26/01/08

ANCORA SULL'IMBECILLITA'


I processi mentali degli imbecilli (i.) sono lineari, privi di volute e di spessore; gli i. galleggiano nel mare del pensiero come le bucce e i sugheri sull’acqua, seguendo le variabili correnti superficiali, incapaci di uscirne con impennate verso l’alto o tuffi in profondità. Il pensiero i. è sempre solo normale, canonico, si muove in direzioni già definite. È a-critico, a-dialettico, non consente quindi il dialogo, il dissenso e il dubbio. Come ci dicono i termini, discorso e dialogo implicano distinzioni, passaggi, contrapposizioni, che sono l’essenza dell’intelligenza umana: pensare è discutere, con gli altri o con se stessi. Il pensiero i. è invece sempre interno a un sistema chiuso: perciò gli i. possono eseguire, anche con ottimi risultati, operazioni di pensiero convergente, in cui la soluzione di un problema va ricercata lungo binari precostituiti e rigidi, attraverso definizioni fisse e applicazioni meccaniche, come nel pensiero burocratico; mentre non riescono affatto a funzionare nel pensiero divergente, creativo, dalla produzione di una battuta umoristica a quella di un’opera d’arte o di un’innovazione in campo scientifico. Il pensiero i. potrebbe quindi essere definito come assenza di quella capacità di cogliere nelle pieghe della realtà un qualche aspetto che sfugge al modo di vedere della maggioranza, considerato invece sacro agli i. Ad essi è quindi negata la possibilità di abbandonare la via su cui si muovono, di trans-gredire, di spingersi nel terreno del nuovo, del diverso. Non a caso gli i. infittiscono le file dei “credenti” in tutto ciò che sia stato canonizzato da una qualche autorità, religiosa, politica, o semplicemente mediatica, fosse pure la più sgangherata radio o TV locale. (…)
La visione che gli i. hanno del mondo è unica e monolitica, o articolata manicheamente secondo opposizioni nette e fisse tra vero e falso, bene e male. L’assenza di umorismo e ironia è uno dei principali indicatori del pensiero i. L’uno e l’altra infatti richiedono un’almeno elementare capacità di muoversi contemporaneamente su due livelli alla logica, quello dei dati di fatto, vincolati alla logica, e quello del loro rovesciamento, che tuttavia appare frutto non di un abbandono della logica, ma di un suo uso giocoso, eppure significativo. Si potrebbe anzi dire che – come accade nel judo – l’umorismo e l’ironia atterrano almeno momentaneamente la logica sfruttando la sua stessa forza d’inerzia. Un esempio tanto simpatico quanto calzante, almeno fino al momento in cui i calzoni si calzavano secondo regole di genere, è la storiella su quel bambino che mentre osserva da un buco nella palizzata un campo di nudisti, alla madre che domanda se sono maschi o femmine risponde: “non si sa, sono nudi”. (…)
Per quanto sopra osservato, il pensiero i. è anche a-storico, funziona in un eterno presente. La prospettiva storica richiede infatti due elementi estranei al pensiero i. Il primo è l’abbandono di spiegazioni meccaniche e lineari a favori di interpretazioni in cui i fatti sono contestualizzati e assumono un significato e un valore sempre e solo “locale”, per cui non se ne possono desumere leggi universali e verità assolute. Il secondo è la capacità di tenere contemporaneamente presenti un passato e un presente connessi tra loro ma anche distinti e in grado di illuminarsi reciprocamente in una relazione non casuale e lineare, ma dialettica. Da entrambi tali elementi discende una forma di conoscenza del mondo come continua ri-costruzione in se stessi e co-costruzione con gli altri, che rende provvisorio e parziale qualsiasi punto di vista, compreso il proprio. Quest’ultimo non è più linea di difesa contro nemici o infedeli, ma la zona di contatto con punti di vista diversi che possono svilupparsi ciascuno nel rispetto per gli altri. Il disinteresse per la conoscenza storica è quindi uno dei migliori indicatori della diffusione dell’imbecillità in una cultura, come sta accadendo nel momento presente, e la carenza di cultura storica nella scuola è una delle più gravi perdite inflitte alle giovani generazioni attuali.
La mancanza di senso critico e di prospettiva storica possono spiegare anche un fenomeno solo apparentemente in contraddizione con quanto con quanto finora osservato. Gli i. infatti sono sempre aggiornati, alla moda, e apprezzano moltissimo le novità. Essendo incapaci di immaginare alternative all’attualità e alla visione dominante al momento, la considerano sempre espressione del migliore dei mondi possibili, ma solo fino a quando una nuova versione non sia inventata e disvelata alle masse da uno dei profeti moderni, meglio noti col titolo di testimonial. Accade così che gli i. possano mantenere le stesse idee per una vita o cambiarle continuamente come si cambia d’abito per essere alla moda; in ogni caso nel loro percorso non c’è storia, ripensamento, sviluppo per connessioni e distinzioni: c’è solo la nuova verità che sostituisce la precedente, rimossa come certi contenuti morbosi della fantasia infantile, almeno quando essi venivano socialmente condannati anziché esaltati come oggi accade. (…)

da “Il fattore I – per una teoria generale dell’imbecillità” di P.Paolicchi

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