23/11/07

NUOVE ARMI LETALI


La guerra contro la mente in certi casi non è solo una metafora. Una volta militarizzate, le innovazioni introdotte da neuroscienze e ricerca farmacologica permetteranno di progettare armi radicalmente nuove. Alcune sono già impiegate sui campi di battaglia in Iraq, mentre, in nome dell'antiterrorismo e grazie ad una falla nelle convenzioni sulle armi chimiche, la ricerca prosegue a tutto campo. Certi ricercatori non sembrano rendersi conto delle responsabilità di cui si fanno carico.

La farmacologia di guerra è inevitabile. Questo è almeno quanto afferma l'Associazione medica britannica (Bma), in un suo recente rapporto sull'utilizzo di medicinali come armi
. Già da una quarantina d'anni, i medicinali sono studiati in base alla possibilità di essere trasformati in armi da guerra. Dal celebre Lsd al gas Bz, diverse droghe militari sono state testate sugli esseri umani: il gas Cs è stato utilizzato su larga scala nella guerra in Vietnam. Bonfire, un programma sovietico segreto, ha tentato di trasformare in armi ormoni umani responsabili di alcune delle principali funzioni del corpo. Non si contano più i prodotti chimici utilizzati negli interrogatori, né le molteplici sostanze psicoattive o paralizzanti impiegate per inibire le trasmissioni nervose, infliggere dolore o causare irritazioni. A causa della natura estremamente tecnica di queste ricerche, il dibattito è rimasto confinato agli organismi specializzati in armi non convenzionali, come il Comitato internazionale della Croce Rossa (Cicr), il Programma Harvard-Sussex sulle armi chimiche e batteriologiche e l'organizzazione Pugwash. Tuttavia, la rivoluzione delle conoscenze nelle scienze della vita ha trasformato completamente le aspettative e le capacità dei militari in materia di armamento biochimico. Le neuroscienze moderne aprono prospettive inimmaginabili. Ormai è possibile riprogrammare alcune molecole, affinché colpiscano determinati meccanismi che regolano il funzionamento neuronale o il ritmo cardiaco. Ciò che si apprendeva dall'esperienza diretta, è oggi sempre più informatizzato, e le componenti bioattive più promettenti possono essere identificate e testate a una velocità prodigiosa. Queste prodezze, che fanno la gioia delle «giovani generazioni» farmaceutiche e offrono speranza di trattamento per malattie finora incurabili, interessano anche i militari. L'applicazione securitaria delle neuroscienze non è destinata esclusivamente a nemici e oppositori. In Iraq, gli Stati uniti e i loro alleati utilizzano droghe per migliorare la vigilanza dei soldati. In un prossimo futuro, vedremo partire per la guerra truppe cariche di medicinali capaci di aumentarne l'aggressività, ma anche la resistenza alla paura, al dolore e alla stanchezza. La cancellazione dei ricordi è uno degli obiettivi a portata di mano della farmacologia; l'idea che sul campo di battaglia operi un personale militare protetto dallo stress post traumatico grazie a una cancellazione selettiva della memoria, e il cui senso di colpa sia soppresso dalle droghe, non appartiene più alla fantascienza. La tentazione economica è forte, soprattutto sapendo che i postumi mentali della guerra colpiscono cinque volte più soldati che non le sofferenze fisiche, e costano una fortuna all'esercito. Il rapporto della Bma lancia dunque l'allarme: nonostante l'esistenza di convenzioni che proibiscono le armi biologiche e chimiche, i governi «mostrano un notevole interesse circa la possibilità di utilizzare droghe come armi». Una parte di questo interesse deriva dalla ricerca di armi non letali (si legga il riquadro). Nel 1999, la Commissione per gli affari esteri, la sicurezza e la politica di difesa del Parlamento europeo aveva richiesto «un accordo internazionale volto a proibire a livello globale qualsiasi progetto di ricerca e sviluppo, sia militare che civile, tendente ad applicare la conoscenza dei processi di funzionamento del cervello umano in settori quali chimica, elettricità, onde sonore o altri per produrre armi, cosa che potrebbe aprire le porte a qualsiasi forma di manipolazione dell'uomo». Gli attentati dell'11 settembre 2001 hanno posto fine a questa volontà di controllo democratico delle tecnologie di sicurezza. Il complesso securitario-industriale si è ritrovato unico pilota a bordo, con bilanci illimitati. Per la Bma, l'utilizzazione di armi farmacologiche non letali «è semplicemente impossibile, senza provocare una mortalità significativa nella popolazione bersaglio. L'agente [chimico] capace di provocare