24/12/07

'L MOLINAE DE TIESER


Intervista a Mario Delladio

Spirito goliardico e burlone, Mario Delladio (Scolìn) è l’ultimo molinae de Tieser. Classe 1963, qualche anno fa, dopo essersi dedicato a interessi diversi ma molto distanti da quelli legati al duro lavoro del contadino – quasi folgorato sulla via di Damasco – improvvisamente si è appassionato all’Agricoltura e da allora ha cominciato a coltivare la conoscenza della più importante e fondamentale attività dell’Umanità. Al Nostro nulla è precluso: Mario è caparbio e benché privo dei “fondamentali” relativi alla sua nuova passione si è appropriato velocemente sia della Pratica che della Grammatica. La teoria l’ha introiettata studiando e ricercando in biblioteca, leggendo sia testi specifici di agronomia che di meccanica applicata. La pratica… praticando sul campo, propriamente. Nella sua rimessa agricola, adiacente all’appartamento in cui vive, non cercate l’ordine, non lo troverete. In quel posto c’è una smisurata quantità di cose che solo lui riesce a far saltar fuori in un battibaleno. L’ordine – dice – è un concetto soggettivo e comunque superato. Forse ha ragione, chissà. Mario è un uomo dotato di una speciale genialità intuitiva. Gli basta osservare un attrezzo o anche un macchinario ed è subito capace di copiarli e di riprodurli. Ciò che sorprende è che lo fa (quasi sempre) recuperando cose non più usate, magari gettate in discarica, riattandole. È un polivalente e gli piace sperimentare. Produce patate di qualità spesso introvabili comunemente sul mercato e ortaggi diversi. Da circa un decennio però ha deciso di buttarsi con tutta la sua forza d’intraprendenza nella coltivazione di granaglie. Voleva farsi il pane in casa, inclusa la farina: e così ha fatto. Si è industriato – come al solito – con grande velocità e inventiva. Si è costruito un setaccio elettrico per la selezione dei chicchi e un “pestin” da l’orzo. Successivamente ha acquistato una macina per la produzione delle farine di derivazione. Poi si è fatto un forno a legna per cuocere le prelibatezze di cui lui stesso è gran gourmé. In via Cavada 20 da qualche tempo si possono assaggiare pani di segale e di frumento integrali, o pizze di farine miste, prodotti dai coltivi di Tesero governati nel rispetto dei cicli naturali, senza forzature, senza prodotti chimici e antiparassitari. Produzioni dai sapori antichi e autenticamente biologiche, che un tempo lontano garantivano l’autarchia alimentare alla popolazione locale e che Mario ha voluto recuperare e restituire… ai palati fini. Recentemente ha acquistato anche un decorticatore per la pulizia del farro: graminacea pregiata che qui da noi non si è mai coltivata proprio perché i suoi grani non si possono pulire dai residui della spiga senza macchinari appositi e costosi. Oggi alterna la sua professione “ufficiale” di falegname con quella “ufficiosa” di contadino e di mugnaio. Tra l’altro dispone di un motocoltivatore munito di frese e aratri per ogni coltivo e per ogni esigenza e da quando l’ultimo “caradòr”, il compianto Vittorio Delugan (Cionderin), se ne è andato prematuramente al Creatore, Mario è diventato il più ricercato aratore per conto terzi del paese. Quasi un anno fa ha costituito una società, senza fini di lucro, che perfettamente in linea col suo pensare vuole promuovere il recupero dei territori a vocazione agricola da tempo “nosèti” per produrre quel che essi possono, ma anche per riavvicinare le persone a quegli equilibri fondamentali tra la Terra e l’Uomo che qui da noi il malinteso concetto di modernità e la marginalizzazione di quella primaria attività hanno abbondantemente compromesso. Ad essa, denominata Mi.Sa.Po. (acronimo delle tre principali località agricole di Tesero: Milon, Saltogio, Porina e al tempo stesso forma verbale dialettale dal significato inequivocabile: io zappo!), hanno già aderito alcuni appassionati.

La stagione agricola si è conclusa da oltre un mese (l’anno agrario, tipicamente, termina l’11 Novembre giorno di San Martino) come è andata?
Pur avendo patito una lieve siccità a inizio stagione, facendo una media generale dei vari raccolti si può dire sia andata eccellentemente.

