È un fatto – il cambiamento del clima, la quasi scomparsa delle stagioni, l’inasprimento di certi fenomeni atmosferici e meteorologici, il regresso dei ghiacciai, l’inquinamento… – che il rapporto tra l’uomo e il territorio in cui vive si è deteriorato. Il passaggio dalla società e dalla cultura contadina all’era industriale e post-industriale ha via via prodotto una profonda discrasia tra le persone e l’ambiente in cui vivono. Soprattutto a livello di conoscenza.
I nostri ragazzi, e mi riferisco a quelli che abitano nelle valli, conoscono poco i loro luoghi, (alpeggi e sentieri che frequentano pochissimo) gli animali, le erbe, o le piante. Per loro tutte le conifere sono “pini”; non sanno distinguere tra un larice, un abete, un pino o un tasso…; non sono mai stati in una malga, non hanno mai incontrato un capriolo, un camoscio, un forcello o un gallo cedrone…
Il fenomeno dell’abbandono e dello spopolamento della montagna verso le opportunità e le comodità fornite dalle città si fa sempre più preoccupante. E le conseguenze le stiamo toccando con mano. Specie là dove la montagna è stata oggetto di sfruttamento in maniera insostenibile (si va dal furto delle acque, alle devastazioni prodotte dal turismo, ai danni della speculazione edilizia da parte delle agenzie immobiliari). Il tutto in funzione di un profitto che non vede al di là del proprio naso. È la ragione prima del degrado. Di qui la necessità, a mio avviso improrogabile,di un recupero della cultura del territorio, e del patrimonio di valori (umani, sociali, tecnologici, artistici) che esso ha portato con sé; e che vanno riscoperti.
Conforta in questo semidisastro che pian piano nell’opinione pubblica stia affiorando una certa coscienza ecologica (quando l’acqua tocca il sedere s’impara a nuotare!), un certo senso della responsabilità. Lo si evince soprattutto dalla letteratura che sta prendendo piede in questa direzione. Scorrendo i libri di Rigoni Stern, di Corona, di Rumiz… mi sono appuntato alcune riflessioni, sulle quali non mi par vero di poter richiamare l’attenzione dei nostri lettori: ‹‹…anche dietro ogni alluvione, dietro ogni siccità, dietro ogni emergenza climatica, non vi è solo l’effetto serra, ma anche la guerra sistematica del potere contro le periferie più vitali, quelle capaci di tenere vivo il territorio e di impedirne la devastazione finale..; … che i politici scendano dai loro elicotteri e imparino a camminare! Le periferie bastonate si vendicheranno, e la montagna è periferia..; in certi luoghi si sente il rumore di un registratore di cassa, di una Heimat che è sempre meno patria, radice, lingua, paesaggio ed è sempre più azienda, società per azioni, partito cui iscriversi››
E l’amara conclusione (è di Rumiz): ‹‹Non conosco nessuna nazione che assista così passivamente alla morte dei luoghi. Lo si vede già dalla segnaletica, da come i cartelli dei paesi si mescolano a quelli degli ipermercati. Le frazioni, le alture, i ruscelli stanno perdendo il nome, ultimo presidio delle identità. L’economia ha sostituito la topografia, le pagine gialle la carta geografica!››
di Giuseppe Ciaghi da “Cooperazione tra Consumatori” 10/2007
I nostri ragazzi, e mi riferisco a quelli che abitano nelle valli, conoscono poco i loro luoghi, (alpeggi e sentieri che frequentano pochissimo) gli animali, le erbe, o le piante. Per loro tutte le conifere sono “pini”; non sanno distinguere tra un larice, un abete, un pino o un tasso…; non sono mai stati in una malga, non hanno mai incontrato un capriolo, un camoscio, un forcello o un gallo cedrone…
Il fenomeno dell’abbandono e dello spopolamento della montagna verso le opportunità e le comodità fornite dalle città si fa sempre più preoccupante. E le conseguenze le stiamo toccando con mano. Specie là dove la montagna è stata oggetto di sfruttamento in maniera insostenibile (si va dal furto delle acque, alle devastazioni prodotte dal turismo, ai danni della speculazione edilizia da parte delle agenzie immobiliari). Il tutto in funzione di un profitto che non vede al di là del proprio naso. È la ragione prima del degrado. Di qui la necessità, a mio avviso improrogabile,di un recupero della cultura del territorio, e del patrimonio di valori (umani, sociali, tecnologici, artistici) che esso ha portato con sé; e che vanno riscoperti.
Conforta in questo semidisastro che pian piano nell’opinione pubblica stia affiorando una certa coscienza ecologica (quando l’acqua tocca il sedere s’impara a nuotare!), un certo senso della responsabilità. Lo si evince soprattutto dalla letteratura che sta prendendo piede in questa direzione. Scorrendo i libri di Rigoni Stern, di Corona, di Rumiz… mi sono appuntato alcune riflessioni, sulle quali non mi par vero di poter richiamare l’attenzione dei nostri lettori: ‹‹…anche dietro ogni alluvione, dietro ogni siccità, dietro ogni emergenza climatica, non vi è solo l’effetto serra, ma anche la guerra sistematica del potere contro le periferie più vitali, quelle capaci di tenere vivo il territorio e di impedirne la devastazione finale..; … che i politici scendano dai loro elicotteri e imparino a camminare! Le periferie bastonate si vendicheranno, e la montagna è periferia..; in certi luoghi si sente il rumore di un registratore di cassa, di una Heimat che è sempre meno patria, radice, lingua, paesaggio ed è sempre più azienda, società per azioni, partito cui iscriversi››
E l’amara conclusione (è di Rumiz): ‹‹Non conosco nessuna nazione che assista così passivamente alla morte dei luoghi. Lo si vede già dalla segnaletica, da come i cartelli dei paesi si mescolano a quelli degli ipermercati. Le frazioni, le alture, i ruscelli stanno perdendo il nome, ultimo presidio delle identità. L’economia ha sostituito la topografia, le pagine gialle la carta geografica!››
di Giuseppe Ciaghi da “Cooperazione tra Consumatori” 10/2007
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