umana di portata epocale. Qualcuno l’ha definita – e io concordo con l’autore – una “modificazione antropologica”. Questa la definizione di Giovanni Sartori, per tratteggiare il passaggio dall’homo legens all’homo videns. Intendendosi con questo non un passo avanti ma uno indietro. Cerco di spiegarmi, anche se penso che questo pubblico sia già al corrente del problema, altrimenti non saremmo qui a discutere di “media literacy”, che io tradurrei in italiano come “educazione ai media”. Tuttavia, essere al corrente non significa essere d’accordo. Infatti, se fossimo d’accordo non avremmo i problemi che la società contemporanea sta dolorosamente affrontando mentre si avvia ad una transizione verso un’altra società di cui non sa nulla mentre dovrebbe sapere tutto. Già, perché se i telespettatori avessero potuto fruire pienamente dei vantaggi delle tecnologie comunicative moderne, delle possibilità teoriche di accesso a ogni tipo di informazione, della quantità stupefacente di dati che ogni motore di ricerca può mettere a nostra disposizione in una frazione di secondo, allora essi saprebbero da tempo che uno sviluppo crescente indefinito in un sistema finito di risorse è impossibile. E quindi non avrebbero creduto alle entusiasmanti descrizioni della crescita del Prodotto Interno Lordo che venivano loro ammannite ogni giorno da tutti gli schermi televisivi. Anzi ne avrebbero diffidato e le avrebbero temute come presagi di sventura. Né avrebbero comprato automobili al ritmo forsennato con cui lo hanno fatto se avessero saputo che la quantità di anidride carbonica che avrebbero contribuito a produrre sarebbe cresciuta fino al punto da minacciare la sicurezza dei loro figli. La singolarità di cui parlo è dovuta al fatto che, nella storia delle tecnologie, in ogni passaggio da un grado di sviluppo a uno superiore, la regola è sempre stata quella di un elevamento della cultura, di un allargamento delle possibilità di fruizione del sapere. Si pensi all’invenzione di Gutenberg, dei caratteri mobili di stampa. Fino a quel momento, per secoli dopo la caduta dell’Impero Romano, il sapere era rimasto confinato all’interno dei monasteri, dove amanuensi, spesso a loro volta analfabeti, copiavano i manoscritti antichi per la fruizione di una ristrettissima élite in grado di leggere e scrivere. L’alfabetizzazione di massa è cominciata con Gutenberg. Da quel momento, con una progressione di impressionante velocità, comparata con i ritmi dell’epoca, prima migliaia e poi milioni di individui poterono avere accesso alla conoscenza. La riproduzione tecnologica del libro produsse il cambiamento economico, sociale, culturale dell’umanità intera. Ciò che era conoscibile per i pochi divenne conosciuto per le moltitudini. Ma gli ultimi venti anni del secolo XX e i primi dieci di questo hanno visto una rivoluzione tecnologica incomparabilmente più grande e possente. Che è avvenuta coinvolgendo non milioni ma miliardi di individui. Ed essa ha – come ho detto all’inizio – prodotto una involuzione. In che senso? Nel senso, assai preciso, che ha prodotto un “analfabetismo di massa”. Cioè non un progresso ma un regresso. Alfabetizzazione, analfabetismo sono però termini che hanno a che fare con l’homo legens. Non esistono termini adeguati per descrivere questo “analfabetismo televisivo”, che è un modo sintetico per definire un più vasto analfabetismo, connesso con l’incapacità di lettura delle immagini, specialmente delle immagini in movimento. L’ “analfabetismo televisivo” è quello che io e Giovanni Sartori (ma anche l’illustre neurofisiologo dell’Accademia dei Lincei, Lamberto Maffei) chiamiamo la regressione verso l’ homo videns. In che consista questa regressione è, tutto sommato, presto detto. Le immagini, specie quelle in movimento, rappresentano un linguaggio. Sono un linguaggio, nel senso precisissimo che comunicano. Una immensa quantità di cose, per altro. Cose “già pronte”, cose che appaiono complete in tutti i loro particolari. Cose che lasciano poco spazio alla fantasia perché sono già esse prodotto complesso. Cose che penetrano direttamente nel cervello perché la fisiologia dell’occhio umano è quella stessa del cervello. Come tutti i linguaggi, quello delle immagini ha una sua grammatica, una sua sintassi, le sue proprie regole insomma. Ma contiene al suo interno un equivoco. Chi guarda immagini in movimento, riprodotte da