15/09/07

SPEGNETE LE LUCI!

In una società che non si chiede, che rinuncia al confronto, che subisce l’irrazionalità senza indignarsi, che l’ipocrisia del benessere ha privato del giusto e doveroso senso critico, anche una piccola notizia (pur attesa) può rappresentare un corroborante per lo spirito e per il morale. Fa bene sapere che oltre il deserto dell’angusto quotidiano, pregno di un insopportabile ubiquitario narcisismo, benché lontano, ci sia ancora qualcuno che pensa!

Il Parlamento austriaco qualche giorno fa (11/09/2007) ha fatto qualcosa che di solito nei regimi si verifica raramente: constatato che una legge era un’insensatezza, tirandone le conseguenze, la ha abrogata! L’accaduto si riferisce all’obbligo di tenere accese le luci delle auto durante la marcia diurna introdotto alcuni anni fa in Austria (così come in Italia). Un provvedimento che dopo alcuni anni di osservazione appare finalmente in tutta la sua assurdità e la cui unica vera ragione va ascritta presumibilmente alle pressioni esercitate sulle corrotte classi politiche occidentali dalle influenti lobbies petrolifere, che da esso traggono un notevole beneficio.
Lo studio promosso dal governo austriaco allo scopo di verificare gli effetti di tale obbligo ha dimostrato scientificamente che “la luce di giorno” nel pieno chiarore del sole ha un effetto distorsivo per chi guida, in quanto l’ esuberante efflusso luminoso rende meno percettibili gli utenti stradali minori, quali ciclisti e pedoni. E la tragica conferma di ciò si è avuta dall’incremento degli incidenti mortali (per queste categorie di utenti) rilevati in Austria dall’entrata in vigore del provvedimento anzidetto. A questa già di per sé più che sufficiente motivazione per buttare la legge nel cesso e accompagnarla con un fragoroso sciacquone, se ne sono aggiunte altre, più ovvie e da tutti verificabili: il maggior consumo di carburante e conseguenti maggiori emissioni di inquinanti e di gas serra con le altrettante sofferenze dell’ambiente e del… portafoglio.
In provincia di Bolzano il danno ambientale provocato dalle “luci di giorno” era stato analizzato già nel 2003 dal dottor Lantschner del competente Ufficio Trasporti del Provincia Autonoma altoatesina. Da esso risultava che un’autovettura in movimento con le luci anabbaglianti accese, consuma mediamente un quarto di litro di carburante in più ogni 100 chilometri. Ciò significa che nel solo Sudtirolo vengono espanse in atmosfera 25.000 tonnellate/anno in più di CO2, con costi aggiuntivi che variano dai 40 ai 60 €/anno per ogni automobilista. Rapportando tale dato su scala nazionale il risultato è sconvolgente: 3,2 milioni di tonnellate di CO2/anno in più (oltre a un indefinito ulteriore quantitativo di inquinanti) scaricati in atmosfera.
A questo proposito ricordiamo che proprio l’altro ieri a Roma si è tenuta la prima conferenza nazionale sui cambiamenti climatici, voluta dal ministero dell’ambiente, che ha confermato il peggioramento della “salute” della nostra biosfera.
I relatori intervenuti hanno esortato i politici a promuovere con sollecitudine iniziative di contenimento e di risparmio energetico che ad esempio si concretizzano in modo sostanziale anche spegnendo le lucette spia dei nostri elettrodomestici!
Pertanto, con perfetto tempismo, la senatrice SVP Helga Thaler Ausserhofer, cogliendo immediatamente l’“assist” offertole dal Parlamento austriaco, presenterà una proposta di emendamento del decreto “luci di giorno” che prossimamente, assieme ad altri provvedimenti relativi al traffico, verrà discussa in Senato.
Morale della favola: meglio tardi che mai; dell'insensatezza di questa "trovata", noi, a onor del vero, avevamo da tempo informato il signor ministro dei trsporti italiano. Naturalmente senza ottenere il minimo riscontro! Speriamo che il concomitante intervento di più autorevoli referenti faccia prevalere anche a Roma la Ragione sul business.


