12/10/08

GIOVENTÙ BEVUTA


Cominciano a bere a 11 anni, a 16 sono alcolizzati. Da Napoli a Vicenza, viaggio tra i ragazzi che si stordiscono di birra, vino, liquori. Una generazione che si ubriaca per trovare un'identità e sentirsi libera. Martina ha 15 anni, l'alito che sa di grappa e il naso sporco di sangue. Alle due di pomeriggio è seduta sul ciglio della strada nel centro di Milano, tra autobus che la sfiorano e passanti che la ignorano. Ha gli occhi socchiusi e l'aria assente. Poi si riaccende, vede che non è sola e racconta senza imbarazzi le sue giornate: “Tutte uguali”, dice: “La mattina passo dal supermercato e compero birra, grappa e pseudo soft drink. Poi arrivo a scuola e mi faccio dare i soldi dai compagni che bevono con me. Ci chiamano i bottiglioni, ma chi se ne frega. All'intervallo andiamo nei bagni e ci sfondiamo di alcol, dopo di che torniamo in classe e stiamo da dio. A volte ci assopiamo pure, mentre i professori fanno lezione e fingono di non vedere. O forse non si accorgono proprio, questo non l'ho ancora capito”. Così ogni giorno, ogni settimana. Solo che oggi, 27 settembre, le lezioni sono finite male. Uscita dal liceo scientifico, Martina è andata in confusione ed è caduta con il motorino. Allora tutto è girato storto e “m'è venuta la paranoia”. Ma non c'è problema, dice: “Questo weekend lo passo in casa a studiare. Lunedì m'interroga la prof di latino e voglio uscirne bene”. Leva il sangue dal viso con un fazzoletto rosa, si aggiusta in spalla lo zainetto e saluta: apparentemente normale. Sorridente. Contenitore perfetto per nascondere il suo problema. Quello che Silvio Garattini, direttore dell'Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano, definisce un'epidemia culturale tra i giovani. Il bere per il bere: a qualunque ora, senza limiti. Per la voglia di ubriacarsi, di fulminarsi e andare altrove: “In una dimensione irreale dove i ragazzini cercano un'identità”, dice Emanuele Scafato, direttore dell'Osservatorio nazionale alcol all'Istituto superiore di sanità: “Un buco nero nel quale troppi minori scivolano senza accorgersene”. Peggio ancora va con gli adulti: “Nel senso che sottovalutano gli abusi alcolici dei figli”, dice Scafato. In questi giorni l'attenzione è centrata sulle tabelle antisbronza che discoteche e pub espongono dal 23 settembre. L'obiettivo è limitare i danni del sabato sera, centinaia di ragazzi che puntualmente si schiantano in automobile. Ma il problema parte prima, molto prima della maggiore età. “L'Italia”, dice Scafato, “ha un orribile record: si inizia a bere a 11 anni, contro la media europea di 13” Il resto è spiegato nell'ultima indagine Istat. Dal 1998 al 2007 il consumo di alcol fuori pasto tra i 14 e i 17 anni è passato dal 12,6 al 20,5 per cento: con le ragazze salite dal 9,7 al 17,9 e i maschi dal 15,2 al 22,7. Il che è l'opposto dello stereotipo nazionale: quello dell'adolescente con il goccio di vino a tavola, sotto lo sguardo complice di mamma e papà. Ma è in linea con il 19,9 per cento dei ragazzi che tra gli 11 e i 15 anni bevono alcol almeno una volta l'anno (54,7 nella fascia tra i 16 e i 17). E con il 7 per cento che tra i 14 e i 17 anni ammette di bere alcolici almeno una volta la settimana. Francesco alza le spalle, quando sente le statistiche. C'è anche la sua storia, in questi numeri, ma non gli importa. Da tre anni ha finito le scuole medie, fa il manovale nei cantieri fuori Roma e alle 11 del mattino gira per le impalcature con una bottiglia di birra in mano. “Bere è bello”, dice: “Cioè, ti stordisce. Però t'aiuta...”