23/09/08

L'INSINCERITA' COME FORMA MENTALE


“Come spesso accade generalizzando, il rischio di gettare con l’acqua sporca anche il bambino c’è. È un’eventualità che, disquisendo su interi sistemi e non su singoli elementi, non si può escludere. Siamo consapevoli della difficoltà, ma non sarà per questo che rinunceremo a cimentarci. (…)” Questa la premessa al lavoro che il Gruppo di Discussione Critica, da qualche tempo, sta faticosamente producendo attraverso l’analisi e l’ elaborazione di elementi raccolti “sul campo”, frutto di osservazioni e di ricerche, effettuate da alcuni suoi membri, durate oltre un decennio (dall’ottobre 1995 all’aprile 2006). La documentazione, di diversa provenienza, si sostanzia in una serie di dati storici che rivelano il comune tratto distintivo della popolazione. È un lavoro ambizioso provvisoriamente denominato “Persone e Fatti. Genesi del pensiero collettivo teserano” che avrà bisogno – come ci dicono gli Autori – di ulteriori integrazioni e correzioni prima di essere dato alle stampe. L’argomento in questione non è di facile approccio e proprio per questo i suoi curatori chiariscono di averlo trattato con la maggiore oggettività possibile. Lo studio parte dalla verifica di alcune costanti medie, tipiche nella comunità di Tesero, in particolare la presunzione e l’imprevidenza; caratteristiche che, sommate ad altre, hanno prodotto, spesso, conseguenze drammatiche, talvolta addirittura tragiche (una su tutte Stava). Il testo, a sostegno e dimostrazione della tesi, elenca in appendice una lunga serie di fatti denominati “le tieserade” che cronologicamente parte dal lontano 1850 circa e arriva sino ai nostri giorni. In altra occasione si provvederà a pubblicarne uno stralcio. La delicatezza della materia è evidente “(…) Crediamo sia bene comunque parlarne, certi che conoscere i propri limiti o i propri difetti aiuti a migliorarsi, anche se – e ne siamo consapevoli – non mancherà chi nel merito avrà da ridire.” Partendo dalla considerazione che una comunità disegna la propria storia attraverso processi culturali e fattuali che si perdono nel tempo, ma che il “filo rosso” che ne lega gli episodi è generalmente frutto di un pensiero collettivo immutabilmente ripetuto, il Gruppo di Discussione Critica cerca di definire il più nitidamente possibile le caratteristiche, per così dire, genetiche che ne sono alla base. Nel progredire della ricerca emerge come nel formarsi di questo sentire comune, che ha effettive apparenze genetiche, un ruolo fondamentale sia stato quello giocato dalla Chiesa, che ha fatto, più o meno volontariamente, da brodo di coltura. Essa infatti, essendo la più radicata istituzione della comunità, attraverso i secoli ha prodotto importanti e apparentemente irreversibili condizionamenti socio-culturali. Gli Autori sottolineano che “(…) nonostante l’influenza sui comportamenti individuali di questa millenaria istituzione sia andata fortemente diminuendo, specie negli ultimi quarant’anni, la forma mentale collettiva, che si è plasmata in secoli di ininterrotta supremazia ecclesiastica, non è affatto cambiata. Anzi, meraviglia il fatto che, nonostante le uscite e i subentri generazionali, le contaminazioni culturali esterne, la globalizzazione mediatica, la scuola di massa, eccetera, niente lasci presagire una modificazione sostanziale (si badi bene: sostanziale) dei comportamenti collettivi così sedimentati. Il sentire comune del paese è ancora pesantemente intriso di un retaggio più autoritario che spirituale, sclerotizzato da più di due secoli di dominazione culturale esercitata dalla Chiesa sulla popolazione di Tesero.” Ma evidentemente questo non è sufficiente a giustificare le conclusioni dello studio. È fuor di dubbio che tale influenza avrebbe dovuto “contaminare” allo stesso modo anche le altre vicine comunità, anzi molto di più, visto che, continuano gli Autori “…i Teserani denominati, ab immemorabili, i sapienti, per il loro spirito d’indipendenza dalle convenzioni e l’equilibrato giudizio col quale i singoli problemi venivano affrontati, per quanto obbedienti ai precetti della religione spesso si distinsero per l’insistenza nel volere un certo controllo nell’amministrazione dei beni ecclesiastici urtandosi talvolta coi parroci che a tale spirito critico, qui in valle, non erano affatto abituati. Nel Settecento i Teserani posti di fronte alla scelta, nelle segrete dispute fra il principe vescovo e l’imperatore, dimostrarono spesso di preferire il padrone lontano a quello vicino suscitando ire e recriminazioni da parte dell’autorità