27/04/08

LA "CASA IN CAMPAGNA" CONTRO LA NATURA


Filadelfia, ottobre 2000. Nel corso di una conferenza sull'habitat umano, il geografo Brian J.L. Berry pronuncia, nella sua relazione dedicata agli Stati uniti, il singolare termine di «e-urbanizzazione». Secondo lui, infatti, la rivoluzione informatica va nella direzione dell'American creed, il mito americano. Che compariva già nelle Lettres d'un cultivateur américain, di Hector Saint-Jean de Crèvecoeur (1782), che attribuiscono specificatamente all'America le seguenti caratteristiche: il gusto della novità; il desiderio di trovarsi vicino alla natura; il crogiuolo da cui emerge la «nuova razza» americana; e il senso del destino. Secondo Berry, la dispersione dell'ambiente virtualmente indotta da tale paradigma è stata frenata durante l'era dell'industria pesante, che costringeva alla concentrazione; ma l'automobile ha iniziato a dissolvere i centri urbani nel fenomeno della metropolizzazione. Espandendo l'habitat, essa sviluppa forme di interazione individuali ma sempre più stereotipate e così incoraggia le relazioni a distanza che comportano il consumo di spazio legato all'uso massiccio dell'automobile. Invece, il cyberspazio prodotto dall'«e-urbanizzazione» accelera tale tendenza. Internet permette ormai di abitare in piena natura, ordinando tutto da casa senza aver più bisogno di andare a lavorare o fare la spesa in città. Proseguendo così la logica stessa del paradigma enunciato da Crèvecoeur, si realizza l'essenza dell'americanismo, attraverso l'abolizione della città. In Europa, tale modello è parzialmente bilanciato dall'ideale della città. Quando gli fu chiesto cosa corrispondesse a tale ideale e cosa stesse conducendo gli Stati uniti a questa versione finale dell'urbanistica diffusa - l'«e-urbanizzazione» - Berry, dopo qualche istante di riflessione, rispose: «Natura». All'epoca, insegnavo in un'università giapponese in cui ci si preoccupava delle applicazioni dell'informatica all'ambiente. Nel corso di una discussione, i miei studenti avevano espresso forti motivazioni ideali vicine a quelle di Berry. Con una piccola differenza: per loro, il desiderio di abitare in piena natura si spiegava con la permanenza della mentalità giapponese, che trascende i mutamenti tecnologici. Dunque, sia il mito americano che il suo equivalente nipponico trovano l'espressione della propria autenticità nella ricerca della natura. È sorprendente che in nessuno dei due paesi si osservi che l'urbanizzazione diffusa, invece di portare beneficio per la natura, abbia come conseguenza principale l'aumento della pressione umana sull'ambiente, e dunque la distruzione dell'oggetto stesso di tale ricerca. Si può mostrare ciò per mezzo della parabola del fattorino del tofu. Considerate una città tradizionale, compatta, prima della diffusione dell'automobile. Cento abitanti vi si muovono a piedi, per comprare il tofu all'angolo della strada. Ora, considerate l'urbanistica diffusa. Questi cento abitanti vivono ciascuno nella propria abitazione individuale isolata alla fine di una stradina inserita nel paesaggio naturale; e ciascuno ordina il tofu su Internet. Servono dunque cento consegne per portare questi cento tofu alla fine di cento stradine. Qual è più ecologica, la città compatta o l'urbanistica diffusa? Da tempo, urbanisti e geografi hanno dimostrato, cifre alla mano, che a parità di popolazione una persona che vive isolata costa più di una che vive in città. Ma nonostante, ciò, si oppone loro una tesi solida, basata sui risultati di sondaggi incredibilmente stabili: i tre quarti delle persone desiderano una casa individuale. Un dialogo tra sordi risolto senza equivoci dal mercato: durante l'ultimo trentennio del XX secolo, l'urbanistica diffusa si è espansa in tutti i paesi ricchi. Poiché il fenomeno è direttamente legato all'utilizzo dell'automobile, negli Stati uniti si è manifestato prima che altrove; ed è stato l'urbanista americano Melvin Webber, nel 1964, ad averlo sottolineato per primo: secondo la sua tesi, la città del passato, ben circoscritta e distinta dalla campagna, ha ceduto il passo a ciò che egli ha battezzato «dominio urbano». Questa forma di urbanizzazione non va confusa con la moltiplicazione delle città giganti che si osserva allo stesso tempo, dopo i paesi industrializzati, nei paesi poveri. Nell'urbanistica diffusa, gli abitanti sono, anche sociologicamente, cittadini, non contadini; ma l'ambiente che cercano è quello agreste. Perciò, fuggono dalla città, definitivamente o per una residenza secondaria. Al contrario, nei paesi poveri, come un tempo avveniva nelle nazioni attualmente opulente, è dalla campagna che si fugge, e si cerca la città. Tra questi due poli teorici abbondano le situazioni intermedie. Storicamente, la periferia precede l'urbanistica diffusa. In questo stadio, la situazione cambia secondo il paese. Si possono distinguere all'incirca un tipo oceanico, in cui soprattutto i ricchi vivono lontano dal centro, e un tipo continentale, in cui avviene l'inverso. Il mondo anglosassone e il Giappone sono di tipo oceanico; la Francia è di tipo continentale. Al fenomeno si è aggiunta, più recentemente e nelle città maggiori, la tendenza all'imborghesimento dei centri, resi inaccessibili ai ceti medi dalla speculazione immobiliare. In Giappone, ad esempio, nei quartieri centrali, il rinnovamento urbano moltiplica i manshon, palazzi di notevole altezza in cui gli appartamenti si vendono a prezzi altrettanto elevati. Nei paesi ricchi, la tendenza globale va verso l'urbanistica diffusa in tutti i territori, nel senso che una popolazione di tipo urbano tende a sostituirsi nelle campagne ai vecchi strati sociali contadini. E indipendentemente dalla ragione immediata che spinge a decidere di acquistare più o meno lontano dai centri, il motivo più generale di tale movimento si rivela il desiderio di abitare più vicino alla natura. Tuttavia, le concezioni della «natura» di un americano o un giapponese possono essere molto diverse tra loro. Ciò dipende dal contesto sociale e dalla storia. Il fenomeno dell'urbanistica diffusa mostra tuttavia una convergenza verso analoghi stili di vita. Perché dunque le società opulente sono giunte ad idealizzare il modello dell'abitazione individuale il più possibile vicino alla natura? (leggere il riquadro sotto). Dalle sue più antiche espressioni mitologiche fino alle motivazioni contemporanee, questa storia copre più di tre millenni. Ed approda ora ad un paradosso insostenibile: la ricerca della «natura» (intesa come paesaggio) distrugge il suo stesso oggetto: la natura (intesa come ecosistema e biosfera). Insieme all'automobile, la casa individuale è divenuta in effetti il leitmotiv di un genere di vita la cui smisurata impronta ecologica provoca un consumo delle risorse naturali eccessivo e insostenibile a lungo termine. Le modalità urbanistiche della questione appaiono perfettamente chiare. In poche parole, l'impronta ecologica è minore con un ambiente collettivo e trasporti pubblici. Al contrario, l'urbanistica diffusa dilapida il capitale ecologico dell'umanità: prima o poi, si rivelerà un suicidio.