L’Orco

11/09/07

LETTERA A UN IMPRESARIO EDILE DI TESERO


Stimato ( ),
mi permetto di disturbarti perché sento la necessità di dirti e chiederti alcune cose ma non pretendo che ti senta obbligato a rispondere “ufficialmente”. Se avremo occasione di parlarne a quattrocchi sarò ben lieto di sentire la tua opinione in merito a quanto vado a dirti. Dunque ho deciso di scriverti perché sei ormai il “decano” (col Bosin da Piera) degli imprenditori edili del paese e perciò rappresenti, per così dire, la memoria storica della categoria. Tu sei il trait d’union tra la generazione di chi suo malgrado fece e visse l’ultima guerra mondiale (la generazione di mio padre) e chi vide per ultimo il paese come era, sostanzialmente fermo rispetto all’avanzamento urbano (la mia). Quelli venuti dopo sono cresciuti nell’espansione urbanistica, dove le “fabbriche”, cioè i nuovi cantieri, di anno in anno occupavano nuovi terreni, dove le campagne venivano sacrificate al “benessere” di quegli inconsapevoli (e spesso immeritevoli) privilegiati che via via si decentravano. Io appunto ho visto il paese come più o meno lo avevano visto duecento anni prima i nostri antenati: concentrato dentro i confini est-ovest-sud-nord corrispondenti alle località Sorasass – Soc – Pedonda – San Gianardo. La vita dei tieseri si è consumata per secoli entro questi termini orografici e le periferie esterne ad essi servivano per garantire l’economia più importante: quella primaria, di sussistenza, agricola e zootecnica. Poi verso la fine degli anni ’60 del secolo scorso il turismo ha iniziato a “creare appetibilità”. I danarosi turisti provenienti in particolare dalle città del nord Italia attratti dalla nascente industria dello sci in inverno e dalla tranquillità e dalla frescura dei luoghi in estate, iniziarono ad acquistare terreni (e noi miserabili a venderli), a contattare imprese locali, ad amicarsi geometri ed amministratori. Ed il denaro – l’oggetto principe della corruzione – a correre! Da allora il treno dello sviluppo urbanistico (che ancora oggi sembra non riuscire a fermarsi) è partito e da quell’epoca in poi le amministrazione hanno cominciato a inserire sempre più frequentemente nuove cosiddette zone d’espansione. Cercando dapprima quelle meno vocate o marginali rispetto alle esigenze ancora “sentite” di quel settore primario anzidetto. Poco a poco si “svendettero” parti di bosco a Stava e a Propian. Nel mentre quel primario agricolo e zootecnico stava velocemente cedendo il primato economico all’artigianato, e via andare sino al terziario turistico-alberghiero. Anche i residenti, che lentamente si stavano emancipando, cominciarono a “fabbricare”: a Caltresa e nelle immediate adiacenze delle periferie “storiche” del paese come Fia, Sottopedonda e Restiesa e a urbanizzare località appena, appena esterne come Valusella. Ma il movimento era ancora lento e sopportabile: ricordo gli scavi a pic e badìl delle case Pallaver e Titanela appunto in via Valusella verso il 1967. A quei tempi le imprese edili erano solo due in paese: “’l Toni Volcàn” e “’l Clemente Deflorian (Baodracco)”, poi fu tutto un proliferare senza fine di nuove imprese: oggi chissà quante saranno… Proprio allora venne costituita l’ I.T.A.P. s.p.a. e le cose cominciarono ad accelerare sempre più.
Tutto questo per dirti cosa? Per dirti che nel frattempo, in questi 40 anni il tenore di vita dei paesani è notevolmente cambiato. Siamo diventati tutti “siori”. Molti con la villa, il barbecue e il prato inglese, tutti (o quasi) possessori di grandiose autovetture o fuoristrada. Ma adesso l’ “oste” ha portato il conto e qualcuno incolpevolmente sta già pagando. Certo tutti “siori”, moltissimi – come dicevo – col fuoristrada (per ben “sfoggiarlo” purtroppo sempre e comunque in strada), tutti dannati lavoratori per 10 – 12 ore al giorno e poi, cambiati i panni, deterso il sudore e lavato lo sporco, ostentatori maniacali di potere e di ricchezza. Il vecchio nucleo antico dell’abitato proprio la zona che urbanisticamente dovrebbe essere maggiormente tutelata e che ha una viabilità proporzionata alle sue necessità originarie si trova a sopportare il via vai sempre più insistito dei “növi siori” che devono far vedere che esistono ancora e che anzi adesso sono diventati qualcuno e che non per sfizio ma per forza dalle periferie al paese a piedi non si recano più. “Par la madònega, nó aón miga pü le pèzè sül cül!”