religiosa.” Quindi è chiaro che successivamente a quell’epoca nella comunità paesana qualcosa mutò. E infatti, nel prosieguo si afferma “(…) c’è dell’altro: è evidente che qui (a Tesero n.d.r.) siamo in presenza di una particolare predisposizione genetica dominante che a partire dalla metà del 1800 circa ha lentamente egemonizzato la popolazione.” L’analisi dei comportamenti sociali – nel testo curata esemplarmente – svela infatti “un particolare modo di porsi nei confronti delle cose, degli accadimenti e delle persone tipico di gran parte dei Teserani che ne rivela immediatamente il tratto caratterizzante. (…) Il più evidente di tutti è dato dalla concessione aprioristica di credito nei confronti delle decisioni di interesse pubblico prese dall’Autorità pro tempore. L’individuo rinuncia all’elaborazione personale e all’analisi delle questioni generali, impedendo il formarsi di una massa critica che dia modo all’Autorità pro tempore di confrontarsi e, se del caso, di migliorarsi o correggersi. La presa di coscienza individuale arriva sempre per “aggregazione” al pensiero altrui, che origina dal “principio di autorità”, e confida nell’infallibilità di chi decide”... Proseguendo, gli Autori, per similitudine, paragonano il prototipo del paesano ad una maschera. Quasi che esso fosse perennemente calato nella parte di un recitante della Commedia dell’Arte e che, come Arlecchino, Pantalone, e Colombina, pubblicamente veste sempre gli stessi panni. “(…) La parte di Teserano è presto scritta: semplicità, bonarietà, laboriosità, chiarezza d’idee poca, un indefinito vagheggiamento artistico e poco altro;” e infatti continuando si chiarisce ulteriormente: “(…) (esterno al proprio gruppo familiare più intimo, entro il quale tale caratteristica viene sospesa o quantomeno allentata e dove la più autentica profondità caratteriale prende corpo e si manifesta): un disinteresse sostanziale nei confronti di tutto ciò che non produca un tornaconto diretto (non necessariamente venale) e una maschera di buone maniere e cordialità che non lascia intendere assolutamente il profondo sentimento che essa nasconde.” E ancora: “(…) C’è sempre un non detto che predomina, e quando questo nasconde ostilità, si evita accuratamente lo scontro “ideologico”, che quasi sempre in verità esiste, ma che non si palesa mai. Solo se la controparte “forza” lo scontro, allora e solo allora, il muro inibitorio cade con fragoroso rumore e aspre conseguenze. Ma l’intimo pensiero ancora non riesce a emergere e non lo si riesce a smascherare: c’è solo reazione violenta, e mai ammissione dei propri limiti e delle proprie debolezze.”
“(…) La verità di ciò che si pensa rimane nascosta. (…)
Qui ritorna il peso della Chiesa che ha plasmato questo stile, e che – si spingono a dire gli Autori – lo ha, più o meno consapevolmente, coltivato. “La maschera di Teserano continua a frequentare il Tempio senza avere più la minima convinzione o nutrire il minimo dubbio. È appunto pura parte in commedia. A “Teserano” resta soltanto un’unica impellente, “irrinunciabile” necessità: sentirsi guidato o soprinteso da un’Autorità, alla quale non riconosce più alcun valore se non quello tautologico di essere appunto Autorità. Il parossismo di questa recita evidenzia il nulla dietro la maschera, l’ipocrisia di una ritualità svuotata di ogni convinzione, la superficiale professione di fede, eccetera.” E, proseguendo “(…) Teserano adesso è laico: sul sagrato la domenica recitano solo poche maschere; la stampella dell’Autorità ecclesiastica è cosa per pochi nostalgici, per inguaribili retrò, o per nuovi briganti che cercano di riciclare la propria immagine pubblica. L’emancipazione ha fatto il suo corso, l’evoluzione si è compiuta e ora la maschera di Teserano recita con disinvoltura e senza sbavature su tutti i palcoscenici della comunità paesana: l’associazionismo, il volontariato, le istituzioni culturali e sociali. (…) ma il messaggio ultimo e implicito che se ne coglie è sempre lo stesso: Mai palesare la verità del proprio più intimo pensiero”.
Fine 1^ parte (la 2^ parte della recensione verrà pubblicata martedì 30/09)

1 commento:

  1. Certo, è molto importante conoscere il pensiero del Gruppo di discussione Critica, ma altrettanto interessante sarebbe conoscerne il viso dei suoi componenti. E ciò non solo per misera curiosità.
    Comunque, è innegabile che l'analisi condotta in questa prima parte afferri quasi con foga, il pensiero del lettore.
    Attendo con trepidazione il prosieguo. Grazie.

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