22/01/08

A COSA SERVE IL CONSIGLIO COMUNALE?


Che il sistema della rappresentanza politica sia logoro e corrotto oltre ogni misura lo dimostrano, per esempio, gli avvisi di garanzia che fioccano con straordinaria frequenza e senza distinzione di area politica, sugli “onorevoli” rappresentanti del popolo. Tuttavia, essendo i parlamentari, di fatto, dei professionisti della politica, questa è una conseguenza che si dà per scontata. Se infatti l’attività parlamentare, nel comune sentire, viene intesa come una professione che a prescindere gratifica i rappresentanti con un’indennità mensile (che più giusto sarebbe chiamare prebenda) di svariate migliaia di euro e se è vero, come è vero, che il ruolo del parlamentare garantisce opportunità diverse, conoscenze, ripetute occasioni, e altro ancora, in pochi - dati i tempi - si stupiscono ancora se chi si trova pro tempore in una posizione di privilegio non si accontenta e si spinge poi addirittura oltre il confine del lecito. Ciò premesso, mi chiedo se quanto appena considerato, che fa riferimento all’attuale sistema rappresentativo nazionale, possa valere in qualche modo anche in una piccola realtà di paese o se per essa la decadenza istituzionale si manifesti soltanto attraverso l’inutilità del ruolo del rappresentante e non già anche in fatti penalmente rilevanti. Quattordici e passa anni fa, in qualità di consigliere di questo Comune, proposi all’attenzione del Consiglio comunale di Tesero (tra l’indifferenza assoluta dei colleghi) la presente considerazione sul senso della rappresentanza in una realtà di paese ancora a misura d’uomo. A distanza di tanto tempo è cambiato qualcosa? O sono ancora attuali queste meditazioni?

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È avvilente constatare l’assoluta marginalità cui è purtroppo relegata la figura dell’amministratore – consigliere comunale. L’esperienza maturata in questi anni di presenza nell’istituzione municipale – prima come consigliere di maggioranza e ora in qualità di rappresentante di minoranza – mi permette di giudicare come sostanzialmente passivo e inutile il ruolo dell’amministratore “semplice”.
Il titolo di consigliere è ormai divenuto una figura retorica priva di qualsiasi attinenza col significato corrente del termine. Non si consiglia alcunché, non vi è alcuna concreta possibilità propositiva diretta, tutto è mediato dall’esterno attraverso l’interposizione delle lobbies partitiche di appartenenza e dei gruppi di potere locali, che spesso sono la stessa cosa. il Consiglio comunale è ridotto a Limbo dove il consigliere semplice si trova a recitare una parte estremamente generica (indipendentemente dall’impegno che egli profonde), dove anche la contrapposizione maggioranza-minoranza si riduce per lo più a puro gioco delle parti. Le questioni di fondo, sostanziali, non si discutono a monte e cioè all’atto della loro formazione ideale, bensì a giochi fatti (in altri luoghi e da altre persone), nel momento stesso in cui si procede alla ratifica del provvedimento che da esse discende e, naturalmente, senza la minima possibilità che l’eventuale discussione possa in qualche modo modificare quanto già preconfezionato.
Il punto è proprio questo: non esiste il momento dell’analisi e dell’approfondimento; il momento in cui ogni eletto (anche all’interno della maggioranza) possa esprimere con serenità le proprie perplessità, le proprie convinzioni e i propri dubbi, e successivamente a questo, il momento della sintesi e dell’elaborazione della conseguente deliberazione.
Mi rendo conto che rivelazioni come queste potranno apparirvi ovvie, o addirittura ridicole. Certo, sono cose note a tutti: il Consiglio comunale è una finta assemblea propositiva. È un’assemblea di parata; come ho già detto le cose si decidono in luoghi e tempi diversi, da soggetti diversi dai consiglieri comunali.
Qualcuno di voi si spingerà persino a dire che in fondo sia logico e forse anche necessario che così continuino ad andare le cose. Ci siamo talmente abituati a questo modo di concepire il ruolo dell’amministratore e allo scenario in cui egli si muove che nessuno più s’indigna per il fatto che – e valga a puro titolo d’esempio -
nell’Esecutivo di questo Comune siedano, pur legittimamente, due amministratori ITAP; personalmente ritengo moralmente inaccettabile che amministratori comunali – e cioè dell’ente territoriale per eccellenza – siano contemporaneamente amministratori di una società privata, che proprio attraverso l’uso e la gestione territoriale arriva al proprio scopo sociale. E sia ben chiaro, io m’indigno non tanto per la possibilità che da quella strategica posizione essi curino e favoriscano la loro società, quanto per il grave rischio che per ovvia e naturale “deformazione professionale” essi indirizzino partigianamente strategie e sinergie amministrative verso un unico obiettivo.
Credo che restare indifferenti e acritici nei confronti di questo procedere e di queste consolidate abitudini amministrative sia gravemente pregiudizievole per gli interessi generali della collettività. È pertanto opportuna – credo – una riforma morale dell’istituzione consiliare, ancor prima che formale e strutturale.
Oso appellarmi quindi a quegli spiriti liberi che sono sicuramente presenti all’interno di questa Assemblea, affinché – prescindendo da schieramenti e da alleanze precostituite – si facciano promotori di una svolta graduale verso una più partecipata e responsabile presenza nel Consiglio comunale e si sforzino di arricchire – attraverso l’esperienza e la convinzione personali – il dibattito, l’analisi e la critica sugli argomenti e le questioni di importanza rilevante.

euro – ottobre 1993

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