18/08/08

MASI, CERMIS E DINTORNI


Le recenti vicende del comitato civico di Masi, delle quali abbiamo dato conto recentemente su questo blog, rimandano a fatti accaduti a Tesero più o meno un quarto di secolo fa. Dall’amico Marzio Vinante, consigliere comunale di opposizione ai tempi della tragedia di Stava, abbiamo ricevuto questa lettera. È un’opinione importante, che pertanto, doverosamente, pubblichiamo, espressa dal privilegiato osservatorio di chi ha memoria storica dei fatti.


Caro Euro, ieri, passando dalla biblioteca, ho dato un’occhiata ai fogli dei giorni scorsi, per avere un quadro delle considerazioni che il giornalismo locale era riuscito a fare sull’assemblea di lunedì a Cavalese. Su ciò che avevo sentito e percepito quella sera, ho riflettuto tutti questi giorni, non maturando particolari e diverse convinzioni da quelle che istintivamente mi si erano depositate già quella sera al Consiglio. Provo a trasferirtele a grandi linee così come le ho fissate nella memoria. Per la verità avrei voluto metterle con una esposizione pensata e decorosa ma sono giù di allenamento e la “penna” non mi corre come vorrei; soprattutto ora che (da un po’ di tempo) ti leggo sull’OrcoBlog e ho modo di apprezzare la sensatezza delle tue considerazioni, sempre argomentate con precisa meticolosità e condite con quell’ironia e sarcasmo che fanno di un caffè, spesso amaro, una dolce e amabile bevanda da tempo libero.
Vengo al dunque. Alla riunione di Consiglio mi è sembrato che gli spunti di riflessione fossero nella sostanza:
1. Il Comitato e ciò che realmente lo ha spinto a fissarsi su posizioni di intransigenza;
2
. La Società Funivie;
3. Il Comune;
4. L’Ufficio dighe della PAT attraverso il suo massimo rappresentante ing. Lorengoni (?);
5. La Fondazione Stava.

Parto dal fondo:
La Fondazione. Su di essa e sul suo ruolo rimane ben poco da aggiungere dopo quello che hai scritto tu. E’ evidente che avendo opportunamente eliminato dalle sue finalità ciò che la Associazione Sinistrati si era invece prefissata come punto fondamentale e cioè il rifiuto incondizionato di qualsiasi bacino a monte dei centri abitati tanto che la questione era approdata in Consiglio a Tesero nel momento in cui (fine anni 80) l’Itap aveva in progetto un vascone di accumulo, la Fondazione assume di fatto il mero ruolo di folclore soporifero, molto efficace in un contesto di offerta turistica a 360 gradi. Ascoltando le considerazioni inviate dal suo Presidente, Graziano Lucchi, è sembrato persino magnanimo un suo paragone a Ponzio Pilato.
La P.A.T. La relazione sicuramente esaustiva del suo tecnico è apparsa sfacciatamente rassicurante: comunque degna più di un tecnico di parte, quale quello delle Funivie, che di un Ente sopra le parti anche se con precise finalità di controllo sia sulla localizzazione che sulla progettazione. Dalle sue parole traspariva, in modo chiaro, un senso di giudizio favorevole, quasi di soddisfazione alla costruzione dell’opera. Infatti, quel settore Pat ha senso di esistere se e soltanto se i bacini si fanno. Considerato che l’industria estrattiva e idroelettrica hanno esaurito il loro filone di sviluppo significativo, per il Servizio dighe sembra rimanere solo l’ambito sciistico come nuova piazza di lavoro.
Il Comune. Attraverso il suo Consiglio ha scelto la via più scontata, per la quale le frasi spendibili sono quelle standard: sviluppo, posti di lavoro, posti letto, alberghi che devono chiudere, certezza stagionale eccetera. Dimostrando ancora una volta di non essere in grado di spostare l’argomentare su altri piani quali l’etica, il territorio, i sentimenti di paura, la perdita di valori: in definitiva la vivibilità del territorio. Direi di più. Il Comune ha accettato, di fatto, di essere umiliato non per 60mila mc. ma per “soli” 10mila. Infatti, in fase di pianificazione, quindi molto prima che la società Funivie avanzasse (8 e più anni fa) le proprie richieste di accumulo d’acqua, egli aveva già previsto con “ragionevole lungimiranza” una necessità di 20mila. Si può obiettare che sicuramente non sarebbero stati quei 10mila metri cubi di capienza in più, (1/6 di quella richiesta dalla Funivie) che se non concessi, avrebbero portato la Società a vivere difficoltà insormontabili in fase di neve programmata.
La Società Funivie. Il suo comportamento in tutta la vicenda, visto lo stato di partenza del Piano con le richieste avanzate dalla stessa e le concessioni invece accordate dal Comune, non sembra affatto serio e degno di una Società che si rispetti. Se essa, a fronte di una richiesta (8 anni fa) di 60mila, accetta (oggi) una concessione di 30mila, cioè la metà, viene spontaneo chiedersi: che tipo di previsione in termini di fabbisogno idrico e di passaggi nonché di sviluppo piste aveva presentato al vaglio degli Amministratori? Quanto sono di fatto veritiere, quindi affidabili, le argomentazioni dei suoi tecnici e di essa medesima quando si siede al tavolo della discussione, se oggi accetta una così vistosa riduzione delle proprie pretese? Viene spontaneo ritenere che se, 8 anni dopo, si accontenta della metà, poteva benissimo accontentarsi anche di un terzo: i 20mila del Piano. Anzi, forse poteva addirittura farne a meno. Viene da pensare che la Società mercanteggi l’occupazione del territorio del Comune e della Comunità per fini diversi da quelli dichiarati. La sua filosofia comportamentale sembra essere quella non solo di sparare alto per avere la metà, ma di sparare comunque, per principio, anche senza necessità reale, quasi a voler preventivamente intimorire il popolo e conservare agli occhi del medesimo una dimensione dominante e un ruolo guida in ambito imprenditoriale, economico, politico.
Il Comitato. Merita considerazione, sia perché ha saputo creare una mobilitazione di pensiero e di persone, non comune, sia perché è riuscito a tenere viva e a salvaguardare la sua integrità nonostante i tavoli di mediazione fossero disseminati di polpette avvelenate. Sicuramente in origine l’elemento coagulante è stata la paura. Ma lungo il percorso, secondo me, nelle persone del Comitato e di chi ha votato anche la seconda volta contro il bacino, ha preso campo la coscienza che altri si stiano impadronendo del loro territorio. La gente di Masi si sente accerchiata, sovrastata, compressa da tutta una rete di altrui interessi e di interventi sul territorio che considera (a ragione) il suo, da non riuscire a sopportare oltre, tale fatto. Per questa ragione, il movimento merita attenzione che sconfina in ammirazione se si osserva come gli “intellettuali”, eccezion fatta per il cons. Morandini, siano praticamente assenti al suo interno. Anzi, di più! Non è trascurabile la componente che è riuscita a ascoltare il proprio animo, quindi i propri bisogni reali, piuttosto che il proprio portafoglio. Tutto ciò è un segnale che i politici farebbero bene a leggere: la gente (forse) non è più disposta a sacrificare proprio tutto per il danaro. In essa, sembra sia ancora vivo quel bisogno di felicità reale e totale che le deriva solo dagli affetti, dalla capacità di comunicazione e aggregazione attorno a essi, dal legame con la propria terra, con le sue forme, gli odori, i suoi silenzi, i suoi torrenti. Forse Masi è una eccezione. E’ bello, però, sognare di esserne contagiati.
Ti saluto. Marzio.

Tesero, ferragosto alle ore 22.20

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