In base alla tua ormai lunga esperienza, quali sono le coltivazioni che più si adattano alla nostra campagna?
Nella nostra zona in campagna, a 1000 metri, ci sono colture a rischio gelate, tipo mais, fagioli e alcuni ortaggi; le patate, che rappresentano ancora la nostra coltura più importante, sono invece a minor rischio, mentre per cereali quali frumento, orzo, segale e specialmente farro non ci sono problemi di sorta. La terra sostanzialmente dà un po’ di tutto: bisogna fare attenzione a considerare bene i tempi d’impianto delle varie produzioni per non farsi “fregare” dai ritorni del freddo. Due anni fa ci fu una gelata a inizio giugno che “bruciò” le piante di patata da poco “spizolae” (dalla semina alla spunta ci vogliono mediamente 18 – 20 giorni). Considerato che il ciclo vegetativo della patata dura circa 100 giorni e che dunque anche seminando a fine maggio si riesce tranquillamente a raccogliere prima della cattiva stagione è sempre cosa buona non avere troppa fretta nelle arature, purché, beninteso, si sia in grado di ritardare il più possibile la germogliazione dei tuberi nell’olto.

Quali sono i problemi che più intralciano le operazioni agricole durante l’anno?
Se – come è ovvio si faccia in agricoltura biologica – la chimica va bandita, il diserbo è probabilmente la più grande “scocciatura”. È un’operazione da fare ripetutamente ogni 15 – 20 giorni. Più il campo è “affaticato” da anni di servizio ininterrotti più il problema delle erbacce si aggrava. Chi ha la fortuna di disporre di appezzamenti di terreno diversi può parzialmente ovviare a questo inconveniente lasciando “riposare” il campo ogni paio d’anni mettendo a coltura terreni da tempo “noseti”. Un campo rimesso a coltura dopo anni di riposo resta generalmente pulito per tutta la prima annata.

Quale proposta ti senti di suggerire all’ente pubblico affinché anche l’auspicabile ripresa dell’attività agricola in paese possa riprendere slancio e vigore?
Innanzitutto mantenere le strade di campagna al massimo della loro efficienza e cercare di non interferire negativamente in caso di migliorie private ai fini agricoli;
inoltre, anche se, stando a quanto vedo, la costruzione di nuove case continua inesorabilmente, sarebbe importante cercare di preservare integro e libero da qualsiasi speculazione il poco territorio coltivabile ancora esistente in modo da garantire la possibilità di utilizzare la terra a chi verrà dopo di noi e non siano obbligati a trangugiare ogni schifo di cibo per mancanza di alternative...

L’agricoltura biologica che tu persegui in modo assoluto comporta – ovviamente – maggiori difficoltà operative, maggior tempo, e minor resa. Come potrebbero venire compensati questi handicap?
Molto semplicemente con un raccolto soddisfacente.

Restando in tema: come si concilia la produzione biologica con le fitoparassitosi presenti anche qui da noi?
Per quanto riguarda le patate e i fagioli la principale parassitosi è la peronospora, che generalmente diventa problematica se le stagioni sono particolarmente umide in primavera. Per “contenerla” ci sarebbe la cosiddetta poltiglia bordolese (a base di rame) che però io non uso. Mi “arrangio” tenendo le colture sotto controllo visivo e non appena scorgo i segni della patologia estirpo immediatamente le piante colpite. Se malauguratamente capita invece una infestazione forte allora… pace. Riguardo invece la dorifora uso metodi drastici: distruzione delle uova ben visibili e attaccate alla pagina inferiore della foglia, cattura manuale dei coleotteri adulti e delle larve, processo sommario e immediata esecuzione della sentenza…

La mancanza di fonti d’acqua nelle località anzidette è anche un problema non da poco per chi intende produrre quantità e qualità. Secondo te il Comune potrebbe intervenire per supportare questa attività ancora marginalizzata ma in prospettiva molto interessante? E come?
Anche questo è una questione di grande interesse visto che l’acqua, ovviamente, serve nei vari periodi di carenza di precipitazioni naturali adeguate e dunque di “sofferenza” della campagna. Con riferimento all’acqua il Comune potrebbe fare, ma, dato che per esso, allo stato delle cose, l’attività agricola s’identifica sostanzialmente nella fienagione a uso zootecnico e non ancora nella coltivazione della terra per produzioni alimentari umane, non c’è alle viste alcun intervento. Qualora però la ripresa diversificata e meno sporadica dell’agricoltura diventasse una certezza, io credo che il Comune dovrebbe di certo attivarsi per garantire alcune semplici infrastrutture di supporto nelle zone ancora vocate a un uso agricolo…

Quali prospettive “vedi” nel futuro della nostra residua campagna?
Le prospettive potrebbero essere interessanti se l’aumento di appassionati al lavoro nei campi progredisse come la tendenza attuale lascia intendere. Forse ciò e dovuto a una maggior consapevolezza di quanto la produzione diretta, ancorché faticosa, ma gratificante, sia in fondo garanzia di qualità e di maggior sicurezza alimentare. Però non azzardo previsioni a lungo termine. Speriamo solo che continui.




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