15/10/07

NEMO PROPHETA IN PATRIA...


Qualche giorno fa il Servizio Veterinario provinciale ha inviato a tutti gli apicoltori trentini una drammatica circolare con cui si fa appello alla disciplina e all’unitarietà nelle operazioni di profilassi e di controllo delle parassitosi dell’ ape e in particolare di quella dovuta all’acaro varroa destructor. I controlli di fine estate effettuati sul campo dall’autorità sanitaria hanno evidenziato una pericolosa recrudescenza dell’infestazione con saccheggi diffusi e grave spopolamento delle famiglie. Si prospetta un prossimo scenario primaverile mai visto prima con il patrimonio apistico provinciale che potrebbe davvero trovarsi ridotto ai minimi termini. Le ragioni come sempre sono da imputare all’uomo, alla sua stupidità, alla sicumera di farla sempre e comunque franca. Qui di seguito pubblico la lettera delle mie dimissioni da membro e segretario dell’associazione apicoltori Fiemme e Fassa che inoltrai nella primavera del 1999. La mia fu una voce nel deserto, tutto continuò come prima…


Caro Presidente,
mesi fa ti avevo avvertito che se l’associazione da te presieduta avesse continuato a comportarsi così come sino a quel momento avrei tolto immediatamente il disturbo. È passato del tempo ma le cose (a prescindere da fatti spiacevoli e personali, quali i “terzo grado” cui sono stato sottoposto col fiduciario di Tesero, Ernesto Doliana, in quel di Predazzo a seguito di una mia lettera che avevi reso pubblica) non sono cambiate. Sul bollettino n°1 del 1999 leggo, per esempio, che anche quest’anno la direzione ha deciso di importare nuclei d’api da fuori valle a beneficio dei soliti pasticcioni cui le beneamate sono defunte. Potrei anche soprassedere sul fatto che l’associazione si faccia carico del pressappochismo e dell’indisciplina di chi non si cura di invernare come si comanda le famiglie d’api e a primavera si ritrova poi con le arnie vuote (in verità anche su questo punto ci sarebbe però da ridire), ma, come ti avevo già fatto presente in occasione della prima importazione di nuclei di ligustica, non trovo accettabile che un’associazione di categoria – per quanto composta da semplici cosiddetti dilettanti – possa non preoccuparsi affatto delle probabili negative conseguenze, a medio termine, che dall’importazione di razza italiana e il conseguente imbastardimento della nostra carnica (di cui molte qualità originarie, grazie ai tanti furbi in circolazione, si sono già perse da tempo) possono derivare. Questa è solo una delle questioni che ostano e alla quale non ho ancora avuto risposta. C’è poi la questione sanitaria che non credo venga affrontata con la giusta serietà e intransigenza che essa richiede, da parte della direzione e Tua in particolare. Se mi avanzerà tempo e ne avrò voglia vorrei scrivere una letterina agli amici di Ziano – quelli che dicevano che l’asuntol, volere o volare, era l’unico rimedio sicuro per contenere la vorroasi, e che Var e acido ossalico non potevano garantire risultati soddisfacenti – per dirgli che forse noi eretici di Tesero saremo pure dei miracolati, ma finora usando unicamente Var e acido ossalico (e sono ormai 3 anni) le api le abbiamo tutte vive e vegete e l’eretico Dolina frettolosamente dimissionato d’ufficio dall’incarico di fiduciario (troppo poco allineato?) – udite udite – ha prodotto nel 1998 mediamente 25 kg. di miele a famiglia con punte di 42 – 43 kg. senza fare nomadismo. Di fronte a questi dati inconfutabili (e verificabili) come la mettiamo? Come mai qui le api sopravvivono senza asuntol e altrove è invece “necessario” quel prodotto non autorizzato e inquinante? Evidentemente qualcuno non la dice tutta! La verità sta forse nel fatto che usare Var e acido ossalico comporta una perdita di tempo ben maggiore che facendo uso della “magica” polverina. E siccome il tempo è denaro… Vedi, caro Presidente, arriviamo sempre al solito punto. Il denaro. I soldi. Tra produttori di miele e dilettanti hobbisti la distanza è