un'inabilità [...] senza rischio di decesso in una situazione tattica non esiste, e ha poche possibilità di nascere in un prossimo futuro». Il rapporto prende in considerazione un'ampia gamma di timori che riguardano: il personale sanitario che dovrebbe partecipare all'elaborazione o all'esecuzione di un attacco medicalizzato; la raccolta di dati sugli effetti di questi medicinali; il ruolo della medicina e della conoscenza medica allo scopo di sviluppare armi; il doppio ruolo dei medici se si trovassero da un lato a «non nuocere» e, dall'altro, a difendere la sicurezza nazionale; il ruolo dei professionisti della salute al momento di ignorare il diritto internazionale. Nuovi scenari repressivi. Queste preoccupazioni si sono materializzate in modo drammatico nell'assalto al teatro di Mosca da parte delle forze speciali russe il 23 ottobre 2002. Oltre centotrenta dei novecentododici ostaggi morirono (un tasso di mortalità superiore al quello di una battaglia terrestre, dove la media è di uno a sedici). Accusate di aver falsificato i certificati di morte, le autorità non hanno ancora svelato il nome dell'agente chimico impiegato al momento dell'assalto. Un collettivo ha contato almeno centosettantaquattro morti e postumi irreversibili tra i sopravvissuti. Inoltre, la liquidazione di tutti i presunti terroristi ceceni rafforza l'idea che l'utilizzo di gas faciliti le esecuzioni arbitrarie ed eviti il ricorso ai tribunali. Il rapporto della Bma esprime anche il timore che la dipendenza dei fabbricanti di armi dall'industria farmaceutica contribuisca ad abbassare il livello di alta qualità e sicurezza richiesto per i medicinali. Scartate a causa di effetti secondari indesiderati, migliaia di molecole dormono sui ripiani dei laboratori. Potrebbero essere riciclate, mentre la ricerca potrebbe essere rilanciata e le sperimentazioni cliniche delocalizzate verso paesi meno attenti. Una volta che queste sostanze avranno diritto di cittadinanza nelle operazioni di antiterrorismo, il mercato si espanderà rigoglioso. L'inventiva riguarda anche la distribuzione dei medicinali: mortai che disseminano grandi quantità di agenti chimici, pistole di paintball modificate, granuli che liberano l'agente chimico quando li si pesta, veicoli robotizzati... A chi, ad esempio, si potrebbe imputare la morte di un passante colpito da gas nocivo, lanciato da un robot «autonomo» e guidato da un algoritmo decisionale? Le conseguenze possono andare da ferite dirette alla comparsa di varie forme di cancro nel corso dei vent'anni successivi, passando attraverso scenari di modificazione genetica o controllo delle emozioni, della fertilità o del sistema immunitario delle popolazioni. Il progetto Sunshine, elaborato da un gruppo specializzato nell'informazione sulle armi biologiche, ha scoperto di recente documenti dell'aeronautica americana, che, fin dal 1994, progettava di condurre ricerche sul concetto «sgradevole, ma assolutamente non letale di afrodisiaci forti, soprattutto quando provocano comportamenti omosessuali». Come reagirebbe il mondo di fronte a uno stato militare che utilizzasse questo tipo di droga? Bloccare simili ricerche è tanto più importante, in quanto niente garantisce che queste armi, una volta sviluppate, restino nelle mani di stati «responsabili». Ma non sono già proibite dalla convenzione sulle armi chimiche, in vigore dal 1997? Proprio qui è il punto debole: una disposizione - art. II.9 (d) - della convenzione autorizza infatti, in alcuni casi, l'uso di armi chimiche. Questo, essenzialmente per preservare la pena di morte per iniezione letale e il mantenimento dell'ordine pubblico con ricorso ai gas lacrimogeni. Ma la disposizione apre una falla, di cui l'antiterrorismo ha approfittato. I negoziatori che, nel corso del 2008, dovranno procedere alla valutazione e revisione della convenzione hanno una grande responsabilità, perché queste ricerche aprono la strada a nuovi approcci repressivi nella gestione della contestazione. Se non verranno severamente regolamentate, molti laboratori si lanceranno nella produzione di nuove armi farmacologiche. In un periodo contrassegnato dalla violazione delle norme internazionali, civili e combattenti rischiano a breve di essere presi di mira collettivamente da questo nuovo tipo di armi. Con l'eventuale, successivo intervento di commandi speciali incaricati di procedere a esecuzioni extragiudiziarie mirate, in mezzo a una folla in stato di choc.

Tratto da “LE MONDE DIPLOMATIQUE” 10/2007

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