. Sei mesi fa, racconta, è andato in crisi: “L'idea di scaricare mattoni a vita m'ha mandato ai matti”. Allora ha provato a cambiare settore: fattorino, magazziniere, idraulico. Porte chiuse in faccia. A 16 anni, con 500 euro al mese in nero, si è sentito finito. E ha iniziato a bere: prima in compagnia, tutte le sere “birra, vino, whisky, ma anche sambuca e amari”; poi sul lavoro, senza pensare ai rischi. Finché un giorno è caduto da un primo piano e si è spaccato un braccio. “Al pronto soccorso il dottore m'ha sgamato”, ricorda: “M'ha detto di andarci piano, con le bevute. E io ho risposto: esagero, invece. Meglio ammazzarsi di vino che 'sto strazio”. I medici usano altri termini, per fotografare le baby sbronze. Parlano di binge drinking, l'abitudine a “consumare eccessive quantità di alcol (per convenzione sei o più bicchieri) in un'unica occasione”. Ma la questione non cambia: “I ragazzi italiani, a prescindere dalla latitudine e dalle classi sociali, hanno conferito al bere un potente ruolo sociale”, dice lo psichiatra Michele Sforza, direttore del servizio Alcologia alla clinica Le Betulle di Appiano Gentile (Como): “Ubriacarsi, per loro, è un po' come apparire in televisione: esalta l'esistenza, la giustifica e la proietta oltre gli ostacoli. Niente a che vedere con la trasgressione: al contrario, gli under 18 si ubriacano per conformismo. Per farsi forza. Non vogliono essere sfigati e bevono: come tutti quelli che li circondano”. Le conseguenze rimbalzano sui quotidiani. A Belluno, questa estate, una quattordicenne è stata ricoverata in coma etilico dopo un festino diurno. Sempre in Veneto, il ‘Gazzettino’ ha titolato: “Trecento adolescenti l'anno in coma etilico”. A Rimini, il pronto soccorso ha registrato in due mesi (giugno e luglio) 200 casi di forte alterazione alcolica, con il 40 per cento delle ragazze tra i 16 e i 22 anni. “I giovanissimi bevono sempre di più”, conferma Mario Cavazza, direttore del pronto soccorso al Sant'Orsola di Bologna, “ma inquadrare il fenomeno è difficile. Molti non vengono in ospedale perché informiamo le famiglie”. “Piuttosto”, dice Maria Paola, 17 anni, istituto tecnico a Bari, “dormo da un'amica, deliro un po' e passa tutto. Cioè: quasi sempre passa. A volte esagero e svengo, anche due o tre volte di fila. Perdo il controllo e parto con la testa. Finalmente non c'è mia madre che rompe, o mio padre che urla perché ha perso l'ennesimo lavoro. Ci sono soltanto io: libera da tutto e tutti”. Di queste storie è affollata Internet. Basta entrare nella comunità di Facebook e digitare la parola “sbronza”. Così s'incontra il gruppo dei 'Non siamo alcolisti anonimi ma ubriaconi famosi', ragazzi ad alta gradazione con slogan tipo I believe in alcol e Datemi un cuba!!!!. Oppure trovi il gruppo di 'Quelli per cui l'alcol è il primo nemico... e davanti al nemico non scappano', 2 mila 664 iscritti. Scrive Marco: "Ecco... allora... Io la più grande botta che mi sono preso è stato al compleanno di un amico. Mi sono sparato un litro e mezzo di sangria, due bottiglie di spumante e non so che altro. Il brutto è che la sangria si fa con il vino rosso e basta, mentre l'avevano fatta con rosso+bianco+frizzantino+spumante. Ho vomitato a letto mentre dormivo e ho svegliato tutti in casa. Quando alle quattro di notte i miei sono entrati in camera, ero incosciente. Stavo per affogare nel vomito. E ovviamente, il giorno dopo, amnesia totale...". Si potrebbe pensare: i ragazzi, minori e non, hanno sempre bevuto. Magari un po' meno, magari senza l'attenzione dei giornali addosso. Ma non è così: "È cambiato tutto", dice Riccardo Gatti, direttore del dipartimento delle Dipendenze all'Asl di Milano: “I minori bevono in quantità impressionante perché il sistema dei new media li induce a farlo. Chi produce alcolici agisce on line, crea consenso indotto, spara input suggestivi. E finisce l'opera con la pubblicità, abbinando l'alcol a immaginari vincenti. Così l'appello al ‘bere consapevole’ non ha senso. Anche perché i minori bevono già 'consapevolmente': vogliono stravolgersi e usano l'alcol come una droga”. “Verissimo”, dice Eli, 14 anni, capelli a caschetto, All Star ai piedi e idee chiare in testa: “Sappiamo cosa facciamo e siamo meno ipocriti degli adulti. L'altro giorno, ad esempio, sono andata sul sito della Campari. Volevo vedere se c'era qualcosa di nuovo da bere. Di solito mi faccio calette di vodka e Red Bull, che aiuta a stare sveglia, ma avevo voglia di cambiare. Sullo schermo, però, è apparsa la scritta: ‘Se vuoi accedere alla sezione Brand devi essere maggiorenne’. Sotto c'erano due pulsanti: uno per i minori e l'altro per gli over 18. Ho premuto il secondo, ho inserito la data di nascita di mia madre e sono entrata alla grande. Non è assurdo?”