di Augustin Berque

1 commento:

  1. egregio Sig. Euro mi permetto di porgere un breve commento su quanto leggo di tanto in tanto sul Suo blog e parto nel risponderle proprio dall'articolo viabilità di Tesero che a quanto comprendo le sta paricolarmante a cuore.
    pur non essendo suo compaesano credo di conoscere quanto Lei se non meglio la vita ed "il cuore" (la popolazione) del borgo dove
    ho raccolto molti commenti sulla annosa questione viabilità ma non voglio entrarvi nel dettaglio aggiugendo solo che le opinioni maggiori le sono contro.
    mi si rivolta lo stomaco però sentirla continuamente commentare pessimisticamente di un continuo peggiornamento della viabilità in quanto forse per l'età (abbastanza giovane) forse per la residenza in via Fia sino a poco tempo fa che era un isola felice rispetto alla via stava di 30 anni fa quando autotreni MONTEDISON e poi PREALPIALPI MINERARIA facevano tremare le case, le stalle e le cantine AD OGNI LORO PASSAGGIO.
    I carri a quei tempi circolavano ancora al traino di cavalli e buoi
    ma le case e le loro fondamenta venivano messe alla prova da decine di tonnellate di tir, pulman
    e mezzi pesanti di ogni genere.
    a quei tempi lei dormiva tranquillo nella sua stanza in via Fia ma altri protestavano per avere una nuova strada nata troppo tardi quando tutto ormai era stato spazzato via.
    condividere o no il pensiero degli altri fa parte della natura umana ma voler imporre il proprio agli altri fa parte della natura della testardaggine e della cecità nei confronti di un qualcosa che nel tempo è migliorato e non peggiorato anche se relativamente.
    ridurre il traffico all'interno di centri abitati deve significare anche ridurne la velocità e la pericolosità ma non siglifica voler tornare ai carri ed alle vacche di un tempo perche a questo punto le posso solo consigliare di trasferirsi nei "busi de San Leonardo de Cornon" e non nel centro di un paese.
    Sono anche io un sostenitore del controllo e della salvaguardia del territorio ma non per tornare all'antica non per nostalgiche e drastiche purghe popolari ma per cercare di migliorare la vivibilità cercando di andare a braccetto con il progresso che ci circonda che per frenetico che sia ci rende anche intelligenti per capire che si può frenare un pò ma non riavvogerlo cme la pellicoa di un film per ricominciare.
    la saluto porgendole i migliri auguri per le sue battaglie contro il modo che la circonda.
    firmato
    AMANITAVELENOSA.

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