30/12/07

MODERATI DI MASSA


Una borghesia senza principi ma ricca di denaro, di conoscenze, di privilegi, domina il paese senza bisogno, per ora, di leggi speciali e di polizia


I partiti politici italiani sembrano dominati da una frenesia nominalistica, dalla voglia incontenibile di cambiar nome, simbolo, distintivo, bandiera, di camuffarsi, di fingere di essere ciò che non sono. Tutti amanti di una libertà che negano agli altri negli affari, come nell'informazione, come nella giustizia, tutti pensierosi di un popolo che disprezzano, temono e ingannano, pronti a lodare una morale che violano ogni giorno, ogni ora. Non la poltiglia senza nome e senza ideali di cui parla il mio amico De Rita, ma un sistema di ferree complicità fra benestanti, di assoluta reverenza per il dio denaro. In questo sistema che può essere chiamato in vari modi, come consumismo anarcoide, dominio dei manager, produttivismo senza regole, domina un'idea che ha conquistato sia coloro che privilegia, sia quanti a esso si rassegnano: c'è un solo dio, una sola morale, un solo scopo, un solo modello sociale, una sola way of life, una sola pagana religione: il denaro, la ricchezza, i soldi da cui tutto deriva, tutto dipende. Perché milioni di italiani corrono ai gazebo di Berlusconi per aderire appassionatamente alle sue false promesse populistiche, alle sue promesse di ordine e di benessere quotidianamente smentite dalla misera realtà di un paese in declino? Perché sperano di entrare in qualche modo a far parte dell'Italia che rappresenta, l'Italia dei moderati che sono i benestanti di massa, la borghesia senza principi ma ricca di denaro, di conoscenze, di privilegi, che domina il paese senza bisogno, per ora, di leggi speciali e di polizia. Si vuole un esempio recente di questa dittatura morbida? In una fabbrica torinese, un'acciaieria, avviene una strage di operai bruciati vivi da un'esplosione di gas incandescente. È chiaro a tutti che la sciagura è stata causata dal produttivismo ossessivo, dalla mancanza di precauzioni e di prevenzioni. In una società meno consumistica, meno serva del profitto a ogni costo scoppierebbe una rivoluzione, una rivolta di popolo. Nella Torino del capitalismo anarcoide niente: gli operai morti vengono sepolti, i parenti risarciti con modeste regalie, i padroni della fabbrica liberi e anche sdegnati, la colpa non è loro, ma degli operai che dovevano badare agli estintori. Cercare altri esempi, ricordare altri esempi è persino ridicolo. Giornali e case editrici non fanno altro che sfornare libri, memoriali, saggi in cui si raccontano per filo e per segno le violazioni delle leggi, dei regolamenti, dei normali rapporti civili avvenuti nel paese. Un libro dal titolo 'Gomorra' racconta con realismo estremo i delitti della camorra, un altro, 'La Casta', elenca i notabili che dovrebbero stare in galera, i cortigiani del capo dei moderati fanno gli elogi dello stalliere mafioso che doveva essere associato all'ergastolo e invece accompagna a scuola i figli del padrone. Ma perché questi libri sono dei bestseller, perché le loro edizioni si succedono? Perché i lettori vogliono finalmente conoscere il marcio che li circonda? No, credo che il vero movente sia un altro, sapere come i furbi sono riusciti a fare i soldi, a diventare ricchi e potenti violando quei freni per gli sciocchi che sono le leggi. Poi anche nella società del capitalismo anarcoide qualcuno capisce come stanno veramente le cose, esce dall'apatia, s'infuria. Ma sono jacqueries: tumulti da lazzaroni che la classe dominante dei moderati di massa può sopportare, chiusa nei suoi quartieri blindati.

Giorgio Bocca L’ESPRESSO 28 dicembre 2007

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