. La tranquillità in centro è ormai un pio ricordo dei bei tempi andati. Per nascondere la vergogna dei fatti non sarebbero sufficienti le foglie di una piantagione di fichi. Dunque che fare? Pensa che ti pensa, ecco finalmente la trovata! Ma poiché chi ci amministra appartiene proprio alla schiera di quei nuovi “decentrati” che il problema non lo sente direttamente, e dato che amministrare significa comunemente fare, adesso parla senza pudore (e senza analizzare per bene il problema) di parcheggi sotterranei: di trasformare piazza Nuova, il piazzale Scuole elementari e piazza Tombon in autorimesse per privati o (come si bisbiglia) per gli alberghi del centro, che poi in realtà è uno solo! Così i “siori” foresti che adesso “i è manco siori de quei da qua” potranno arrivare e depositare a qualsiasi ora del giorno o della notte le loro vetture nei nuovi magazzini interrati. Si prospettano a breve per le sempre più ingorde imprese locali nuove “occasioni”: grandi parcelle per la categoria dei geometri (quella per intenderci che negli ultimi 40 anni si è maggiormente “ingrassata”); naturalmente nuovi lavori per le imprese edili, e quelle di escavazione. In un continuo crescendo di trasformazione urbana che più cresce e meno si capisce dove vuole arrivare. Se recentemente sei transitato a Santa Libera ti sarai reso conto che in poco più di due anni a quella località hanno letteralmente cambiato i connotati. Ci si resta senza fiato! E così pure “tà i Aleci”: sono arrivati a fabbricare addirittura a ridosso di quel poco di verde pubblico che ancora c’era. E presto verrà distrutta un’altra zona di pregio paesaggistico: “sa Noesco”, per far posto a una casa di riposo di lusso, pronta ad accogliere a tempo debito “i növi siori”. E c’è da scommettere che se l’Uomo della Provvidenza riuscirà a carpire ancora una volta “i mondiali” ci sarà un’ulteriore recrudescenza della corsa al mattone con nuovi saccheggi territoriali, nuovi progetti (per far ancora più contenti i geometri), nuovi scavi (per far contenti anche i Bortolas), nuove “fabbriche” per cercare di contentare l’incontenibile e incontentabile esercito artigiano. E quantunque, verificata l’attuale stasi demografica, dietro a questa straripante espansione ci siano quasi solo interessi speculativi tutto ciò accade apparentemente nell’indifferenza generale. Ma ci pensiamo o no che il territorio è un’entità fisica finita e che se cementificata, essa sarà irrimediabilmente persa per qualsiasi altro uso futuro? C’è ancora qualcuno che ragiona o siamo davvero tutti impazziti? Proprio “robe da mati”. Probabilmente il profumo dei soldi ha talmente devastato la percezione comune che il cruccio per come sarà ridotto di questo passo tra vent’anni questo paese e l’intera valle viene costantemente rimosso. “Basta far soldi. Valghe deventerà ben”, pensano ipocriti i più. L’amministrazione comunale in proposito latita alla grande e tacciarla di insufficienza è farle un complimento. “Naviga” a vista e va avanti, nei marosi di una politica improvvisata, dispensando licenze edilizie e rattoppando i danni provocati dall’incessante inurbamento; non capendo che ogni nuovo insediamento abitativo oggi più che mai significa immediato peggioramento della qualità della vita in centro e non solo, significa aumentare il disagio per una mobilità sempre più opprimente e anarchica, significa dequalificare il paese storico. Eccoti un piccolo ma illuminante esempio. Guarda, se ti capita, “’l marciapè so sül ponte” : si trova da decenni in uno stato pietoso. Chi lo percorre rischia ogni volta “de ’ngamberlarse e farse mal”. Ebbene, nonostante la cosa sia di estrema evidenza e più volte stata segnalata a chi di dovere non si è fatto e non si fa niente. Perché sistemarlo costa troppo poco e perché i pedoni sono