26/08/08

GLOBALIZZAZIONE E AMBIENTE - 1^ parte


Premessa

Il continuo peggioramento delle condizioni ambientali del pianeta palesa, senza ombra di dubbio, che in questo momento l’umanità non è in condizione di avviare una politica atta ad invertire le tendenze in atto. Nonostante vi sia una diffusa consapevolezza ed una approfondita conoscenza scientifica delle modalità con cui l’uomo altera l’ambiente e su come queste variazioni comportino effetti negativi, immediati e duraturi, alla sua salute, nonostante vi siano tutte le strumentazioni tecniche necessarie per modificare le cause, non è attivata un’azione complessiva che possa ridurre i fenomeni di degrado riscontrati. Da diversi decenni il termine sostenibilità è divenuto parte del linguaggio, indicando con esso la ricerca e la pratica di soluzioni in grado di non peggiorare ulteriormente le condizioni del pianeta. In tale maniera, per quanto le definizioni del termine possano sembrare aleatorie, comunque è stata dichiarata la possibilità che vi siano scelte concretamente perseguibili. Potendo oggi fare un bilancio di quanto fatto in questa direzione negli ultimi trenta anni da molte decine di paesi, e da quasi tutte le organizzazioni internazionali in cui si affronta il problema della sostenibilità, si può concludere che il modello praticato è stato capace di peggiorare in maniera significativa la già grave situazione. E questo nonostante la rarefazione nel tempo del termine sostenibilità, nonostante la grande confusione terminologica volutamente creata dagli operatori per mistificare le proprie azioni e presentarle come ambientalmente qualificate. I successi raggiunti sono parziali, specifici, locali e contribuiscono a dimostrare tanto che altri percorsi sono perseguibili quanto che pur avendone le capacità non sono diffusamente perseguiti. La grande confusione che interessa le modalità con cui viene attribuito l’aggettivo “sostenibile” o “ambientale” ai progetti, alle merci, ai manufatti evidenzia come la cultura di questo modello abbia una cattiva coscienza. La cattiva coscienza di sapere perfettamente che un percorso di sostenibilità cambia profondamente la struttura culturale, sociale e produttiva di una società e di non volerla assolutamente cambiare anche a rischio della salute di tutta la popolazione planetaria. La sostenibilità non è compatibile con questo modello, è alternativa. Perché parla un linguaggio diverso. Se si vuole adoperarsi per essa in primo luogo non è possibile parlare di crescita, vanno ridotte le quantità, vanno ridistribuite le ricchezze per permettere un miglioramento del benessere dei molti, vanno eliminati gli sprechi che sono la ragione della rincorsa all’arricchimento, va eliminata l’accumulazione, va aumentata l’autonomia e la consapevolezza delle comunità. Per bloccare il continuo peggioramento delle condizioni del pianeta, non sono sufficienti gli stentati passi fatti dai governi, è necessario avviare un processo diffuso di riqualificazione e conservazione ambientale che limiti gli interessi di quelli che sono i motori primi di questo modello, che riduca i profitti, che modifichi la cultura allineata alla difesa di piccoli vantaggi di una società dannosa per l’ambiente e nociva per gli uomini. Per fare questo si ritiene che si debbano acquisire comportamenti individuali e collettivi che consentano di uscire dalla trappola letale del quotidiano, dalla schiavitù delle merci, dall’asservimento ad abitudini incongrue, dall’autoritarismo delle decisioni, dal decisionismo dei poteri economici. Ciò si può attuare solo nell’ambito della cultura libertaria.
Di seguito si tracciano delle piccole riflessioni volte ad individuare quanto di insostenibile vi sia nel modello praticato, quanto sia importante fare chiarezza su comportamenti apparentemente sostenibili e quanto siano facilmente praticabili altre forme di vita sociale sul pianeta.