tutte le innumerevoli tecnologie di cui oggi disponiamo, ha l’impressione di capire tutto ciò che vede. È l’evidenza stessa dell’immagine a dirgli che non ha bisogno d’altro: ha “visto con i suoi occhi”. In questo è nascosta l’illusione. Perché per capire ciò che si sta vedendo, è indispensabile conoscere la grammatica e la sintassi di quel linguaggio. Se non la si conosce si crede di avere “visto con i propri occhi”, ma in realtà si è visto ciò che altri hanno visto per noi. E nemmeno questo è del tutto esatto, perché – non conoscendo la grammatica e la sintassi di quel linguaggio - si vede, nello stesso tempo, molto di più di ciò che, consapevolmente, chi ha girato quelle immagini ha voluto mostrare, e si percepisce, per esempio attraverso i suoni che le accompagnano, ovvero attraverso i contesti visivi in cui quella comunicazione avviene, molte altre cose che con quelle immagini, apparentemente e sostanzialmente, non hanno nulla a che vedere. Come ha detto giustamente, in altra sede, Carlo Freccero, da tempo ormai siamo entrati nell’epoca in cui una immagine o una serie di immagini può essere interamente creata dal nulla. E può apparire altrettanto reale di una immagine reale. In tal caso credere a “ciò che si è visto” - se non si sa che quella immagine non è reale – equivale a essere totalmente ingannati. In tutti gli altri casi, non conoscendo la grammatica e la sintassi della lingua delle immagini in movimento, si può essere facilmente manipolati. Noi viviamo esattamente in un contesto del genere. Tanto più manipolati quanto più la “verità” delle immagini ci appare nitida, in alta definizione, perfetta, senza ombre. Se poi i detentori della proprietà dei media sono consapevoli della potenza di fuoco che hanno nelle loro mani, allora le ripercussioni, culturali, politiche, sociali del problema in questione diventano gigantesche, modificando l’intera fisionomia della vita collettiva. E mettendo in pericolo la stessa democrazia delle società democratiche. Si può trovare su You Tube, riesumata da un antico programma Rai, una bellissima intervista a Pasolini di Enzo Biagi, in cui Pier Paolo diceva cose di straordinaria anticipazione, in questo senso, spiegando come la televisione fosse la quintessenza di una comunicazione “autoritaria”. Non soltanto per il suo carattere unidirezionale, ma per il suo carattere gerarchico. Una gerarchia automatica, prodotta dalla macchina, che pone chi guarda, sempre, in ogni condizione, in stato di subordinazione rispetto a chi parla. E non c’è, sotto questo profilo, nessuna interattività in grado di compensare questa diversità di collocazione rispetto al messaggio. Su questo Mc Luhan ha già detto e scritto cose fondamentali. Il mezzo è il messaggio e non c’è niente da fare per modificare questo stato di cose. Niente da fare? Forse una cosa da fare c’è ed è quello di cui stiamo qui discutendo. Si tratta di vedere se non sia possibile “alfabetizzare ai media” grandi masse di popolazione. Insegnare loro questo linguaggio nuovo, che segnerà inesorabilmente la loro esistenza e quella delle generazioni future, poiché siamo ormai nell’era dell’immagine, dello “schermo universale” e non potremo tornare indietro mai più. Il che significa che, se le grandi masse popolari non saranno in grado di leggere quel linguaggio, esse saranno private della conoscenza del Potere. Ci vorrebbe un altro don Lorenzo Milani per descrivere questo rapporto di espropriazione post moderna. È possibile porsi questo compito? Di alfabetizzare all’immagine il cittadino? Anzi di considerare il linguaggio delle immagini, la capacità di leggerlo e di “scriverlo”, cioè di creare immagini, come un fondamentale diritto democratico? Io credo che porsi questo compito equivale a porsi il compito di ricostruire la democrazia nell’era dell’immagine, perché non potrà esservi democrazia in una società di individui analfabeti. Come non vi era democrazia prima che gli individui sapessero leggere e scrivere. Siamo, come si vede, ben oltre il fondamentale articolo 21 della Costituzione Italiana. Molto più in là – pur senza minimamente contraddirlo – del diritto ad essere informati e ad esprimersi liberamente con la parola e con lo scritto. L’homo videns essendo più minacciato nei suoi diritti dell’ homo legens, necessita di una superiore tutela.

Giulietto Chiesa

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