22/01/08

QUANDO INQUINARE DIVENTA UN DIRITTO


Il pianeta soffoca! A parte alcune rare eccezioni, la tesi del disordine climatico trova ormai il consenso degli scienziati. Se non si interviene per arginare le emissioni di gas ad effetto serra (Ges), la Terra potrebbe riscaldarsi tra 1,4 °C e 5,8 °C entro la fine del secolo. Con conseguenze drammatiche... Il secondo vertice sulla Terra, tenutosi a Rio de Janeiro (Brasile) nel 1992, ha portato a una presa di coscienza da parte dei governi, i quali vi firmarono la convenzione-quadro delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici. Da allora, il negoziato su questo tema è entrato nell' agenda dell'attualità politica, sia internazionale - ne è testimonianza la firma del protocollo di Kyoto - che nazionale - sul modello della recente Grenelle dell'ambiente in Francia. («Grenelle» è sinonimo di vertice decisivo. Prende il nome dalla rue de Grenelle, sede del ministero del lavoro francese dove nel maggio 1968 si definirono gli accordi per interrompere lo sciopero generale). Nel 1997, il protocollo di Kyoto ha costituito un importante passo avanti, poiché, per la prima volta, la «comunità internazionale» riconosceva l'urgenza del problema. Basato sulla nozione di «responsabilità comune, ma diversificata», ha fornito cifre e previsto scadenze, attribuendo ad ogni paese un obiettivo di riduzione di emissioni di Ges. Trenta nazioni industrializzate hanno accettato questa prospettiva, mentre venivano esentati da precisi impegni di riduzione i paesi in via di sviluppo, beneficiari del protocollo. Il protocollo è però entrato in vigore solo nel febbraio 2005, a causa, soprattutto, dell'opposizione degli Stati uniti - il primo inquinatore mondiale - , a cui si chiedeva di ridurre le emissioni del 7%. Resta il fatto, a dimostrazione della sua importanza, che il trattato internazionale è oggi ratificato da centosessantotto stati. In effetti, la preoccupazione ha continuato a crescere e a diffondersi in questi ultimi anni. Lo dimostra l'eccezionale copertura mediatica avuta dal quarto rapporto del Gruppo intergovernativo sull'evoluzione del clima (Ipcc), lo scorso febbraio. Il problema è che la bulimia energetica e le sue conseguenze sono state moltiplicate dall'emergere di nuove potenze economiche - la Cina e il Sud-est asiatico oggi, l'India a brevissima scadenza. Al di là del protocollo di Kyoto, sono più che mai all'ordine del giorno la lotta contro gli sprechi di energia, l'aumento dell'efficienza energetica e la sostituzione di risorse fossili con risorse rinnovabili.La prima fase del protocollo finisce nel 2012. Ma il 2012, è domani. La conferenza di Bali (Indonesia, dal 3 al 14 dicembre 2007) deve definire la roadmap delle trattative, in vista di un accordo globale su nuove modalità di applicazione in grado di prolungare Kyoto oltre quella data. Le contraddizioni non sono sparite. Riuniti all'interno del gruppo dei 77, i paesi in via di sviluppo non mancano di ricordare ai paesi industrializzati le loro responsabilità storiche e li invitano a ridurre «per prima cosa» il loro inquinamento. Il 28 settembre, al termine della conferenza di Washington che ha riunito i diciassette paesi che emettono più CO2, organizzata dal presidente George W. Bush, l'amministrazione americana ha continuato a rifiutare, in tema di riduzione, ogni impegno vincolante. Con un atteggiamento più positivo, la Cina ha dato il suo sostegno al protocollo, che considera «la base di ogni futuro accordo internazionale sul cambiamento climatico». Di fatto, sarebbe inconcepibile la mancanza di un accordo che prepari al dopo 2012. Tuttavia, sarebbe altrettanto imprudente considerare «Kyoto» e le sue conseguenze come «la» soluzione miracolo. Nonostante gli aspetti positivi, il protocollo non è esente da effetti perversi, che la complessità tecnica dei problemi rende talvolta inintelligibili. Così, alcuni dei «meccanismi flessibili» suggeriti non corrispondono in realtà ad alcun reale sforzo di riduzione strutturale delle emissioni di CO2... Il protocollo deve dunque essere difeso, ma anche messo in discussione molto seriamente.

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