cittadini in via d’estinzione: meglio fare un posteggio quasi inutile “te n’Arlasa”, “parché là si che i ghe magna sora polìto” (geometri in primis ovviamente) e poi facendolo ti arriva pure il plauso “de quei che… basta che ghe sie da méter l’áoto!” E avanti così. “Denóma che la sègüte!!”, questa è la frase nel vernacolo locale che ben sintetizza il comune sentire. Ma ormai c’è poco da raspare, siamo già al fondo del barile. E il barile è il nostro territorio che in circa 40 anni si è ricoperto di un patrimonio urbanistico spaventoso. E allora, voilà! Altro giro, altro regalo, ci vuole fantasia: ecco il nuovo business (in cui ben volentieri si sono buttati “anema e ccore” i tirastrisse più volte citati) realizzare posteggi sotterranei ad uso privato. Ne stanno facendo un po’ ovunque. E a breve nell’impresa sembra ci si metterà anche il Comune. Siamo proprio al paradosso: si sottrae territorio in periferia per sistemare i “növi siori” e si toglie il verde interno per dare posto alle auto degli stessi, che anziché godersi il privilegio restandosene il più possibile a casa, perseguitano il centro storico con insistiti viavai in fuoristrada. E a chi ci abita dentro e deve sorbirsi sino a mezzanotte e oltre, sette giorni su sette, il frastuono dei transiti da e per quelle periferie adesso si toglierà anche quel poco di verde ancora disponibile nelle vicinanze. È il trionfo dell’irrazionalità e la conclusione come dicevo sopra, sarà la completa dequalificazione del vecchio abitato, una viabilità martoriata ed ingorgata dai frequentissimi passaggi motorizzati, rumore, inquinamento, caos. Scusa se mi ripeto: è ammissibile che di tutto ciò non se ne percepisca il pericolo, che nessuno si domandi dove vogliamo arrivare, che nessuno ponderi le conseguenze di un siffatto agire sul medio e lungo periodo? Che il territorio (la disponibilità di esso) lo si consideri sempre ed esclusivamente a disposizione di nuova urbanizzazione? Che si pensi che a questa economia non c’è alternativa. Io ci penso ogni giorno, quando per farmi 50 metri a piedi in centro mi tocca scansarmi venti volte contro i muri per non venire investito dalle auto di quei giovani che da questa società hanno “imparato” soltanto a essere arroganti e prepotenti e a far soldi ad ogni costo fregandosene di tutto e di tutti, o quando mi reco al lavoro e vedo una ruspa qui, una pachera lì, uno scavo iniziato in mezzo ai prati e abbandonato tanto “par ’nbanarse ’l lögo” e dunque avere la certezza di non dover rinunciare a edificare più avanti, nel vedere la piazza che sembra l’esposizione di una concessionaria di fuoristrada, le strade interne ridotte a sentieri tanti sono gli automezzi lasciati ovunque. Stiamo compromettendo e sperperando un patrimonio inestimabile ormai non più per necessità ma quasi esclusivamente per ottuso egoismo e colposa negligenza. E siccome al peggio non c’è mai fine sento addirittura che la nostra amministrazione comunale, di cui già ho detto, ha recentemente invitato la più volte citata categoria dei tirastrisse locali (geometri, ingegneri e architetti) a dare suggerimenti su possibili nuove zone da includere nell’ennesima revisione estensiva del piano di fabbrica. Più o meno come chiedere al lupo di quale pecora desideri servirsi. Di fronte a quest’ultima, ennesima prova di superficialità, di questa mancanza di sensibilità e di cultura del territorio, resto senza parole. Bisogna fermarsi. Urge ripensare al tutto. Non darsi pace per rimpinguare conti correnti sempre più “obesi” che già come sono adesso permetterebbero ai rispettivi titolari (che qui in paese sono moltissimi) di mettersi pancia al sole e “no trar pü colpo par sin che i vive” è davvero folle. Soprattutto se il prezzo di questa ingordigia generalizzata è la scomparso della caratteristica più importante del paese: la tranquillità e il piacere di viverci dentro. In conclusione allora chiedo a te, che mi auguro riesca ancora a ragionare: “cognirone spetàr de véder case sin te Cornòn?”, o non sarebbe il caso di cominciare alla sveltissima ad aprire bene gli occhi e ragionarci su un po’ tutti.

