29/03/08

LE NATASHA


Israele è uno dei maggiori importatori di prostitute slave. Ogni mese un milione di israeliani fa visita a una prostituta. Secondo la Commissione d’inchiesta parlamentare israeliana,

ogni anno dalle 3000 alle 5000 donne (dell’ex Blocco sovietico) vengono introdotte clandestinamente in Israele e vendute all’industria della prostituzione. (…) Le donne lavorano sette giorni su sette, fino a 18 ore al giorno, e dei 120 Nis (27 dollari) pagati dai clienti, a loro ne restano solo 20 (4,50 dollari). 10.000 di queste donne attualmente risiedono nei circa 400 bordelli del paese sono vendute dagli 8.000 ai 10.000 dollari l’una.
Si riesce a intuire la portata dell’attività seguendo il flusso dei grossi profitti riciclati in Israele: solo dl 1990 al 1995, circa quattro miliardi di dollari sono stati investiti nelle banche israeliane. Altri 600 milioni di dollari vengono riciclati in beni immobili.
Alla base dell’aumento della prostituzione in Israele ci sono fattori culturali e religiosi. Gli uomini israeliani, e non sorprende, hanno un debole per le slave alte e bionde, che chiamano tutte Natasha. Gli uomini “entravano nel locale e con un sorriso sciocco gridavano “Natasha!” come fossimo matrioske” ricorda Marika, una prostituta russa portata clandestinamente in Israele. La domanda di prostitute è particolarmente alta tra gli haredim, ebrei ortodossi, molti dei quali sono clienti abituali dei bordelli. Nissan Ben-Ami, coordinatore dell’Ong Awareness Centre, che lotta contro il traffico di donne e la prostituzione in Israele, spiega:
Nella zona della borsa e del mercato dei diamanti c’è molta prostituzione. In queste zone si aggirano tanti uomini estremamente religiosi in cerca di sesso a pagamento perché le donne della loro società non possono assecondarli quando vogliono. Non possono nemmeno masturbarsi, perché è vietato sprecare sperma. Quindi devono farlo per forza con una donna.
Fonti israeliane confermano che l’afflusso di ebrei ortodossi, un altro dei fenomeni legati al crollo dell’Unione Sovietica, ha dato un impulso inaspettato all’industria della prostituzione. “Molti avevano legami con la mafia russa che, all’inizio degli anni novanta, controllava quasi interamente il racket delle prostitute slave, e contribuirono a instaurare legami con i protettori locali” dice un poliziotto di Tel Aviv. Michael, il protettore di Berlino, conferma che, subito dopo la caduta del muro, è la mafia russa ad assumere il controllo del traffico della nuova merce. “Negli anni novanta, chi portava le nuove ragazze a Berlino erano i russi.”
Un affare plurimiliardario che alletta anche organizzazioni criminali armate. In Germania, dove la prostituzione è stata legalizzata, esistono per procurarsi una fetta del business del sesso. Spiega Michael:
Amburgo e Berlino sono controllate dalla mafia libanese. Non c’è altra scelta. Bisogna pagare per la protezione. Glia arabi si presentano nel tuo bar e ti chiedono soldi. Se dici “no” ti piazzano il cellulare sotto il naso e ti dicono che un gruppo di tizi armati di mitragliette Uzi arriverà in meno di mezz’ora. Che fai? Li paghi, non hai scelta. A Colonia è diverso, è il Pkk (Partito dei lavoratori del Kurdistan) controllare il business. Neanche loro gestiscono direttamente l prostituzione, ma i bordelli e i night club devono pagare il pizzo.
E il legame perverso di interdipendenza tra industria della prostituzione e gruppi armati c’è anche in Israele, un paese da sempre in lotta contro il terrorismo. Le schiave del sesso slave arrivano in Israele attraverso la Striscia di Gaza, con la collaborazione di bande criminali egiziane e palestinesi che le guidano attraverso la frontiera. Ildiko una studentessa ungherese di ventidue anni destinata ai bordelli di Tel Aviv, è stata fatta entrare in Egitto clandestinamente, di Balcani. “Quando sono atterrata ad Alessandria, un russo mi ha portata nel deserto e mi ha affidato a un beduino. C’erano altre sei ragazze, tutte russe. Abbiamo camminato nel deserto per giorni e giorni finché non siamo arrivati al confine.” Ildiko è entrata in Israele attraverso una lingua di terra che separa la città di Rafah dal confine tra Israele ed Egitto. A nord di Rafah c’è la Striscia di Gaza.
Rafah è a poche centinaia di metri dal confine egiziano; di qui parte un labirinto di tunnel scavati da palestinesi e beduini del Sinai. Si tratta di vie di passaggio per terroristi, spacciatori e trafficanti. È da lì che fanno entrare clandestinamente le donne da vendere come prostitute in Israele e in Cisgiordania.
In via confidenziale, vari esperti di terrorismo israeliani esprimono preoccupazione per il coinvolgimento, nel commercio del sesso, di organizzazioni criminali che hanno legami con gruppi terroristici. Anche perché il risultato è che, per soddisfare l’insaziabile desiderio di donne slave dei suoi cittadini, Israele accetta di “andare a letto con il nemico arabo”.
Alcuni mutamenti di fondo nella sfera della moralità hanno fatto sì che allo smisurato aumento dell’offerta globale di prostitute e schiave del sesso slave corrispondesse un’altrettanto imponente domanda internazionale. La nostra società infatti tollera tacitamente la prostituzione. “La prostituzione (…) viene vissuta come una branca dell’industria dell’intrattenimento e, secondo alcuni studi, un cittadino britannico su dieci – 2,3 milioni – è già stato intrattenuto” ha scritto il Sunday Times.
È un divertimento a cui nessuno ha intenzione di rinunciare: tutti vogliono far parte del nuovo gioco. “una volta un cliente ha chiesto uno spettacolo con più ragazze. Si è seduto e si è goduto lo spettacolo, senza neanche toccarle. È rimasto tranquillo tutto il tempo” ricorda Stephen, il protettore di Berlino. “La cosa buffa è… che era cieco”.
Il filosofo Roger Scruton fa notare che “quando il sesso si tramuta in merce, il santuario più importante degli ideali umani diventa il mercato. È quanto è successo negli ultimi decenni, e rappresenta la base della cultura postmoderna”. E anche le modalità con cui si “va a prostitute” corrispondono alle provenienze sociali dei clienti. Le agenzie di accompagnamento e gli annunci personali su Internet sono gli strumenti più diffusi per vendere il nuovo prodotto al ceto medio. “Se si digita ‘escort’ su Google, la ricerca produce 956.000 risultati”.
Se il marketing del “sesso in vendita” ha fatto impennare la domanda, l’operazione di abbellimento della prostituzione ha facilitato il reclutamento delle slave nell’industria del sesso. Successi hollywoodiani come Risky Business e Pretty Woman proiettano un’immagine del tutto irreale della prostituzione. Secondo numerose Ong che lavorano con le slave adescate dai mrcanti del sesso, molte donne credevano ingenuamente che diventando prostitute avrebbero conosciuto il principe azzurro, proprio come succede a Julia Roberts in Pretty Woman.
Le storie di prostituzione a lieto fine esistono solo nei copioni di Hollywood, ma fanno vendere libri e film perché rendono possibile l’accettazione del “sesso in vendita” da parte del ceto medio. Non sono pochi gli editori e i produttori cinematografici che si prestano a soddisfare le sete tipicamente suburbana di favole “divertenti” sulla prostituzione: la sofferenza e la disperazione delle donne è ancora un affare redditizio.

Tratto da Economia canaglia di Loretta Napoleoni


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