enorme, perché i primi non possono prescindere dal binomio tempo-denaro che i secondi, viceversa, possono tranquillamente trascurare. Il produttore di miele gestisce l’apiario in base a regole economiche assolutamente inconciliabili con i tempi e i modi di conduzione del dilettante. Dunque due apicolture diverse, totalmente diverse. Sono legittime entrambe, naturalmente. Ma non è accettabile che i sette otto apicoltori professionisti, o quasi, che lavorano in valle si facciano bandiera di tutta l’apicoltura locale che per il 95% degli operatori nulla ha a che fare con le ferree leggi economiche. Tanto per esemplificare il dilettante con 10 famiglie può tranquillamente pagare i vasetti di vetro per miele a lire 700 cadauno anziché a 580 senza subire alcun contraccolpo al proprio bilancio familiare (su un quintale di miele – produzione media annuale – la differenza sarebbe infatti di lire 12.000 e cioè l’equivalente di 1 kg. di miele di acacia); o comperarsi l’acido ossalico direttamente in farmacia (con un kg. di prodotto tratta le proprie api per tutta la vita!). l’associazione è dunque uno “strumento” che se riuscirà a funzionare potrà essere eventualmente di utilità ai commercianti di miele e di prodotti apistici che con i proventi derivanti dall’attività di allevamento e produzione di miele arrotondano significativamente il loro reddito complessivo. E la prova che i professionisti siano fermamente intenzionati a omologare e plasmare a loro immagine e somiglianza l’apicoltura locale me la dai proprio tu.
Altrimenti perché uno come te che, me lo permetterai, può senz’altro venire ricompresso tra i produttori di miele, spenderebbe energie, tempo, e chissà quant’altro per guidare un’organizzazione di dilettanti allo sbaraglio, senza retroterra culturale e che non gli restituisce nemmeno la riconoscenza dei suoi associati? Per amore delle api? O per filantropia? Né per l’una, né per l’altra, naturalmente! Infatti se così fosse gli obiettivi dovrebbero essere altri. E per raggiungerli si dovrebbe modificare totalmente la filosofia sin qui seguita. Se lo scopo fosse quello di stabilizzare (e non invece far crescere quantitativamente) un’apicoltura di montagna, cioè marginale, stentata, molte volte deficitaria (costo/ricavo) ma proprio per questo affascinante e destinata a veri amatori, un’associazione di dilettanti dovrebbe per esempio tentare di praticare l’allevamento selezionato di regine razza carnica; ridurre al minimo o addirittura bandire la pratica del nomadismo in pianura; non transigere assolutamente sulla questione sanitaria (essere dunque a stretto contatto con l’autorità veterinaria preposta, e non invece boicottarne i controlli e considerarla uno spauracchio); dovrebbe attivarsi per verificare qual è il rapporto ottimale api/territorio e successivamente controllarne il rispetto da parte degli operatori; produrre periodicamente (per esempio una volta all’anno nella stagione invernale) corsi di informazione scientifica e tecnica per gli associati, con interventi di relatori esterni; eccetera. Tutto ciò, per chi intende l’apicoltura amatoriale, come il sottoscritto o come l’ “eretico” Doliana, dovrebbe rientrare logicamente negli obiettivi principali di una associazione apistica di dilettanti che abbia una sua ragion d’essere. E invece tutto si risolve in un corri corri per organizzare un’assemblea annuale, per tesserare e conferire titoli d’apicoltore provetto a perfetti ignoranti, per stampare bollettini (cosa peraltro encomiabile) che poi (lo abbiamo verificato in passato) non vengono letti o addirittura non vengono distribuiti dai vari responsabili all’uopo preposti, questuare, se possibile, contributi dall’ente pubblico, eccetera. Di un associazionismo siffatto possiamo anche farne a meno. Mi ritrovo su una lunghezza d’onda totalmente diversa dalla tua e da quella di chi condivide con te quella filosofia. Per questi motivi ora tolgo il disturbo.

Ciao Euro.

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