. In effetti sì. Ma non è l'unica stranezza, sul fronte dell'alcol. Un altro paradosso lo segnala il dottor Gatti: "Con la legge 125 del 2001 è stata creata la Consulta nazionale dell'alcol. E da chi è composta, oltre che da medici qualificati e addetti ai lavori? Da un rappresentante delle associazioni di produttori e venditori di alcol". Incredibile, dicono i medici: “Come se nella consulta sulla droga ci fosse un trafficante colombiano...”. “D'altro canto”, ribatte il presidente di Assobirra Filippo Terzaghi, “sarebbe assurdo se all'interno della Consulta, dove si affrontano gli aspetti commerciali del bere, non ci fosse la nostra voce. Polemiche a parte, c'è un punto sul quale concordiamo tutti, studiosi, produttori e Organizzazione mondiale della sanità: i ragazzi con meno di 15 anni non devono assolutamente bere alcolici. Lo ribadiamo di continuo. Anche per una ragione pratica: non vogliamo pubblicità negativa”. Intanto, le notti italiane sono affollate di minorenni ubriachi. Dalla Puglia all'Emilia Romagna, dal Lazio al Veneto è una fila continua di bicchieri vuoti. Si decolla il pomeriggio con l'happy hour a base di cocktail o ready to drink (mix alcolici in bottiglietta) e si atterra a notte fonda con assortimenti vari. L'Istat specifica che le bevande più diffuse nella fascia 11-17 anni sono birra (18,6 per cento), aperitivi (15,2), vino (11,7), amari (6,2) e superalcolici (7,7). Un affare da milioni di euro che non conosce crisi. Verificarlo è facile: basta infilarsi un mercoledì sera nella movida milanese di viale Montenero, davanti al Cafè Mom. Oppure seguire i quattordicenni sbronzi che, alle Colonne di San Lorenzo, fanno collette per comperare cocaina. O ancora, sbarcare un sabato qualunque nel centro di Vicenza, dove gli under 18 si trovano dopo cena a strabere. Ciondolano davanti all'Ovosodo, al Grottino o all'Osteria Cancelletto, con i bicchieri in mano e le espressioni stranite. “Non conoscono limiti”, dice Fabio Casarotto, titolare del Cancelletto. “Molti iniziano la serata bevendo gli spritz (Aperol, Campari, seltz, vino bianco) e continuano a oltranza con i chupiti: bicchierini di rum o tequila da ingurgitare in un colpo secco. Logico che fondono: bevono, tirano coca e non andrebbero mai a dormire”. Mirko, Leo e Stefania, per esempio, all'una di notte hanno finito il giro dei locali vicentini. Sono brilli, un po' fumati, ma hanno ancora voglia di alcol. “Vai di beverone!”, ride Stefania (17 anni). Poi s'attacca a una bottiglia di plastica da un litro e mezzo piena di liquido verdastro. “Lo prepara lei”, dicono Mirko e Leo (entrambi 15 anni). “Non sappiamo neanche cos'è: ci stende e basta”. Non temono di diventare alcolisti. Bevono soltanto nel fine settimana: “Per gioco, per dare il meglio in compagnia”, dicono. Eppure è questa, ricorda Scafato dell'Istituto superiore della sanità, la strada maestra verso la dipendenza: “Il problema è dialogare, con questi ragazzini. Renderli consapevoli dei rischi. E ragionare, intanto, con le strutture di analisi e prevenzione: dalla Consulta ai servizi territoriali, fino alle associazioni volontarie”. In pratica, quello che avverrà il 20 e 21 ottobre a Roma nella prima Conferenza nazionale sull'alcol. Un appuntamento preceduto da grandi aspettative e qualche polemica. Ad esempio, c'è chi considera inadeguato il milione 32 mila 914 euro stanziato annualmente dal ministero della Salute per “le azioni di informazione e prevenzione” contro l'alcolismo; soprattutto se paragonato ai 4 milioni 986 mila euro spesi nel 2007 dal ministero della Salute per la lotta all'abbandono degli animali. “Ci vogliono mezzi, personale e fondi a tutto campo”, dice Germano Zanuzzo, responsabile del Sert (Servizio pubblico tossicodipendenze) di Treviso. “Fino agli anni Novanta i ragazzi non bevevano regolarmente: anzi, lo giudicavano un comportamento da vecchi. Ora ubriacarsi fa