Abitare

La cultura contemporanea ha destrutturato il senso di questa parola parcellizzando le attività che compongono una giornata: una zona dove si dorme, una dove si lavora, dove ci si diverte etc.: l’unitarietà dell’abitare si è persa nello svolgimento di azioni produttive o commerciali (acquisto e consumo). I territori sono ignoti, non vi è legame con essi non vi è conoscenza dell’ambiente e della società, neanche quella conoscenza semplice ma efficace che aveva la cultura tradizionale. I luoghi vengono precostituiti dagli interessi economici (vedi centri commerciali, ipermercati, multisale etc) e sono uniformati all’immagine commerciale della contemporaneità. In essi gli individui hanno solo la funzione di acquirenti di merci ma non possono contribuire alla loro definizione e uso.In tale maniera non si abitano più i luoghi perché non vi è più relazione con essi. Partecipazione attiva alla definizione degli spazi insediativi, promozione della critica ai centri commerciali, agli ipermercati, alle catene di produzione e distribuzione che uniformano l’alimentazione, l’arredamento, lo spazio fisico.

Automobili

Ogni giorno gran parte dei cittadini del mondo è tartassata da una incalzante pubblicità sugli autoveicoli privati su gomma. Se non ci fosse questa pubblicità costante quasi certamente si venderebbero molte meno auto, la nostra società non sarebbe automobile-centrica, non avremmo problemi di inquinamento urbano, di posteggi, etc. etc. Nel modello attuale la mobilità individuale su gomma appare per molti territori indispensabile e insostituibile (si pensi agli insediamenti di case individuali diffuse su gran parte del territorio). Ma non è così. Si possono organizzare molte altre modalità di trasporto a partire da quello individuale a motore (moto di piccola cilindrata) bicicletta o altro che possono risolvere percorrenze di minore entità o ricorrere ad auto pluriutilizzate, comunque di cilindrata e dimensioni più piccole. Si può fare adesso, senza troppo sacrificio, senza cambiare le regole che sussistono:
chi non si muove in questa direzione, chi possiede per scelta autoveicoli di grande cilindrata, di grande dimensione, di recente costruzione è portatore di fatto di una cultura autoritaria, inquinante, socialmente dannosa.

Consumo dei suoli

Insediamenti e infrastrutture si espandono occupando terreni. La aree sottratte perdono ogni potenzialità ecologica, non sono biologicamente produttive. Le aree insediate sono deserti portati all’interno di sistemi naturali di ben altre capacità, ambiti di difficile recupero naturalistico, che permangono nel tempo e partecipano attivamente all’innalzamento delle temperature e tale condizione diviene ancora più grave in quanto esse si collocano nei territori di maggiore produttività agricola (le medesime che garantiscono condizioni ottimali per gli insediamenti). Le grandi quantità di suolo consumate dovrebbero aprire una riflessione sulla necessità di contenere gli insediamenti non tanto trovando soluzioni nell’altezza degli edifici, quanto recuperando gli spazi non utilizzati o sottoutilizzati, composti da seconde e terze case, troppo ingenti superfici pro capite, capannoni abbandonati e iper-dimensionati, derivati da utilizzazioni strumentali del costruito (investimenti e redditi), permessi dal modello economico (costi ridotti, speculazioni) e sostenuti dalla cultura (le grandi dimensioni) che sono la principale causa dell’espansione del costruito. (continua)

2 commenti:

INCANTO NOTTURNO

INCANTO NOTTURNO
Sara

LE OCHE E I CHIERICHETTI

LE OCHE E I CHIERICHETTI
Bepi Zanon

TESERO 1929

TESERO 1929
Foto Anonimo

PASSATO

PASSATO
Foto Orco

ANCORA ROSA

ANCORA ROSA
Foto Archivio

VIA STAVA ANNI '30

VIA STAVA ANNI '30
foto Anonimo

TESERO DI BIANCO VESTITO

TESERO DI BIANCO VESTITO
Foto Giuliano Sartorelli

LA BAMBOLA SABINA

LA BAMBOLA SABINA
Foto Euro

LA VAL DEL SALIME

LA VAL DEL SALIME
Foto Euro

SEBASTIAN E IL BRENZO DI BEGNESIN

SEBASTIAN E IL BRENZO DI BEGNESIN
Foto di Euro Delladio

MINU

MINU
Foto di Sabina

Archivio blog