09/09/07

IN ALTO A DESTRA



Il liberismo è di sinistra, proclama fin dal titolo l’ultimo croccante pamphlet degli economisti Alesina e Giavazzi. Ma se il liberismo è di sinistra, la severità è di sinistra, la meritocrazia è di sinistra, il diritto alla sicurezza è di sinistra e pulirsi la bocca dopo aver mangiato è di sinistra, cioè se in questo Paese di conservatori anarchici tutti i valori della borghesia moderata che altrove vota Bush e Sarkozy sono diventati, o si accingono a farlo, di sinistra, chi e soprattutto cosa rimane alla destra? Le vallette, le barzellette, le partite di calcio, le partite Iva, i Suv nel centro storico, i picnic nel centro commerciale, la voglia di guadagnare, il bisogno di urlare, Lele Mora a torso nudo, Calderoli eloquio crudo, i nani da giardino, il badante marocchino, Silvio senza corona, Corona senza vergogna, le merendine da isola dei formosi, il matrimonio in chiesa e l’amante in hotel, viva gli sposi!, l’incenso preferito all’incensurato, il censo al senso dello Stato, che poi è lo Stato che fa senso e chi riesce a fregarlo si illumina d’immenso, il sogno di abitare in una villa, il tacco dodici della Brambilla, Bossi, Rossi, purché Valentino, affogare l’ansia in un crodino, fare quello che ci piace e come filosofo Storace. Insomma, nonostante il liberismo sia appena diventato di sinistra, la destra rimane largamente maggioritaria nel Paese.



di Massimo Gramellini da "La Stampa" del 09/09/07



INCANTO NOTTURNO

INCANTO NOTTURNO
Sara

LE OCHE E I CHIERICHETTI

LE OCHE E I CHIERICHETTI
Bepi Zanon

TESERO 1929

TESERO 1929
Foto Anonimo

PASSATO

PASSATO
Foto Orco

ANCORA ROSA

ANCORA ROSA
Foto Archivio

VIA STAVA ANNI '30

VIA STAVA ANNI '30
foto Anonimo

TESERO DI BIANCO VESTITO

TESERO DI BIANCO VESTITO
Foto Giuliano Sartorelli

LA BAMBOLA SABINA

LA BAMBOLA SABINA
Foto Euro

LA VAL DEL SALIME

LA VAL DEL SALIME
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SEBASTIAN E IL BRENZO DI BEGNESIN

SEBASTIAN E IL BRENZO DI BEGNESIN
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MINU

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