tendenza. Sintonizza i giovanissimi con la società degli adulti, i cui le sbronze premeditate sono l'altra faccia dell'efficentismo sfrenato”. Anche da questo, parte l'appello un po' retrò del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Carlo Giovanardi (con delega a famiglia e droga): “Bisogna puntare sul ruolo della scuola, delle associazioni sportive e della chiesa", dice. Propone di non concedere il patentino ai sedicenni che abusano di alcol o droghe. E vigila come può, estendendo a tutta Italia i controlli stradali. Ma deve confrontarsi, alla fine, con un Paese dove i divieti antisbronza sono pochi e poco rispettati: niente alcolici nei locali dopo le due di notte, massimo 0,5 grammi di alcol per litro nel sangue di chi guida. E niente mescita di alcolici ai minori di 16 anni. “In altre parole”, dice Roberta Agabio dell'Università di Cagliari, membro della Società italiana di alcologia, “i ragazzi non possono bere alcolici versati in bicchiere, ma possono acquistarli in bottiglie chiuse”. Grottesco, vista l'emergenza in atto. “Le storie con cui ci confrontiamo", dice Agabio, “hanno per protagonisti undici-dodicenni che a 16 anni sono dipendenti. Giovani con evidenti difficoltà fisiche e psichiche: dalla gastrite alla depressione, fino alle esplosioni di aggressività”. Un repertorio che Claudio, geometra genovese, conosce bene. Lui i 18 anni li ha passati, ma il suo disastro è cominciato in quinta elementare. “Mia madre”, racconta, “mi mandava a comperare il vino da un grossista vicino a casa. E quello, per cortesia, mi offriva un bicchiere di rosso. Da allora ho bevuto di tutto: birra, cocktail, superalcolici. Anche amari e vino: tanto vino. Sono arrivato a scolarmi due, tre bottiglie a sera. E a buttarci sopra, per compensare, la cocaina”. Un inferno che i genitori intuivano, ma non osavano affrontare: “Ti droghi?, chiedeva ogni tanto mio padre. E io: No, stai tranquillo, bevo solo qualche bicchiere. Al che mi lasciava stare. Perché anche lui beveva, al bar”. Oggi Claudio partecipa regolarmente alle riunioni degli Alcolisti anonimi, l'organizzazione auto-finanziata che dal 1972 aiuta in Italia le vittime del bicchiere. Si siede attorno a un tavolo con altri venti bevitori e parla del suo problema. Ad ascoltarlo c'è Francesca, segni freschi sul polso di un tentato suicidio. C'è Giorgio, aria benestante, che vuole “ricostruire i sogni infantili distrutti dall'alcol”. E c'è Mauro, ex campioncino di ciclismo, bruciato da vodka, rum e acidi. C'è, insomma, un'umanità in bilico che costruisce solidarietà tra bevute e ansie. Tutti si presentano allo stesso modo: con il nome di battesimo e l'aggettivo ‘alcolista’. E tutti ripetono lo stesso invito, rivolto non ai minorenni, ma ai loro genitori: “Smettetela con la storiella che il vino fa bene, che un bicchiere a tavola fa sangue. Aprite gli occhi e tutelate la salute dei vostri figli”. Parole chiare. Mutuate, non a caso, dall'Organizzazione mondiale della sanità, la quale punta per il 2015 all'azzeramento dell'alcol tra gli under 15. “La sfida è pesante”, dice Aniello Baselice, presidente dell'Aicat (l'Associazione italiana dei club per alcolisti in trattamento, attiva in Italia con 2 mila 300 gruppi multifamiliari): “Dobbiamo aiutare i ragazzi a riconoscere di avere un problema con l'alcol. Soltanto a quel punto, è possibile il recupero umano e psicologico”. Proprio come dovrebbe fare Patrizia, 16 anni, campana, da quattro anni persa nell'alcol. Lei sa che si sta distruggendo. Sa, anche, che bere prima dei 15 anni quadruplica il pericolo della dipendenza. Ma non si è mai frenata: “Dopo una partita della Salernitana”, ricorda, “ero talmente fusa che mi hanno ricoverata in ospedale. Sono fatta così, e la società non mi aiuta a cambiare”. L'altra sera, ad esempio, è andata all'inaugurazione di una discoteca. Non voleva ubriacarsi, “ma gli alcolici erano gratis mentre gli analcolici no. A notte fonda ero sbronza e furibonda assieme. Non si fa così, non si specula sulla nostra pelle”.

Riccardo Bocca

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